lunedì 27 ottobre 2014

UNA STORIA NORMALE di Antonio Recanatini

Nelle strade della mia città non è difficile incontrare Stefano, un piccolo selvaggio per la società, in realtà è un vagabondo, legge e poi racconta il libro ai passanti, tramutandosi da lettore a protagonista principale.
Sorride e si diverte a guardare i bambini, lui non è mai stato bambino, sembra uno di quegli uomini che alla nascita hanno già una trentina d'anni.
È fuggito da una decina di orfanotrofi, iniziò molto presto a dormire in spiaggia o in qualche letto prestato, il solo amico che l'accompagna è Willy, un pastore tedesco, non diverso dal suo padrone nei modi.
Si accontenta di venti centesimi, dieci, non vede neanche quanto versano nel suo cappello, regala comunque il sorriso rovinato e se non hai molta fretta, ha una storia da farti ascoltare.
Stefano vive con poco e mangia alla caritas, non ha mai avuto una macchina, forse non è mai stato in un ristorante, non ha mai pregato e si augura di vivere ancora poco, perché nel silenzio incombe una malattia incurabile.
Giorni fa è entrato in un supermercato, diretto al banco della frutta, ha sbucciato una banana e l'ha consumata di fronte ai commessi.
In pochi minuti arrivano due pattuglie, due agenti rimangono alla porta, altri due entrano e agguantano Stefano, uno di essi lo immobilizza, come fosse un ladro, l'altro chiede i documenti.
Dopo cinque minuti si accorgono che quell'uomo non è un delinquente, lo portano fuori e lo rifocillano con dell'acqua e chiedono scusa.
Stefano inizia a tremare e si lascia andare a peso morto tra le braccia dei poliziotti, gli altri rimasti in macchina chiamano subito l'ambulanza, mentre i curios,i uno dopo l'altro, si accalcano in cerca di uno scoop da raccontare.
All'arrivo dell'ambulanza scende un dottore, il tremore di Stefano è sempre più intenso, la bava alla bocca mostra il segno di scossa, si, perché Stefano è anche epilettico.
Uno dei poliziotti si toglie gli occhiali e sbatte i piedi a terra, un altro non si da pace e sconsolato parlotta con il barelliere.
Decidono di portarlo al pronto soccorso e partono per una corsa folle verso l'ospedale, in fondo sono appena cinque chilometri.
Lo mettono su una barella e applicano, con molta fatica, la mascherina per l'ossigeno: la barba folta è comunque un impedimento, un ostacolo.
Rimane in ospedale alcuni giorni, gli unici ad andarlo a trovare sono qualche conoscente e gli agenti pugnalati nell'intimo dai sensi di colpa.
Dopo sei giorni il cuore di Stefano cessa di battere, un prete organizza un funerale di lusso, nella chiesa più antica della città, il vescovo capisce che quella funzione sarebbe un'ottima pubblicità per la sua carriera, allora decide di essere lui il protagonista del rito.
Stefano non avrebbe mai pensato che tanti sarebbero accorsi al suo funerale, ma dopo l'ultimo amen, tutti risalgono in macchina per andar via, l'odore d'incenso si perde nell'aria, le campane si fermano, il vescovo si toglie la tonaca e il prete va a salutarlo, come dire: ottimo lavoro.
Lo spettacolo è finito, la chiesa ha sponsorizzato la morte, i fedeli hanno fatto la loro buona azione, il supermercato, il giorno dopo, regala un casco di banane a chi spende più di trenta euro.
Stefano non leggerà più e non potrà raccontare nessuna storia ai passanti, Willy rimane nei pressi del cimitero e non intende allontanarsi.


domenica 26 ottobre 2014

Il vizio di parlare a me stessa di Martina Patriarca

Cedo alla stanchezza e rifiuto le righe ordinate della carta. La sento gravare tutta sulla mente: sono le 4.30 e non avverto più quel formicolio adrenalinico in petto che poco prima mi sussurrava di scrivere. Non per cambiare il mondo, certo, ma "per accendere le micce delle rivoluzioni nell'intimità del pensiero". E come cita qualcuno su una pagina della mia moleskine; non ho più sangue per nutrire questa rivoluzione. L'unica che ancora combatto è la lotta per la mia autarchia. Carmine dice che non esiste, che la mia attività intellettuale si è poggiata sugli allori della politica e della polemica pseudo-vetero femminista. In realtà ho solo superato il suo insegnamento, ho solo mangiato il mio maestro. Mangiato e digerito. Defecato, forse... Il prossimo passo sarà detronizzarlo della sua figura di giovane filosofo contemporaneo bello e oltreumano. A volte immagino sarà facile quasi come rubare le caramelle ad un bambino.

