martedì 8 dicembre 2015

Montale e la libertà di volare di Marilena Pallareti

Che raccolta difficile La Bufera e Altro 
Mi stupisce sempre la leggerezza con cui i giovani trattano Montale... è un altro di cui si parla troppo e male, anche a causa dei programmi scolastici, ma soprattutto a causa della generazione di poeti a lui successiva (dalla quale seppe anche apprendere una nuova modalità espressiva), che lo consacrò nel santino dell'esistenzialismo europeo. A Montale n
on interessavano di certo le categorie e, da poeta antiaccademico qual'era, minimizzava o banalizzava sempre le sue opere. Poi era molto ironico, appartato, diffidente, spigoloso. Culturalmente, però, ci è stato consegnato così: come il simbolo dell'autodeterminazione laica, dello spirito libero che, indifferente, canta con tono sommesso lo smarrimento dell'uomo contemporaneo, che scorge il mondo dalla feritoia del privato, e altre sciocchezze simili, che vengono più o meno dette per ogni poeta o scrittore del Novecento. Sulla Bufera vorrei dire molte cose, ma ho paura di perdermi, perché è una raccolta magmatica e bisognerebbe lavorare su più campi, riconducendoli a un'unità concettuale, quella della catabasi nichilistica. Lo sfondo è la seconda guerra mondiale: Montale sonda la Morte del concetto di storia, diviene cantore del differire da sé, il divenire lo domina, annientandolo (questa è la vera guerra, come per l'Ungaretti dell'Allegria). Siamo in presenza di un inconscio teoretico che Montale rappresenta nella poesia; non lo può concettualizzare, né analizzare, perché è poeta, non filosofo. Ma l'occhio del poeta guarda questo entroterra, non guarda la superficie del movimento esistenziale. E questo fa di un poeta un grande poeta, per quanto mi riguarda: rilevare il principio (in questo serve l'aiuto della filosofia però), non basta parlare di ciò che discende come manifestazione da tale principio, altrimenti è inutile sperare di accedere all'univerale. Che poi il Novecento rivendichi l'assolutezza del particolare, prima, e la caduta titanica, poi, è un problema serio, che andrà affrontato, per capire soprattutto che il Romanticismo non termina con l'Ottocento. Montale, come Rebora, come Ungaretti, nel Novecento è tra i pochi che abbia questa competenza: lo fa capire molto bene fin dagli Ossi di Seppia, quando affida alla sua Poesia il compito di comunicare "la stortura di una leva che arresta l'ordegno universale". E poi nella Bufera abbiamo due donne angelicate, che curano il fantoccio del poeta, abbiamo la Poesia Gli Orecchini, che Gennaro Sasso ritiene un autentico manifesto filosofico (cfr. Il Logo e la Morte). Sconvolge questo aspetto: due donne e nessuna di queste è Drusilla Tanzi (riflettere, prego, quando leggerete l'opera). E poi abbiamo il termine "potere", che ricorre spesso, ci facevo caso oggi. Ma potere non è un termine casuale: è la categoria del politico, che argina la violenza della contraddizione. Ma l'arbitrio del potere ha condotto alla fine della storia e i visiting angels di Montale signoreggiano sulla sua anima, esercitando un potere. Dopo questa raccolta, Montale cadrà in un silenzio poetico di 6 anni e solo nel 1970 verrà pubblicata la raccolta che inaugura la nuova stagione (Satura). Dal '70 in poi Montale parlerà come cadavere e su ciò potremo svolgere altre importanti riflessioni. E' bello vivere, se si può comprendere la grandezza di questi geni della letteratura mondiale.
Buon lavoro a chi studia Montale.

Serenata indiana

E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.

Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,

ciò che dici, m’appare in tuo potere.

Fosse tua vita quella che mi tiene sulle soglie
e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,

non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te.Tu gli appartieni

e non lo sai. Sei lui, ti credi te.

Eugenio Montale, La Bufera e Altro (1956).



lunedì 16 novembre 2015

MONOLOGO DI UN ETILISTA (Terza parte )

