sabato 23 novembre 2013

CHI È SALVATORE LIGRESTI E QUANTA CORRUZIONE RUOTA INTORNO AL SUO NOME?

Salvatore Ligresti è un’imprenditore nato a Paternò, in provincia di Catania, il 13 marzo 1932: sulla cresta dell’onda per decenni, Ligresti ha ruotato attorno a tutto il panorama imprenditoriale e finanziario italiano: costruzioni, assicurazioni, banche, editoria, dagli anni ‘50 rappresenta un pezzo di storia imprenditoriale tra i più chiacchierati e ambigui d’Italia.
Dopo la laurea in ingegneria a Padova si trasferisce a Milano, sul finire degli anni ‘50, senza capitali ma con una furbizia acuta ed un sensazionale senso degli affari: partito da Paternò, è a Milano che Salvatore Ligresti realizza e consolida un’ascesa verso il successo come poche altre; nella piazza Affari del boom economico conosce Michelangelo Virgillito, compaesano, e Raffaele Ursini (che erediterà, proprio da Virgillito, il colosso Liquigas, portato di gran carriera verso il fallimento): dai due Ligresti assorbe come una spugna, imparando a muoversi abilmente nelle pieghe affaristiche e nel rampante mondo imprenditoriale meneghino.
Rileva la Richard Ginori da Michele Sindona, proprio grazie alla Liquigas di Ursini, negli anni ‘70: nel 1973 Sindona cede alla Liquigas, nel 1975 viene creato la macrostruttura d’azienda Pozzi-Ginori e, nel 1977, viene trasferita al Gruppo SAI (di cui Ursini è titolare), giungendo poi tra le braccia di Salvatore Ligresti, quando quest’ultimo “eredita” il pacchetto di azioni SAI da Ursini.
Un’eredità che, a detta di molti, ha più i contorni della truffa: secondo Ursini il 20% delle azioni venne regalato, il 10% ceduto con la formula del “patto di riscatto”, una versione sempre contestata dal Ligresti che sostiene di aver acquistato l’intero pacchetto azionario, verità giudiziaria scritta nero su bianco dopo un lungo contenzioso iniziato nel 1988.

La conquista della SAI è tuttavia degna di una sceneggiatura di Hollywood: nel 1978 Salvatore Ligresti dichiarava al fisco un reddito di 30 milioni di lire l’anno, cifra importante ma non certamente da capogiro, e nell’acquisizione di SAI sono ruotati personaggi anche piuttosto strani: il missino Antonino La Russa, “padrino” di Virgillito e Ursini e padre di Ignazio, che prese sotto la sua ala il giovane Salvatore Ligresti, Luigi Aldrighetta, operatore finanziario siciliano che fece da mediatore per l’acquisto di un altro pacchetto azionario importante da parte di Ligresti, i sei fratelli Massimino, muratori diventati costruttori ed infine uomini di potere (la protesi del denaro, sopratutto in quegli anni): a loro erano intestate le società Finetna e la Premafin, che controllavano SAI nel periodo tra la fuga di Ursini in Brasile e l’avvento palese di Ligresti.
La domanda, come per altri imprenditori rampanti e giovani di successo dell’epoca, è sempre la stessa: dove ha preso i soldi?
La holding Premafin Finanziaria Spa Holding di Partecipazioni è stata controllata da Ligresti e dai tre figli, oggi in carcere, fino alla fine del 2012 grazie ad un patto di sindacato stipulato tra società tutte riconducibili alla famiglia Ligresti. Quotata in borsa, è passata di recente sotto il controllo di Unipol.
Sposa Antonietta Susini, detta Bambi, figlia di Alfio, un personaggio chiave per gli affari edilizi a Milano, e da quel momento riuscirà a mettere mano in tutti i più rilevanti interventi urbanistici del capoluogo lombardo: Expo, Fiera, Garibaldi-Repubblica. Ma non si ferma qui: Firenze, Torino, il nome di Ligresti dai primi ‘80 fa rima con cemento.
Nel 1981 la moglie viene rapita e tenuta sequestrata per circa un mese dietro il pagamento di un riscatto da 600 milioni; successivamente due sospettati del rapimento, Pietro Marchese e Antonio Spica, finiscono morti ammazzati; il terzo, Giovannello Greco, fedelissimo del vecchio capo di Cosa Nostra Stefano Bontate, scompare nel nulla fino al 2002, quando si costituisce.
Nel 1984 è stato oggetto di un’indagine di polizia perchè sospettato di avere rapporti con Cosa Nostra: il fascicolo viene inviato l’anno dopo a Milano, da Roma, sul tavolo del magistrato Piercamillo Davigo, poi affiancato anche da Filippo Grisolia, che già indagava su Ligresti per alcune licenze urbanistiche. Il dossier finì nel dimenticatoio dopo poco.
Angelo Siino, imprenditore mafioso di Cosa Nostra considerato il “ministro dei lavori pubblici” della mafia accusa Salvatore Ligresti, nei primi anni ‘90, di avere come relatore della mafia addirittura Nitto Santapaola, che avrebbe favorito Ligresti addirittura arrivando a stravolgere il sistema della distribuzione degli appalti messo in piedi dalla mafia: anche le dichiarazioni di Siino però restarono lettera morta.
Negli ‘80 diventò il più potente immobiliarista di Milano.
Nel 1996 Gaspare Mutolo riferì una “confidenza” fattagli da Vittorio Mangano, il mitico “stalliere” di Arcore, secondo il quale Ligresti riciclava i capitali mafiosi della famiglia Carollo (la Duomo connection)
Nel 1992 venne coinvolto nello scandalo Tangentopoli, arrestato e condannato per tangenti: patteggiò una pena a 2 anni e 4 mesi, fu affidato ai servizi sociali e continuò con la sua attività di costruttore, restando tuttavia anche un importante finanziere: non si limita infatti a controllare SAI ma possiede anche Pirelli, 5,4%, la Cir di Carlo De Benedetti (5,2%), l’Italmobiliare di Giampiero Pesenti (5,8), l’Agricola Finanziaria di Raul Gardini (3,7).
Qualcuno, viste le quote azionarie molto simili, comincia a chiamarlo “mister 5 per cento”; nel 2004 entra anche in RCS Mediagroup sempre attraverso la holding Premafin (diventata un gigante), mantenendo fede al soprannome e detenendo il 5.291%, partecipando sempre con Premafin al patto di sindacato per il controllo della società editrice.
Salvatore Ligresti è stato anche consigliere d’amministrazione di Unicredit fino al 2011 rassegnando le dimissioni
“in relazione all’evolversi delle relazioni di affari del gruppo facente capo alla famiglia Ligresti con UniCredit”
Oggi Salvatore Ligresti è stato arrestato con l’accusa di falso in bilancio e manipolazione di mercato, reati per i quali, in tutto il modo esistono pene dai 20 ai 30 anni di reclusione.



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