Forse l'intelligenza consiste nella accettazione e nella capacità del distacco dalle cose, soprattutto le più vicine. Natruralmente ciò che intendo ha un senso metafisico ed emotivo: mai sognerei di abortire l'insegnamento del materialismo. Quelle "spine sulla mia schiena" saranno pure una condanna, ma più sua che mia. Io non avrei voluto ferirlo. Ecco, adesso magari dovrò sorbirmi la ramanzina di uno dei suoi amici. Dovrò spiegargli cosa, a mia discolpa? Che volevo godere della leggerezza di una manciata di respiri alla nocciola. Che non potevo di certo resistere al richiamo del punk e del suo nichilismo spiccio: è il delirio di onnipotenza dei 19 anni ad impormelo. Dovrò scusarmi per aver lasciato qualche capello rosso sul cuscino, per i miei baci buoni di fiore fresco e vellutato. Eppure questa volta non scriverò pagine e pagine di rimproveri a me stessa, nè ad Alice, al suo spirito anarchico e spericolato. Se davvero dovrò pentirmi della gabbia d'oro che è l'amore, sarà la mia benedetta autarchia a sanguinare. Ma anche in quel caso, avrei un intero e freddo inverno, pieno dell' intimismo analitico ed esistenziale, nel quale trovare rifugio: chi meglio dell'amata me stessa sa salvarmi?

Senza questa corazza di superdonna che ho voluto indossare per inaugurare la serie di stralci che scrivo qui sopra, ammetto che è rimasta dell'aspra nostalgia, forse del rimpianto addirittura, per quella sensazione di leggerezza mista a curiosa attrazione dall'odore buono, dalle carezze e dai baci dolci, dal sapore di pistacchio e di nocciola, dalle canzoni forti che mi sono sempre piaciute. Mi ritrovo allora con un sacchetto in dono dalla sorte colmo di desideri abortiti, e un altro pieno di bucce di limoni pronti da lanciarti con lo sguardo non appena ti adombrerai al mio cospetto. So che non si tratta di una coincidenza se proprio adesso che sorge il sole è sempre poca la distanza che percorre il suono delle parole... ma il Divenire ci darà le risposte, e verrà a salvarci dal grumo di confusione caramellata che ci prende non appena siamo vicini.

Dovrei scrivere solo con l'inchiostro su carta, lo so. Su questa pagina muta, virtuale e insapore, non c'è il mio odore, nè un errore di distrazione, e nemmeno la mia curiosa e lunatica grafia. Per questo, forse, preferisco annotare qui riflessioni fantomatiche circa le mie "avventure" di adolescente spregiudicata. Ho trascorso giorni bellissimi, finalmente sereni, in compagnia dell'amore che ho scelto (o da cui non so fuggire?) e delle persone -meravigliose- che lo circondano da ventott'anni. Mi è bastato respirare un po' di quell'aria buona e fresca per scoprire, e riesumare dagli insegnamenti che la vita fornisce alla carne e alla mente da sempre, che bisogna solo ridere, e perdersi, talvolta, perchè quelle risate ci rinvigoriscano autenticamente. Quell'amore a cui non so rinunciare sta qui sul letto, dinanzi a me, e dondola i piedi, leggendo, proprio come, sin da piccina, io sono abituata a fare: questa è solo un'altra briciola di affinità, solo un'altra coincidenza che, piccola e banale, s'intreccia alle altre e forma quel nodo indissolubile che, a volte -penso- ci terrà assieme a lungo. Sapessi spiegarglielo, a quell'ometto tatuato, dolce e dispiaciuto, che ora s'adombra e m'ignora non appena mi vede.., magari capirebbe che nessuno di noi due ha colpa se abbiamo lasciato che per un paio di settimane, anche meno, quei bei discorsi di notti intere si tramutassero in una tenera benchè sadica alchimia. Non nego che proprio oggi che l'ho rivisto dopo giorni avrei voluto per un momento avvicinarmi ed abbracciarlo, e spogliarlo di quell'aura scura di nichilismo e risentimento che indossa per proteggersi dal cuore suo così buono e ingenuo...

E' tanto che non mi scrivo, e stavolta so di non doverlo fare con l'intento (non più così inconscio...) di innamorarmi della mia buona prosa, della bella dialettica.
Mi odia, e stavolta credo voglia farlo fino in fondo, deciso a resistermi una volta per tutte. Mi secca ammetterlo, ma devo aver sbagliato. Ho sbagliato a lasciare che di nuovo s'innamorasse di me abbandonandosi al simulacro idilliaco che mi ha disegnato addosso. Ho sbagliato a lasciarmi andare alla tentazione di godere delle tenerezze di un uomo sincero, e del compiacimento immenso che ho provato vedendogli brillare gli occhi per il solo fatto di essere al cospetto dei miei. Ho sbagliato, e non solo con lui. Con *******, devo confessarlo, non avrei dovuto prendermela così tanto per il solo stupido orgoglio di non ammettere di aver esagerato. Non avrei dovuto tradirlo e giustificarmi con la sfiducia che nutro per lui (e che altro non è che la mia più evidente insicurezza...) E ancora, non dovrei pretendere che le persone con cui ho a che fare comprendano e sopportino serenamente il mio despotismo, il mio estremismo e tutto ciò che ne consegue: non basta esibire una buona dialettica e una vasta gamma di esperienze precoci in campo politico per assicurarmi il rispetto e la stima degli altri. Troppo spesso mi sono perdonata per la stima che ho di me stessa, per quella che credevo fosse il mio amuleto personale, la mia "arte della gioia", e che, solo ora mi accorgo, non basta più (e forse mai è bastata...) Dev'essere così, perchè in questo modo si spiega l'odio e l'antipatia che quasi sempre ispiro alle persone che non mi conoscono bene. L'empatia che la mia indole detiene non è sufficiente perchè io salvi gli altri, specie perchè spesso e volentieri ho difficoltà a salvarmi da me... Ma non capisco, e mi dispiace!, perchè alcune persone si ostinino a volermi salvare con la propria, di empatia. A pretendere che lo faccia per ripagare il loro altruismo. Ognuno si salva da sè: non riesco a scagionarmi da questa certezza... E magari "il problema non è nella cucina, nè nei tulipani, ma nella mia testa. Solo nella mia testa".