Terza parte

MONOLOGO DI UN ETILISTA


Antonio Recanatini
parte terza
Giusi rimase a dormire dal maestro.   Ogni tanto era lei a cercarlo, quando aveva bisogno di calore umano. Quell’omino così turbato si mostrava  un amico sincero, difficile da capire, ma non l’aveva mai insultata e non si sarebbe mai permesso di vietarle di fumare troppo.
Al  mattino si svegliarono nello stesso letto, Renato si alzò per primo, nonostante i giramenti di testa e lo stomaco in subbuglio.  “Buongiorno Giusi”, “Buongiorno Renato”.
Qualcuno, nel vederli, li avrebbre scambiati  per una coppia datata, invece si vedevano   una volta al mese, anche meno.  Il maestro si diresse in  bagno, certi impegni non sentono l’obbligo di aspettare momenti migliori. Ne approfittò  per farsi la doccia, la barba e  mettere una tuta di cotone. In  camera,  Giusi già teneva tra le mani la prima sigaretta del giorno.  Renato si distese di nuovo sul letto e chiese “mica è successo qualcosa di grave ieri sera?-
Ella scoppiò a ridere, le piaceva  ironizzare sul sue non prestazioni “Finita la prima bottiglia, hai recitato  il tuo solito monologo, nient’altro. Ma come fai a vedere questo amico immaginario? Chi è questo Massimo?-
La domanda era logica e scontata, la risposta, invece,  complicata. Soprattutto spiegarlo a una donna alla mano, essenziale  come lei, semplice e leale, ma non si perse d’animo. “Provo a raccontarti come viene,   Massimo è il nome di un Compagno con cui ho litigato migliaia di volte. Ti spiego meglio, un periodo della mia vita ho fatto il ribelle nei movimenti studenteschi dell’epoca. Andavamo a prendere i fascisti sotto casa, rubavamo ai ricchi per dare ai poveri. La gente di questa nazione era  diversa, eravamo  sempre  in tanti. Dopo qualche anno  beccarono me e altri Compagni, durante una manifestazione  finita a sassate. Carcere duro, poi riabilitazione. Lui mi pungolava sempre, non era mai  d’accordo, eppure il giorno dopo si presentava prima degli altri”.
Normalmente Giusi   si sarebbe accontentata.  Quel mattimo, a bocce ferme, pretese un racconto “dimmi qualcosa che ti ha fatto male”. Renato la prese a ridere “le tante donne passate  nella mia vita, mia moglie, i miei figli che non vedo da anni e anni”.
Giusi conosceva abbastanza quel periodo, voleva tornasse ancora indietro “Dimmi qualcosa di quel periodo da ribelle, qualcosa che ti  ha lasciato il segno”.  Renato non dovette pensarci sopra, aprì immediatamente la bocca “Ricordo perfettamente il primo arresto. A quel tempo non ero abituato alle manette, quando sentii il rumore della chiusura, la mente scivolò al pacchetto di cerini rimasto in tasca. Se fossi stato fortunato mi sarei imbattuto in  una bottiglia piena di benzina, ma ormai mi avevano ammanettato. E’  strano, sai?  Solo nel momento dell’azione mi accorsi quanto dolore provocasse  l’essere ammanettati, con le mani dietro la schiena e le divise ai fianchi;  io impotente, loro armati e in tanti. Accesero le sirene, allora  mi venne istintivo chiedere  “che senso ha fare la scena? Ormai mi avete preso”. Il più giovane, forse il più stronzo, mi rispose guardandomi sicuro di se’, armato e io ancora in manette “facciamo festa, quando si arresta un comunista è sempre festa”.
Nel sentire quelle  parole, la sua amica si alzò in piedi e inveì contro il mondo intero “pezzi di merda loro e tutti quelli che fanno la spia. Fanno schifo, schifo, schifo!”
Renato la strinse a se’ , deciso a fornirle una parte del  calore rimasto, ma lei insistette “perchè sei diventato comunista, allora? Spiegamelo in parole povere”.  Quella domanda diretta lo prese alla sprovvista, se l’avesse posta un giovane del liceo o uno studente universitario, avrebbe potuto sviolinare Brecht, Hikmet, qualche spunto di Lenin.
Con lei no, doveva parlare dei suoi sentimenti.  Prese tempo e servì un bicchiere di rosso;  certe usanze vanno  rispettate tra gli etilisti, soprattutto  al mattino. La risposta giunse con un filo di voce, mentre Giusi, ormai, s’era  aggrappata  a ogni respiro che usciva dalle sue labbra “bella domanda Giusi! Ho sempre creduto che l’unione dal basso, della gente di strada con i padri di famiglia, gli operai, i cittadini onesti,  ci avrebbe portato alla lotta armata. L’abolizione della proprietà privata, volevo questo  e ci credevo fino a farmi arrestare. Credo sia inutile dirti che questo sogno l’hanno interrotto i traditori. Gente che,   arrivata al potere, ha cambiato pelle, li chiamavamo gli opportunisti”.  Giusi si fece ancora  più curiosa, davanti al mosaico illustrato “secondo me, chi pensa di cambiare gli altri è un malato.  Dovrebbe farsi curare lui e non gli altri”.  A Renato parve sensata quella risposta, trovava più verità in quelle parole, che in quella di tanti Compagni “Giusi,  è   tutto dissolto, come si dissolvono gli amori estivi.  Rimane la mia foga, il bicchiere e Massimo che viene a punzecchiarmi. Ieri mi ha detto “volevamo realizzare  grandi sogni, invece ci  accontentammo del contratto nuovo per i lavoratori. Prima sognavamo la dittatura del proletariato, adesso andiamo a pregare il padrone per  un lavoro sotto pagato, lottiamo per avere un parco pubblico. Non ci sono più grandi sogni, viviamo nella solitudine, praticamente abbiamo fallito. E’ tutta qua la mia storia da Comunista!-
Si sdraiarono sul letto nella speranza che Renato trovasse l’ispirazione per baciarla, come lei desiderava da tempo. Lui scivolò nel lucubre mondo di rimorsi e ira da svendere, dimenticando Giusi e il suo fisico imponente  “mia moglie e i miei figli dicono che vivo di sogni perché sono un alcolizzato, in realtà sono un alcolizzato perché non sogno più, ho perso il sogno. Eppure darei ancora la vita per quell’ideale. Sono un residuo, un avanzo, un sopravvissuto in questo poligono di tiro a segno, che chiamano capitalismo. Lo sei anche tu, ormai lo siamo tutti!”
Giusi, da attenta osservatrice, lo travolse con una domanda, a cui non sapeva rispondere   “quindi, niente più sogni, è finito tutto?-
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore.
La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti.
http://www.blog-lavoroesalute.org/monologo-di-un-etilista/