Non scrivo più così spesso perchè preferirei che questi giorni bui passassero senza lasciare tracce tanto profonde e visibili. Mi chiedo quale sia l'arma per combattere e vincere il dolore dell'amore sconfitto, del senso d'impotenza, del rimorso di coscienza, della solitudine più buia. Il mio forte, amato odio non basta più, quasi l'avessi consumato tutto... E l'assenza, e la forza che ormai ho saturata, mi tengono muta e immobile sul filo pericoloso delle cose; visione del silenzio, angolo vuoto, pagina senza parole, una lettera scritta sopra un viso di pietra, e vapore, amore, inutile finestra...

Avrei dovuto convertire le mie notti al jazz molto prima... Tra tutti i generi di musica, qui lo dico e qui lo nego, è forse quello che meglio sa esprimere l'essenza degli stati d'animo. Sono il lamento armonioso e grave del sax di Miles Davis. Sono la carta consumata dal tempo e dalle stagioni, dalle giornate -numerosissime- passate a sfogliare un libro alla ricerca disperata delle parole che non riuscivo a scrivere, nè a pensare. Sono il campari che ho ingurgitato in qualche minuto, sono i vetri rotti del bicchiere che ho maldestramente rotto, oggi pomeriggio, perchè ti avevo vicino dopo settimane e settimane di assenza e rabbia e rammarico... Sono tutte le cicche che ho calpestato. Tutti i passi veloci, falsamente distratti, che ho fatto in tua direzione, senza neanche il coraggio di riconoscerlo a me stessa. Sono l'amarezza e lo strazio che sento ora che ti dico che non ero la donna giusta per darti la volontà di cambiare, o quella capace di accettarti così come sei. Sono la brace morente dell'amore sconfitto, il magone dell'abbandono. Sono le parole dolci e rassicuranti, le bugie bianche che dico a ***** pur di non dargli altre preoccupazioni mentre, pensandoti, avverto indelebile la nostalgia, il sentimento abortito che gronda lacrime e promesse agognate... Sono quella che, se ti perdessi un solo momento (...), spalancherebbe gli arti e la bocca ad accogliere nuovamente la tempesta di baci e carezze che conosco e rimpiango. Dei souvenir che gelosamente conservo, l'ultimo tuo dono è un silenzio insopportabile: lo custodisco insieme al mio, nella muta consapevolezza che, ti avessi ancora un minuto, non resisterei... non resisterei all'amore bagnato, alla patetica frase che farfuglierei nel tuo orecchio, quella che conosci, e ripete "vienimi nel cuore"...

Io non sopporto. Lo dico all'ultimo minuto. Non sopporto la debolezza del mondo, la conseguenza prevedibile del fatto che si specchi nella mia, che il riflesso la faccia più grande e impalpabile. Non sopporto l'arrendevolezza, e che pesi sulla mia disillusione fino a frenare la storia. Come sfumare completamente... Non capisco se si tratta di una sensazione o di un desiderio. Ma questo brivido l'ho già sentito in passato: pare che la mia schiena lo riconosca. L'arpeggio della chitarra pizzica ogni piccola vertebra. Ciò che conta è quello che ascolto, quello che sento. In ogni momento posso scegliere con quale canzone accompagnare il divenire, e chiudere gli occhi per colorare il buio se non mi piace quello che percepisce la vista. Non sopporto che il cinismo esista e mi contagi della mediocrità che ho sempre disdegnato. Non sopporto l'idea sbagliata che l'amore sia sacrificio per l'altro. Nel momento in cui di fatti la mente lo elabora come tale, cessa di essere gratuito, e quindi autentico. La colpa dell'amore immeritato è pura follia, un'epidemia che incendia il mondo e il mio cuore. Se solo ci lasciassimo scivolare la vita addosso come un getto d'acqua fresca... Se potessi addormentarmi sempre sul tuo petto, e condividere un'umida nostalgia in silenzio, come lo preferisco... Dove sei? E perchè lo chiedo? Ho bisogno di te? Non devo, non mi sei infatti dovuto. Ogni tuo gesto è splendido autentico dono, come le sfumature del cielo quando il crepuscolo decapita il sole. M'addormenterò pensandoti: la tua sola esistenza mi dà gioia. Questo è amore, e passerà e tornerà diverso come ogni stagione.

Eccomi che rompo il silenzio. Il cielo è plumbeo, muto, e non attendo più. Scivolano le parole senza controllo, lo ammetto: è svanito, sparito, perduto. L'istinto della prima e pura opposizione dialettica è bello che concluso. Non ho più bisogno di stringere, stritolare il mio santino d'odio tra le dita - non devo più disobbedire. Concedo per cortesia appena un granello di biasimo agli errori eristici dei romantici, alla metafisica puerile di chi "vuole di più". Ancora aldilà, "super", über, oltre... e superarsi soltanto in imbecillità (il sacro morbo è solito santificare la strada bagnata perchè, dopo tutto, da sempre è avvezzo a strisciarvi...) ma "tutto è qui, intero ed uno - e non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira".