martedì 13 ottobre 2015

Una bellezza da deturpare

Ad Ankara hanno ucciso la bellezza del mondo
La folla brillava per illuminare il sogno di una storica pace
c'era un imbianchino vicino alla figlia del dottore
poco dietro un dirigente comunista ad alimentare il coro e
un barista giovane insieme all'insegnante di sostegno.
Ad Ankara hanno ucciso la bellezza del mondo
il padrone e il suo lecchino hanno colpito a caso.
L'affronto violava le ambizioni degli eletti a forza
troppa gente, troppa verità, troppi pugni chiusi
troppi sogni e troppo amore girava in quelle strade.
Il potente parlava di male ricomposto e
la chiesa gridava allo scandalo, il portaborse non sapeva.
Ad Ankara hanno ucciso la bellezza del mondo
i giovani scortavano gli anziani, il sorriso colorava il cielo,
la terra trasudava gioia e stupore nell'accogliere il sogno,
il velo accanto ai capelli lunghi e ricci, la croce senza spada.
La gente usciva in strada ad applaudire,
poi il botto, le urla, il sangue, il fumo, il pianto, la paura e
la notizia: oggi, anche ad Ankara hanno ucciso la bellezza.

lunedì 7 settembre 2015

L'amore dannato

Chiudimi la porta e allontanami
spingimi via, così come ti viene.
Toglimi il saluto, toglimi lo sguardo
non leggere più le mie parole,
non rispondere più quando ti chiamo.
Sparami come ti riesce meglio
cospargi di benzina ogni mia idea
e accendi quel fiammifero risparmiato,
rilancia le tue occhiatacce e urtami.
Giura sulla tua inquietudine, sul tuo odio
e ripetimi ancora che vuoi partire,
che questo amore non funziona
che non funzionano più i lamenti.
Abbandonami per strada sotto il diluvio
perdimi e mostrami la tua decisione,
dammi le tue ragioni e dimmi
"da domani non voglio nemmeno
sapere che esisti o che respiri da re".
Ma lasciami le medicine sul comodino
e lascia un po' di disordine in giro,
il bicchiere di vino appena assaggiato e
il pane morsicato e le briciole sotto il tavolo,
Non chiudere la porta dello stanzino e
di notte, se piove, se fuori c'è la guerra
fammi sentire che sei rientrata.
Non abbassare le serrande e
non chiudere le tende, mi basta l'ombra,
mi basta un soffio per sapere del tuo amore.


(Antonio Recanatini)

martedì 1 settembre 2015

Un castello di smanie di Antonio Recanatini

Entra in questo mio castello, l'avevo messo da parte per te.
Entra e vedrai,  i fiori ci accoglieranno all'entrata
stringimi la mano.
Nell'angolo di una sala ci saranno dieci cantanti a rigar il cuore 
e cento poeti a dedicare strofe,  verranno anche dei gatti,
seguimi e ascolta, seguimi e sorridi, seguimi e amami.
Ho comprato del vino,  andremo  a bagnar il piacere.
Di là  ci sono  due guardie dipinte e un blasfemo a ritmare il passo di danza,
chiameremo le comparse e qui diventeranno attori,
nella stanza dopo c'è un quadro scuro che non sa di niente
nelle pareti vedrai  le mie parole dedicate a te.
"Volerei se tu volassi, piangerei se tu piangessi,
la tua forma è  un'ombra delicata sopra l'anima
accenderai  tutte le luci del cuore, sarai l'unica regina".
Adesso sali sopra con me, corriamo, corriamo, mio amor
qui c'è l'angolo della disfatta, ci sono crisantemi e vecchi armadi,
qualche volta sono venuto qui quando mancavi, quando ferivi.
Senti queste chitarre? Sono dei  gitani che ho invitato per l'evento
son venuti con  le loro donne a ballare, hanno  le gonne lunghe e i nastri nei capelli,
l'odore che senti proviene dal pesco che vive in giardino.
Vieni voglio mostrarti la stanza affianco,  tienimi la mano,
qui vedrai le barche affondate e tante anime in cerca di destinazione
tanti figli rimasti impigliati, tu mi aiuterai a liberarli e ai loro bambini
insegneremo i giochi che tu stessa inventavi, perché sapevi che nulla scende dal cielo.
Vieni, seguimi ancora, ancora amore mio e stringiti a me
lascia passare questi ladri, hanno le sacche piene di doni e cibo
saranno distribuiti a chi ne ha bisogno e guai a chi disente, a chi obietta.
Lassù ho lasciato la parte di cuore mancante e me ne scuso, amore mio
non sono mai stato troppo sano,   è stata la vita a tenerlo occupato,
è stata la vita ad averlo consumato, mancava  uno stregone a cui rivolgersi.
Dietro quella porta chiusa, invece,  sono rimaste le buone idee e i buoni propositi
qualcuno li ha imprigionati, qualcuno ha deciso di rinchiuderli per sfinirli, deturparli;
con te voglio cercare le chiavi, voglio sfondare quel muro e farli lievitare nell'aria.
Entra qui, c'è un mare intero per i pesci venuti a galla, stanno facendo festa
credevano di morire e adesso sperano, come se morire e sperare non avessero
lo stesso urlo, la stessa perdita, la stessa fine; come se non bastasse un altro oceano.
Vieni, non fermarti, vieni a vedere quanti vecchi stanno ricordando l'amore della vita
la fortuna d'essere nati, di poter raccontare e sognare d'esser stato un altro, guardali
non hanno i capelli bianchi, non hanno rughe e ridono di cuore, parlano di cuore.
Sali, sali con me, sopra c'è una  cartomante, nessuno racconta il falso meglio di  lei
vengono in molti a trovarla e lei regala a tutti un futuro luminoso, un amore e dei gadget;
nel salone a fianco ci sono cinque contadini che controllano il raccolto e sbraitano sempre.
Questa stanza azzurra è il luogo dove si perdono gli amori, dove spariscono i sogni e
rimane solo un'amarezza, non si curano i dolori, ma molti credono sia il posto giusto
ci sono solo fiori appassiti e piante morte, alberi falciati e rami secchi come la noia.
Qui, il nostro amore è di troppo, loro hanno un dio con cui studiare la nuova guerra,
a noi rimane solo il tempo di amarci, non possiamo perderci in questo spreco.
Passeremo sul balcone la notte, c'è una prato immenso e foglie cadute a caso
sopra, in  alto, stelle filanti e fumo rosso a disegnare nuove forme di vita;
dormiremo sulla neve, non sentirai mai freddo con me,
non ti sentirai mai appagata; avvolgimi,  non val la pena morire.