L'IDOLATRIA DEI "COMPAGNI"

“Perché come diceva Marx” … Quante volte avrò sentito questa frase? Da perdere il conto. Tutti i discorsi possibili immaginabili che i compagni hanno fatto nell’ultimo mezzo secolo sono iniziati con questa frase.
 

Sapete perché già da bambino non mi piacevano i preti? Perché fatta eccezione per qualcuno – ricordo con tanto affetto e stima il compagno Don Gallo – ripetevano tutti sempre le stesse cose. Aprivano la Bibbia, leggevano la pappardella e dicevano: “Parola di Dio”. Cioè tu potevi leggere qualunque fesseria lì sopra, essere d’accordo o meno, averla capita o meno, ma stava il fatto che l’aveva detta il padreterno e allora, come diciamo in Abruzzo: “‘nze tosce!”. Ovvero non si fiata, non si discute. 


Nel mondo della sinistra il padreterno è Marx. Intendiamoci, lui non solo è esistito per davvero, ma non che abbia detto cose non condivisibili; alcune però sono difficili da interiorizzare per una mente mediocre, anzi per una mente mediocre è difficile interiorizzare proprio tutto! E allora questa apre “Il Manifesto”, legge la pappardella e dice: “Dannazione, la religione è l’oppio dei popoli”! Illuminata dal “verbo”, si straccia di dosso la croce appesa al collo, spicca il crocifisso dal muro di casa, rinnega il clero e tutti i santi e brucia le chiese! E poi si appende al collo la catenina con la falce e il martello.


Al che viene naturale pensare: costui si è liberato di una fede e se n’è fatta un’altra. D’ora in avanti il compagno mediocre non andrà più a messa ma alle riunioni di circolo; non leggerà più la Bibbia ma “Il Capitale”; non farà più il pellegrinaggio a Calcutta ma la visita al mausoleo di Lenin a Mosca. La stessa acriticità che porta alla cieca obbedienza al precetto religioso, che Marx condannava, il nostro “compagno” la applica senza ritegno a Marx stesso. Ossequioso verso i suoi nuovi “idoli sacri”, il sedicente comunista li venera in tutta l’asetticità che il passato comporta, si sente “vivo” solo nell’idillio che quei feticci hanno inveterato, si entusiasma quando vede rosso (manco una corrida!) e guai a chi gli tocca la Russia (di Putin)! E che dire dei nostalgici del nostro paese, malinconici quando si parla del PCI, della CGIL, di Bella Ciao e di Bandiera Rossa? Ah, i bei tempi di Berlinguer!


Eh! Quanti ricordi… La metà di questi nostalgici – spaventa assai questo fatto! – quei tempi non li ha neanche vissuti: è talmente giovane da non poterli conoscere, se non attraverso le parole dei vecchi compagni, stanchi della politica ma stranamente ancora in mezzo ai piedi, cosa che testimonia una totale assenza di conflitto generazionale proprio all’interno del nostro movimento!


Conflitto, questo sconosciuto! Ci è sconosciuto perché sconosciuta ci è la sua essenza irriverente verso ogni cosa data; ci è sconosciuta la sua naturale tensione verso una risoluzione futura. E sì, perché i comunisti in realtà è assurdo che vivano nel passato, quando per definizione sono proiettati verso il futuro! Nella Russia tanto idolatrata da quei sedicenti compagni il movimento “futurista” era socialista e rappresentava l’espressione più pura del progressismo! Era l’avanguardia!


Allora i compagni veri sono di conseguenza giovani, irriverenti, progressisti, vitali! Sono l’anima del cambiamento; affondano i piedi nel presente, ma hanno lo sguardo rivolto al futuro; il passato nel frattempo è stato oggetto di un rinnegamento secolare, di un’iconoclastia totale! Non ci sono idoli né dei; non ci sono nostalgie né rimpianti; non ci sono profeti da ascoltare più di quanto abbiamo già fatto; non c’è sopravvissuto al vecchio ordine. Chi come Marx ci ha addestrato al cambiamento è morto assieme al suo tempo, speso perché noi potessimo tirare su un tempo migliore, non di certo perché potessimo passarlo a riesumare il suo come un vecchio cimelio di cui egli piuttosto non aveva alcun rispetto. E invece noi il nostro tempo lo passiamo ad accumulare cimeli, alcuni dei quali – come finiscono sempre per fare i vecchi la cui memoria scarseggia – li raccontiamo manco fossero di grande valore, quando al loro tempo erano aberrazioni che mai vogliamo ammettere, pur di non riconoscere gli errori commessi; purché insomma non fosse insegnato alla nostra generazione che i nostri predecessori andavano rinnegati. 


E’ insopportabile per noi umani la sensazione di essere usati. Eppure questa è la storia, noi dobbiamo servirla sapendo che ci chiederà di farci da parte non appena saremo diventati inutili: questa è la legge di natura. Allora al momento opportuno bisognava defilarsi e andava insegnato alle future generazioni di compagni a non ricommettere gli stessi errori. Forse così ne avremmo commessi di meno e meno brutti, forse così ora li staremmo commettendo noi almeno. Invece sono sempre i vecchi a sbagliare, a rifare sempre gli stessi errori.