mercoledì 22 luglio 2015

Fascisti di cosa nostra e pennivendoli antirazzisti

I pennivendoli ben oliati dal conservatorismo repubblichino, calcano la mano sugli ultimi episodi di intolleranza verificatisi in Sardegna e nel Lazio. Leggendo è impossibile non provare sdegno e vergogna per certi idioti che applaudono quando un pullman di immigrati se ne va; impossibile non provare vergogna e sdegno immaginando altri cretini che vogliono lo sgombero di uno stabile, appena occupato dai rifugiati. Vengono intervistati gli autori dello scempio, farfugliano motivazioni strampalate per giustificare i loro "nobili" gesti. I pennivendoli tracciano anche un identikit del perfetto razzista di periferia, di colui infanga il valore e l’immensità del popolo italiano. Aggiungono perfino delle "preposizioni" psicologiche, come la paura del diverso, l’innato razzismo degli italiani; mi è capitato di leggere paragoni con i focolai razzisti di moda in tutta Europa, (mai con gli Usa, in quei posti il razzismo non esiste). Sorrido, rido, prendo aria, del resto con questo caldo è quasi impossibile intentare una rivolta personale, tutto merito della tv che "focalizza i focolai", non le stragi consumate a largo, non il genocidio di africani, non gli epiteti razzisti pronunciati dai fascisti europei, compresa la lega, specie se appoggiano governi della pseudo sinistra truffaldina. Si sta giocando sporco sulla pelle degli altri, si sta giocando una partita infame e bastarda come tutti i confronti di questo tipo, la rabbia del popolo solleticata a dovere potrebbe far di peggio. No, signor miei, l’Europa razzista va giudicata dal comportamento delle istituzioni, dal numero dei morti e dei dispersi in mare, dal numero di barche mai arrivate, dallo sprezzo dei governi, dall’informazione bacata, dagli intellettuali svenduti. Bravi, avete dimostrato che il razzismo è una piaga sociale, non un comportamento dei regimi, avete scagionato i colpevoli e incastrato il popolino servitore; si chiama manipolazione di massa in certi posti, voi chiamatela ignoranza storica. Io non credo nell’odio della gente verso gli immigrati, io non credo nel razzismo dei bassifondi, quella si chiama guerra tra poveri. Io credo che i pennivendoli pagati per spostare l’attenzione, pagati per deviare la mira, dovrebbero diventare bersagli di chiunque abbia un po’ cuore da sacrificare.

mercoledì 24 giugno 2015

Il poeta

"Il poeta deve contrapporsi alla religione, deve ricordare al povero che rubare ai ricchi non è peccato, che vendicarsi di un compagno picchiato è giustizia, che odiare i privilegiati è un suo diritto. Egli deve ricordare all'uomo che non esiste amore impossibile, non esiste un giorno del giudizio, ma il giorno del rigurgito e della rivolta. Il poeta è colui che viola le norme a favore del proletario, colui che scardina l'ipocrisia e bombarda la mediocrità, irriverente verso il patinato. 
Tutti gli altri sono stati divi, non poeti".

(Antonio Recanatini)


martedì 23 giugno 2015

Figli di papà made in Italy

A proposito di un paese senza dignità, leggo che molti italiani difendono il figlio di papà Corona, quello che è stato rilasciato. Non so dove siete nati, ma dalle mie parti uno che ha una miriade di condanne come lui, va in carcere e ci rimane vent'anni. Chi pensa che è in carcere per aver fatto solo due scatti dovrebbe farsi anche lui un paio d'anni di isolamento. Buoni con i privilegiati e cattivi con i deboli, dovreste schifarvi di tutto ciò, dovremmo fare una rivoluzione solo perché la magistratura condanna chi dice "paese di merda" e sorvola su chi parla di ruspe contro gli immigrati. Rivoluzione, rivoluzione o sarà fascismo, buona serata a tutti!

IL MIO PAESE, LA MIA TRAGEDIA
Il mio paese è la mia tragedia.
Colline, montagne e
spiagge ridicole e
abbietti sulla scena,
tantomeno paese,
tantomeno nazione
ma di certo
un putrido misfatto irrisolto.
Un attentato alla civiltà e
imbiancato
da vesti sacerdotali
con turpi tappeti
a copertura
di squallidi e
convulsi trattati.
Un sangue acido e corrosivo
tra Europa e Africa,
armata e
mai e poi mai
distinta in evoluzione.
Lasciarti è dovere
per chi ama,
lasciarti è il giusto rimedio
per non incontrarti più e sola
e funebre
tra briganti collusi
e oscurantismo assicurato
per memoria e cultura.
Un popolo assetato
di giustizia ma
imprigionato e manipolato
da contrabbandieri
della verità e
della passione venduta
per un posto dove il sole non arde.
Non servi a te,
non servi al tempo
che una rivolta possa
colpirti di notte
e ritornare
a splendere come stella
nell'universo che
ti ha scordato.
Il mio paese è la mia tragedia.


venerdì 5 giugno 2015

ragione. Racconto per Lavoro e Salute MONOLOGO DI UN ETILISTA

ragione. Racconto per Lavoro e Salute

MONOLOGO DI UN ETILISTA.

Pubblicato da 

“Chissà cosa direbbero di me se sapessero che ho la fissa per il lato b delle donne?  le faccio passare avanti, non per galanteria, solo per ammirare quel fantastico disegno accennato”
Quella  era una sera un po’ diversa dalle altre, Renato pensava a tutto ciò che il mondo definiva miseria umana, ai pensieri reconditi, a ciò che nascondeva come fosse una malvagità.
Solito bar, solito scaffale, solito specchio “portami una caraffa di vino, Daniele”.
Nel bar non c’era tanta gente, spiccava Elena, la più pazza del quartiere, in attesa della notte per potersi mascherare e offrire il  suo bagaglio sensuale, poco più in là, sedeva  Enzo l’avvocato e Michele lo spazzino, ambedue distrutti da una storia d’amore, ambedue crucciati, ambedue perdenti; mentre il solito Romeo entrava e usciva,  dopo un colpo di wisky diretto al fegato o quel che ne era rimasto.
Renato salutò tutti alla fine del  terzo bicchiere, prima non avrebbe avuto senso,  si fece riempire la caraffa e sedette nel suo solito angolo, ormai lo conoscevano tutti e chiunque entrava non badava più tanto a lui.  Come al solito l’amico dei ricordi, l’amico mai nato di nome  Massimo,  sedette di fronte a lui per provocarlo, come solitamente fanno i demoni descritti dai cattolici  “maestro fallito, padre assente, che senso ha avuto per te vivere?”
Renato non alzava mai gli occhi quando rispondeva alle accuse dell’amico, non lo fece neanche quella sera  “ogni sera le stesse domande, ma che vuoi? Ho fatto il 68… io, ho scioperato per i diritti dei lavoratori, ho lottato onestamente, sono gli altri ad avermi tradito. Rimani solo tu, che vieni a interrogarmi, mia moglie non c’è e non dirmi che è colpa mia.
 Sai… stamattina pensavo ai giochi pericolosi, quando volevamo scannare i perbenisti, a quando tu e gli altri pensavate di prendere  Roma e proclamare la dittatura del proletariato; credevamo  di poter battere qualsiasi esercito, ma eravamo davvero mille, non come la favola su Garibaldi.  Io sono stato un vero combattente, un vero animale da guerriglia, anche se mi vedi basso… io so anche  essere alto, ma mai troppo alto. Vedi Massimo, tu vorresti sapere se tutto ciò ha avuto senso… Mi fai ridere, sai quante cose senza senso ho fatto?   Non  conto più le volte che ho abbracciato le cause perse, qualcuna l’ho portata fino allo spasmo. Non voglio,  non ho cercato  onori… io.
Siamo italiani, tu non sai quanto mi sembra  assurdo definirmi italiano… Ma lo  vedi quell’esercito attaccato ai cellulari? Quei ragazzi con le cuffie che parlano da soli? Parlano, ridono e promettono impegno, poi se la squagliano quando il gioco si fa duro… E quelle mamme che litigano con la maestre perché pensano di aver un genio come figlio?  Sono sempre le stesse, tutte uguali, al passo con la moda, rossetto grottesco e  ignoranza incorporata, eppure sono convinte di saperne più dei professori e, invece, pendono dalle labbra di un figlio straviziato e un po’  stronzetto. Ma non li vedi quando litigano per il calcio? Eh,  il calcio…   ancora capisco come fanno a credere nel calcio, a credere nella coscienza dei ricchi, proprio loro che credono in un Gesù che disse -È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio-… forse credono che un cammello possa entrare nella cruna di ago… eh! Te l’immagini?
 Tornando a me, io volevo solo non parlare troppo bene degli Ebrei e degli Stati Uniti, volevo raccontare dello Sputnik… Ma che vuoi raccontare a dei ragazzi che  vedono in tv i telefilm, i film, i racconti e le belle storie su New York?  Manco fosse Roma o Parigi.  Hanno messo sottosopra il mondo, la chiamano nazione, mentre quella è stata un’occupazione illegittima e invece… invece niente, tutto come peggio di prima, tutto come a fine Ottocento… Chissà se qualcuno un giorno lotterà per i suoi diritti? Perché… sai, io li vedo poco incazzati, non come noi!  I governi di qua  vogliono un cittadino che chieda umilmente di mangiare… sai perchè? Perché la carità è borghese, la carità è una beffa per far apparire il ricco un gentiluomo e il povero uno sbandato, se si unissero tutti i proletari del mondo, i potenti lascerebbero il comando senza opporre resistenza…. Tu te li immagini i principini a combattere da soli contro la gente? Sai che risate! Io li immagino con la calzamaglia e la spada a combattere contro operai grandi e grossi. Farebbero una brutta fine, ne sono certo”.
È mattino ormai, lo specchio ha spento l’immagine riflessa, Renato si abbottona  la camicia, riprende  le chiavi, il portafoglio, l’orologio, il cellulare ed esce  fuori, un’occhiata al cielo e il mondo lo porta via, fino alla prossimo incontro.
Antonio Recanatini
Racconto pubblicato sul nuovo numero del periodico lavoro e Salute
http://www.blog-lavoroesalute.org/monologo-di-un-etilista-stati-danimo-e-vissuto-di-sconfitti-dalla-volonta-ma-non-dalla-ragione-racconto-per-lavoro-e-salute/