E’ questa mentalità conservatrice che conduce al culto del passato. Passato fatto per lo più di grandi compagni, i quali di certo non pensavano ai bei tempi andati.


Allora, cari “compagni” che idolatrate tutt’oggi un partito di inciuci come il PCI; un sindacato che tratta i lavoratori come merce di scambio come la CGIL; i vecchi canti perché non avete più idee per farne di nuovi, non siete forse come quei preti con la verità in mano, cioè totalmente lontani dalla realtà, che difronte alle sue difficoltà non sanno cosa fare se non attaccarsi non agli idoli sacri?


Ditemi se è questo che volevate. Ditemi se volevate diventare come i vostri nemici! Siate onesti e confessate che comunisti non siete; che volete il potere ma voi, meschini rinnegatori, non siete stati capaci nemmeno di prendervelo e tenervelo stretto! La vostra superstizione vi convince di servire la causa del proletariato, ma mai come in questo momento storico siete lontani da essa. Che i giovani vi annientino con tutti i vostri idoli!



 


GIACOMO KATANGA

giovedì 16 ottobre 2014

La rivolta dei bamboccioni di Antonio Recanatini

Qualcuno li chiamò bamboccioni! Non è mio costume ripetere le parole di scellerati arroganti prestati al palco  per capriccio, per fortuna o malasorte, di certo non per meriti. Sono dinamiche consolidate da tempo, un cretino che parla e milioni di idioti che fanno eco, un vortice da cui  ne usciamo  aguzzini e vittime, allo stesso tempo. La rivolta dei bamboccioni ha il sapore fresco di fine estate, è una lezione da mettere in bacheca, in prima pagina,  personalmente obbligherei le tv a oscurare le partite e trasmettere  l'impresa degli angeli del fango, minuto per minuto.
Sono gli stessi ragazzi che  occuparono le strade di Firenze nel 66', gli stessi che giunsero in sordina a Genova nel 70, 
L'equipaggiamento è lo stesso, servono pale e stivali di gomma, il resto è  coraggio e cuore, alla faccia dei pregiudizi, alla faccia delle dispute politiche, alla faccia di chi li vedeva come alienati degli  hi-phone. Si, perché spesso dimentichiamo che sono i figli di quella generazione folle e depressa, semi cosciente portata all'incoscienza, quella generazione intenzionata a non morire di vecchiaia, tanto meno di ricordi.
Gli angeli del fango e altri gruppi di volontari hanno dato vita alla pagina più bella di questo inizio millennio, unendosi in gruppi e sporcandosi  le mani senza guardare le telecamere, senza cercare gli onori della cronaca e i complimenti dei turisti privilegiati.
La grande bellezza gira per le  strade di Genova, sporca di fango, forte e incisiva come la scarica di mille fulmini, ligia e sorridente, sconosciuta nei nomi, ma fratelli e figli nell'espressione; un esercito armato di pale. 
A Genova vive una storia senza rughe, una storia dove l'amore sfida la tragedia, viaggiano perfino nella stessa corsia, non rimane nemmeno il posto  per le parate e nessuno, dico nessuno, osa quantificare lo sforzo, perchè l'unione e la cooperazione dal basso valgono più dei trattati siglati tra stati. Ottobre è il mese più indicato per ambire a nuovi sogni, la storia  è a portata di mano, la storia ne è testimone!








Censurata per aver detto la verità all’assemblea generale dell’Onu.Ecco cosa ha detto.VIDEO

Lei è Cristina Fernandez Kirchner,presidente dell’Argentina.All’assemblea generale dell’Onu dello scorso 24 settembre 2014 a New York fa tremare gli Usa e l’Europa,e il suo discorso viene censurato da tutti i media…Questo E’UN VERO PRESIDENTE…Beati gli argentini!