martedì 26 maggio 2015

"SINISTRA" sinistra



Ero in Grecia, ad Atene, quando SYRIZA trionfando alle elezioni diffuse una speranza in tutta Europa. Tornando in Italia fui uno di quei “portatori sani” di entusiasmo, per così dire; testimone di un’esperienza che aveva molto da istruirci sulla fase politica attuale e sulle soluzioni “per un’uscita a sinistra dalla crisi”, come si suol dire, e che io volevo raccontare lucidamente trasmettendo sì fiducia, ma senza faciloneria. 
Appena tornato in patria però, mi sono subito accorto dell’anomala differenza di prospettive che si aveva sui medesimi fenomeni: per esempio qui non si parlava altro che di Tsipras, mentre in Grecia l’attenzione era tutta per SYRIZA, rivolta al movimento in sé e non tanto alla leadership. “Alexis è uno dei tanti”, ci facevano capire i compagni greci, che hanno costruito negli anni attraverso le lotte e le pratiche questa nuova realtà, e non l’uomo della Provvidenza, come vuole sembrare Renzi in Italia; tant’è che il duce fiorentino non ha perso tempo e subito ci ha tenuto a mostrarsi agli occhi dei suoi sudditi come l’omologo italiano del neoeletto premier greco. Ed ecco che davanti agli occhi mi scorre in breve tutta la storia della nostra nazione, dalla sua fondazione a oggi, fatta più che altro (o per lo meno così è raccontata sui libri) di personaggi straordinari che hanno rivestito il ruolo di protagonisti; come se l’unificazione (la conquista), la rivoluzione (la dittatura), la Liberazione (la rivoluzione) e infine la democrazia (un’altra dittatura) fossero state merito di quegli unici artefici degni di essere ricordati con una lastra di marmo e qualche via qua e là sparse per le città italiane. Come se la storia la facesse l’Uomo e non gli uomini (e le donne!) che nelle condizioni in cui erano hanno vissuto, patito, desiderato, combattuto, perché questi sono gli esseri umani è questa è la società fin qui conosciuta. Siamo sempre quel paese clericale, egemonizzato dalla cultura cattolica, che crede nei martiri e nei cristi mandati dalla Provvidenza a salvare un mondo di peccatori, per mezzo dell’intercessione divina! 


Ecco, cosa ci vorrebbe per ricostruire la Sinistra in Italia: una manna dal cielo e un segno del Destino per capire qual è la strada da seguire! Solo che questa gente della Sinistra, confusa e devota a un tempo, accecata dal culto dei santi, attaccata alle icone del passato, spesso pretende di rifarsi ad un'altra cultura, ad un'altra storia.


Così il motto diventa: “Addà venì Baffone!”. Civati, Vendola, Landini, Tsipras, Stalin, Mao, Fidel e chi più ne ha più ne metta. Il punto è che ci vorrebbe sempre uno come uno di loro, a raccogliere le sorti di una realtà decadente e guidarla all’ascesi verso nuovi orizzonti, che vedano venire alla luce un movimento, partito, o che ne so, della sinistra italiana!

Ma che poi… Qual è questa presunta “sinistra”? Che vuol dire essere di “sinistra”? Partiti, partitini, partitucoli, satelliti, meteore della scena politica; movimenti (della bile); attivisti (e passivisti per parità); comuni… “cittadini”? Chi sono questi?! Che razza di gente è questa?! E soprattutto… Che diavolo ha in testa?!
Ci siamo mai fermati, almeno nell’ultimo decennio, almeno per un istante, a chiederci: qual è l’attuale fase storica e qual è il nostro ruolo… di comunisti?


Eh sì, perché la Sinistra non la fai senza i comunisti! Senza i comunisti puoi fare la Democrazia Cristiana; tanto la storia è la stessa di prima! Puoi fare il chierichetto dentro al partito-nazione, per poi pretendere di uscirne pulito quando sei stufo di impastare le ostie e non ti fanno bere neanche un goccio di vino, ma puzzi ancora di incenso; stracciarsi la tonaca non serve: non è che ancora ti ricrescono i capelli in cima e già lanci un nuovo soggetto politico alternativo alle logiche che fino a ieri hanno “penetrato” il tuo spirito – e soltanto quello, se ti è andata bene.
I comunisti sono essenziali per fare proseliti pure negli oratòri, ma soprattutto per le strade, tra i figli di operai e le puttane, i cani randagi e i barboni! Essi intuiscono la realtà; la interpretano, la organizzano, e la rendono percepibile dalla classe sociale di cui sono espressione, trasformandola in una macchina da guerra contro l’ingiustizia del capitale, contro il furto della proprietà privata.