Per quale motivo le grandi reti TV internazionali hanno interrotto la diffusione in diretta e la traduzione del discorso della “presidenta”  Argentina Cristina Fernandez Kirchner , presso l’Assemblea Generale dell’ONU  dello scorso 24 settembre 2014 a New York?
La risposta è semplice: Cristina F. Kirchner ha oltrepassato le linee rosse segnate dai nord americani e dai loro alleati,ha parlato “troppo”,ha rivelato troppe “curiosità” tenune sempre nascoste ai popoli mondiali.
Questi sono i principali punti del discorso della Cristina, pubblicati nelle reti sociali:
“Ci siamo riuniti qui circa un anno fa, quando veniva qualificato come terrorista il regime del presidente Bashar al-Assad in Siria e voi  tutti (rivolta ai rappresentanti dei paesi occidentali)  appoggiavate le forze ribelli in Siria, quelle che voi stessi qualificavate come “rivoluzionari” per la democrazia.
 Oggi ci riuniamo nuovamente qui per cercare di sradicare  il pericolo rappresentato da questi stessi “rivoluzionari” i quali  sono poi risultati essere barbari e fanatici terroristi.
Voi avete scritto in passato l’organizzazione di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroriste, mentre che adesso, in realtà, risulta evidente che questa è un grande partito riconosciuto ed accettato in Libano”.
“Voi avete accusato l’Iran di essere dietro l’attentato contro l’Ambasciata israeliana a Buenos Aires nel 1994, mentre gli investigatori argentini sono riusciti a provare, con prove certe, l’implicazione nell’attentato di questo paese (Israele).
Voi avete adottato una risoluzione contro Al Quaeda dopo gli attentati dell’11 Settembre. Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan sono stati invasi ed i loro abitanti massacrati senza motivo, mentre chequesti stessi paesi hanno subito i colpi del terrorismo”.
“Risulta dimostrato dopo la guerra di Gaza, che Israele ha commesso laggiù un disastro orribile ed ha causato la morte di un gran numero di civili palestinesi. In quel momento non vi siete interessati di altro che dei razzi che venivano lanciati su Israele e che non hanno causato molti danni nè perdite umane. Nessuno di voi ha condannato il genocidio attuato da Israele contro la popolazione di Gaza”.
Noi ci siamo riuniti oggi per adottare una risoluzione internazionale che incrimini e combatta contro l’ISIS (lo Stato Islamico), mentre sappiamo  che questa organizzazione ha ottenuto l’appoggio di paesi ben conosciuti e che  sono gli attuali alleati di alcuni dei grandi stati membri  permanenti del Consiglio di Sicurezza” (allusione ad Arabia Saudita, Qatar ed Emirati)”.
Oltre a questi punti la “presidenta” ha trattato la questione dei così detti “fondi avvoltoio”, quei fondi finanziari speculativi che minacciano di portare il suo paese al default per la richiesta di pagare alcune migliaia di milioni di dollari per il calcolo di interessi passivi usurai  sul debito contratto, ed ha accusato questi fondi di essere dei “terroristi economici” che pretendono di destabilizzare il suo ed altri paesi emergenti con motivo di speculazione finanziaria.
 
Questa parte del discorso della “presidenta” Cristina Fernandez è stata “curiosamente” oscurata dalla grandi catene televisive come CNN, Reuters, Fox News, ABC news, Sky news, nonchè  dai grandi quotidiani internazionali come il New York Times, il Washington Post, Il Corriere della Sera, Repubblica, ecc..
Come controprova vi mostriamo sia il discorso integrale che la parte censurata dai media

mercoledì 15 ottobre 2014

Genova contro la polemica razzista: "Molti immigrati fra gli angeli del fango"

Ha fatto discutere un'immagine diffusa sui social network in cui si vedeva un cittadino di Genova spalare il fango in mezzo alla strada, mentre un uomo di colore lo osservava


Buongiorno,
mi chiamo Valentina,ho 26 anni e scrivo da Genova! Nel 2011 ero con "Angeli del Fango" a spalare e ripulire questa meravigliosa città, ma oggi purtroppo non posso muovermi di casa a causa della mia gravidanza.

Vorrei scrivervi in merito a due cose, la prima un immagine trasmessa dal vostro Tg5 dove un immigrato se ne sta appoggiato al muro mentre un cittadino spala il fango, e la seconda le polemiche nate in seguito alla trasmissione di quell'immagine.

Amo Genova e non mi va che si trasmetta un'idea sbagliata o che si faccia di tutta un'erba un fascio e onestamente alcune polemiche erano anche a sfondo razzista verso persone che in effetti non sono tutte uguali, io vorrei dire e urlare con quanta voce mi rimane che non si risponde al razzismo!

Perche chi nel 2014 è razzista , chi crede di poter giudicare un altro individuo diverso, nonostante la scienza dimostri che ha in comune con lui il 99,99% di patrimonio genetico, chi è talmente coglione da basare un giudizio su un inezia quale un gene che regola la distribuzione di melanina sul primo strato di epidermide , NON MERITA RISPOSTA!

Poi ci sono anche gli ignoranti che fanno di tutta un'erba un fascio,e io dico impariamo a distingue e scandire bene le parole perché queste persone si sono fatti il mazzo per aiutare, e non come invece è stato detto da molti purtroppo, che se ne stavano a guardare,solo perché uno e stato fotografato mentre lo faceva, perché non sarebbe affatto giusto.

E stato detto che i ragazzi giovani non hanno spirito d'iniziativa, che sono svogliati, menefreghisti, che non gli importa che del telefonino o delle scarpe nuove, ma bisogna ammettere che anche voi avete inquadrato più ragazzi dai 15/20 anni a spalare sin dalle 7 del mattino fino anche alle 9 di sera GRATIS che forze dell'ordine PAGATE! E bisogna anche ammettere che alcune persone appartenenti alla categoria delle forze dell'ordine che hanno spalato il fango l'hanno fatto dopo il turno lavorativo magari anche di 12 ore, o prima ancora di cominciarlo, e questo lo dico perché conosco molte persone che l'hanno fatto, chi c'è andato c'è andato perché ha avuto un'iniziativa personale, l'esercito è arrivato dopo che questi angeli hanno cominciato il loro operato, in più nessuno ha portato neanche una bottiglietta d'acqua ai volontari,o qualcosa anche un panino, da mangiare, l'unico posto aperto tale ristorante "il kilt" in viale brigate partigiane per 80 panini vuoti senza nulla dentro ha fatto pagare 100 euro ed erano per i volontari, i supermercati invece si sono mobilitati insieme alle pizzerie ancora agibili per fornire sempre da bere e da mangiare perché l'acqua promessa dal comune ancora deve arrivare.

Vi chiedo secondo voi è giusto fare polemica quando siamo tutti fratelli che stanno lottando per la stessa causa? Chi ama Genova lo sta facendo, chi è solo di passaggio invece sta con le mani in mano!

Grazie per l'attenzione, spero che abbiate il cuore di trasmettere queste immagini per far passare un messaggio importante, che non esiste colore della pelle, davanti a questa tragedia siamo davvero tutti fratelli!

in fede
Martis Valentina









lunedì 13 ottobre 2014

RIVEDIAMO I PATTI LATERANENSI, SE SIETE DIVERSI di Antonio Recanatini

I patti lateranensi iniziarono nel febbraio del 1929, fu un trattato che sostituì il precedente chiamato legge delle Guarentigie del 1871 approvata dal nuovo parlamento italiano dopo la “presa di Roma”.Con questi si garantiva una somma annuale allo stato pontificio per regolarizzare i rapporti con il regno d’Italia, una specie di vitalizio che non soddisfò mai la sete di potere e di denaro dei vari pontefici susseguiti dal 1871 al 1929. Il negoziato venne siglato da Mussolini e da un certo cardinale segretario di stato Pietro Gasparri. L’Articolo 1 è questo: L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1° dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato. Già su questo possiamo non condividere i modi perchè significa che la religione cattolica viene riconosciuta come sola religione dello stato italiano e se permettete i tempi sono cambiati. Ma la cosa buffa appare all’articolo 4 : La sovranità e la giurisdizione esclusiva, che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano, importa che nella medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte del Governo Italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede. Insomma un sistema a senso unico, l’Italia non può esplicare nessuna ingerenza sul vaticano. Per farla breve il vaticano può mettere bocca sui fatti italiani, gli italiani non possono mettere bocca su quelli del vaticano. Una propria e vera resa, una messa a 90 gradi che non esiste in nessun altra trattato bilaterale internazionale. Quindi quando si parla di uno stato laico è solo l’ennesima beffa sulla testa degli italiani. Poi l’articolo 6 è davvero penoso: L’Italia provvederà, a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati, che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque in proprietà. Provvederà, inoltre, alla comunicazione con le ferrovie dello Stato mediante la costruzione di una stazione ferroviaria nella Città del Vaticano, e mediante la circolazione di veicoli propri del Vaticano sulle ferrovie italiane. Provvederà altresì al collegamento, direttamente anche cogli altri Stati, dei servizi telegrafici, telefonici, radiotelegrafici, radiotelefonici e postali nella Città del Vaticano. Provvederà infine anche al coordinamento degli altri servizi pubblici. A tutto quanto sopra si provvederà a spese dello Stato italiano e nel termine di un anno dall’entrata in vigore del presente Trattato. La Santa Sede provvederà, a sue spese, alla sistemazione degli accessi del Vaticano già esistenti e degli altri che in seguito credesse di aprire. Le spese sono a carico degli italiani, insomma uno stato di privilegiati all’interno dell’Italia. Consideriamo che il 70% degli immobili dislocati a Roma sono di proprietà della chiesa e che in Italia il 22 % degli immobili sono riconducibili ad essa. Insomma una situazione di ingerenza e di possesso che nessuna parte politica evidenzia, un cumulo di beffe elencati nel trattato che, ancora oggi, portiamo sul groppone. Essere cittadini del vaticano è un privilegio unico, non paragonabile con nessun altro trattato. I finanziamenti alla Chiesa cattolica italiana da parte dello Stato italiano comprendono finanziamenti diretti ed altri tipi di oneri economici e finanziari: l’otto per mille (quote assegnate e ripartizione di quelle non assegnate), finanziamenti a scuole ed università private cattoliche, contrattualistica differenziata per gli insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica, finanziamenti a mezzi di comunicazione cattolici, finanziamenti per infrastrutture di proprietà dello Stato Vaticano, finanziamenti per l’assistenza religiosa negli ospedali pubblici esenzioni fiscali. Il potere della chiesa viene esercitato senza soste, senza pudore e senza nessun interesse per la collettività, per non parlare degli insegnanti di religione che predicano il cattolicesimo a carico nostro. Insomma lo stato italiano indebitato fino al collo elargisce somme ingenti per le scuole e università di proprietà della chiesa e non solo, anche l’esenzione dell’Imu e conseguente multa dell’Europa. Le ultime proposte sul federalismo comunale prevedono, infatti, sia al sud che al nord, l’introduzione dell’Imu prime, seconde case ed esercizi commerciali, da cui però vengono esplicitamente escluse le onlus e gli enti senza scopo di lucro. Sia chiaro, i beneficiari sono anche ristoranti e hotel a 5 stelle di proprietà del vaticano, ma sul suolo italiano. Insomma una società a scopo di lucro mascherata da una religione che di spirituale ha ben poco. Ci troviamo di fronte un’impresa con un utile netto di 20 miliardi. Ora tornate a pregare per il vostro papa, dimenticate tutto quello che avete letto e lasciatevi trasportare dalla Bibbia, gli italiani amano vivere da illusi.