Ebbene qualunque realtà che ambisca a rappresentare gli interessi economici e sociali dei più deboli, per quanto grande la si possa pensare, non ha senso chiamarla “Sinistra” se non sono i comunisti, quella sua parte infinitesimale, a determinarne in maniera decisiva gli orientamenti! Per questo abbiamo bisogno di studiare e applicarci per diventare ovunque egemoni. Per questo abbiamo bisogno di un partito che sia espressione della nostra attività e che la regoli e la disciplini, massimizzandone l’efficacia! Per questo abbiamo bisogno di ridiscutere noi stessi e le identità senza sosta! 


Davvero abbiamo bisogno di questo, e non di una comunità di genuflessi, a fare l’elemosina col cappello in mano ripetendo parole vuote, per ingraziarsi il fantoccio di turno, a sperare che la Verità ci pervada dall’alto e magari ci mandi… l’ennesimo messia!






GIACOMO KATANGA

domenica 19 aprile 2015

Strage di africani

Chissà se 700 migranti morti in mare varranno quanto uno studente statunitense ammazzato? Mi chiedo solo se lo sgomento, lo sdegno e l'umanità abbiano tutte un colore definito o siano solo accezioni, mi chiedo se un giorno, guardando questo scempio, saremo capaci di chiamarlo genocidio, strage voluta, massacro di africani. Mi chiedo se vale la pena, poi, parlare di doveri, quando il diritto alla vita equivale a un terno a lotto, mi chiedo se qualche illustre giornalista saprà puntare il dito verso i colpevoli, sempre più nascosti. Mi chiedo che lutto porteranno, che parole diranno, che sorriso adotteranno i razzisti che, ogni giorno, incolpano gli immigrati per il degrado intorno; eccovi servita la cena!
(Antonio Recanatini)

venerdì 17 aprile 2015


La pseudo sinistra rabberciata di Antonio Recanatini

Non voglio infierire su questa "PSEUDO-SINISTRA-RABBERCIATA", sarei scontato, sarebbe un po' come sparare a un'ambulanza ferma su una strada deserta e con i lampeggianti accesi. Voglio solo ricordare che se "certi parlamentari" fossero stati vicini al popolo, nelle periferie o nei posti dove il privilegio non esiste, avrebbero già lottato da tempo per i modi e i costumi della polizia. Vedete, qui tutti conoscono la mano carezzevole degli agenti, nessuno si meraviglierebbe nel sentire le parole di una divisa o camicia nera che sia. Qui portiamo tanti lutti per le morti in carcere, sistematicamente classificate in suicidi e che lasciano dubbi, ma tanti, tantissimi dubbi. Se voi aveste ascoltato la voce degli ultimi o quella che voi definite "la voce dal basso", probabilmente non fareste la figura dei buffoni che giocano con il sistema e con il reato di tortura, come se l'abuso di potere, falso ideologico, violenza e alto tradimento non fossero reati da condannare. Tempo fa, c'erano sezioni in ogni quartiere, i politici messi in lista conoscevano tutte le anomalie, tutte le vergogne su cui questo paese non osa specchiarsi. Non c'erano figli d'arte, si cresceva con un certo squilibrio psicoattitudinale, ma con cuore ed entusiasmo e c'era sempre qualcuno pronto a scavalcare le barricate del perbenismo.
Una sinistra che si distacca dal sociale diventa preda del sistema, dirigenti che non hanno visto la miseria sono inutili, quanto sono inutili gli intellettuali a cui si chiedono congetture, idee e proclami. Sapete, una volta gli intellettuali, i filosofi, i cantanti, i pittori, i poeti e perfino qualche idiota ci tenevano a identificarsi con il lavoratore, con il rivoltoso, con un Impastato o un Arrigoni di turno, che non nasceva mai a caso.
Bisogna resettare tutto e ricominciare a tessere la tela, usare il confronto per ricreare l'insieme e non come migliaia e migliaia di cani sciolti, pronti a darsi lustro e una boccata di pubblicità quando un fattorino rivendica di aver portato a termine una missione "pacifica". Crescere insieme è fondamentale, come è fondamentale riportare la sinistra nei luoghi d'infanzia, solo con la forza proveniente dal basso son possibili grandi traguardi