PIOGGIA INTELLETTUALE, QUANDO CHI COPIA SI SENTE AUTORE

Come ci si può difendere da questa tragedia del poco? Ve lo dico in parole straniere: nous sommes foutu. Perché non parliamo di contaminazione, ma di una vera e propria metastasi letteraria. Parliamo di gente che non ha mai avuto un’idea in vita sua se non per inferenza, per autoconvincimento. Studi di psicologia sulla criptomnesia indicano che le persone che migliorano, peggiorano, o elaborano idee altrui, arrivano a convincersi di avere la paternità di quelle idee. È facile che questi signori la passino liscia, soprattutto in era di contaminatio come questa.

Il plagio viene considerato il più grave dei crimini intellettuali dalla maggior parte degli scrittori, degli insegnanti, dei giornalisti, dei docenti, e persino dal pubblico in generale. Quando si parla di questo argomento c’è bisogno di una riflessione distaccata. Sotto questa dicitura spesso si intendono varie forme di scorrettezza letteraria o intellettuali, ben più gravi perché più subdole, ma meno dimostrabili dal punto di vista giuridico.

Il fatto è che il concetto di plagio resta a tutt’oggi troppo vago, c’è una zona grigia dove l’imitazione creativa, ad esempio, produce un valore che si sottrae all’attuale definizione. Le diverse sfumature del concetto non trovano riscontro nell’insieme di norme e sanzioni (formali e non), senza contare che è sempre più universalmente accettato il ‘crimine’, visto che uccide sovente solo le idee. 

da pioggia intellettuale


giovedì 9 ottobre 2014

Scioperi e manifestazioni

A proposito di scioperi e manifestazioni: quando un governo ritiene giusto stralciare l'articolo 18 e lasciare impunito il falso in bilancio, sta dichiarando guerra al proletariato, tutte le altre illazioni e stronzate lasciatele ai quei cretini che fanno opposizione soft. Quando il potere rende il cittadino un miserabile c'è poco spazio per le parole, non serve affatto discutere, servono esclusivamente resistenza e azione.
Lo sciopero indetto è solo una pausa, una tregua concessa ai sindacati, il tempo utile per indossare una maschera nuova e coprire la vergogna, ed essere liberi di sbandierare, con cori a tono, la loro inaffidabilità. La sceneggiata verrà trasmessa anche sulle reti rai, probabilmente interverranno cantanti, intellettuali e preti, tanto per attenuare il naturale e legittimo odio di classe.
P.S. comunque, se la memoria non m'inganna.. e potrebbe, non ricordo di sbandieratori promossi come rivoluzionari


(Antonio Recanatini)

martedì 7 ottobre 2014

Sacralità e profanità

L’apertura della chiesa ai divorziati e alle donne non è un passo avanti o una disponibilità a guardare il mondo e suoi attori. Figuratevi! sappiamo a malapena un decimo dei segreti del vaticano, semmai è una contraddizione storica. Il business è un dio valido, rincorrere il business è un’arte criminale, i criminali si addensano dove la razionalità cede il posto alla sacralità. e alla venerabilità. L’intera Opera biblica celebra il servilismo della donna e minaccia di "peccato mortale" chi infrange i sacramenti. La sacralità trae benefico dalla simbologia, la radice latina è chiara, regola-imposizione, riverenza; come è chiara l’etimologia di profanità e cioè "fuori dal tempio", "escluso dal regno", "non può entrare nel tempio". Una semplice suddivisione come tra legale e illegale. Non molto diversa è la radice europea decantata da molti intelletuali, con cui si indicano gli esclusi, per certi versi un discorso ambiguo quanto la stessa predisposizione a consacrare tutto ciò che è facile da violare. Un filosofo di questo tempo, Galimberti, ipotizza la sacralità come un apparato tecnico antagonista a ciò che non è buona volontà degli uomini, un punto di riferimento per annettere o dividere, dentro o fuori, benedizione o maledizione; in pratica tutto ciò da cui l’uomo deve difendersi. Tornando alla simbologia e la sacralità, possiamo rivederla in un ogni culto o tradizione, anche nel bambino mandato alla lavagna a dividere con una linea i buoni dai cattivi... parliamo sempre di simbologia e sacralità. L’uomo propone e dio dispone, questo è il più grande raggiro dell’intera collezione sacrale: pochi uomini che determinano la sacralità, con il consenso di dio, loro amico. Fin qui, possiamo paragonare la sacralità a una legge, ma quando l’intento del sacro verte a riconoscere e accusare il profano, il gioco è molto più duro delle tipiche tradizioni, culture e racconti: "Per entrare devi essere". L’imposizione astratta, la percezione del buono e del cattivo, sacro-profano, legale e illegale pone l’essere di fronte scelte obbligate, divise da due sentimenti contrastanti, da una parte la paura di sforare il sacro, dall’altra la speranza, l’ambizione di entrare nel tempio. Badate bene, qualsiasi parola abbia carattere celestiale, fuori dalla portata umana, conta su duplici valori, su duplici dettami, su duplici conseguenze. Nel tempo il "dentro o fuori" determinato da un essere superiore e le regole basilari dell’umanità miste a una serie di regole impossibili hanno dato vita alle religione, al buono-giusto, al cattivo-profano... e così sia! Allora la chiesa assolve il profano? no, la chiesa è molto più collegata al profano che al sacro!

(Antonio Recanatini)