giovedì 25 settembre 2014

Le rivendicazioni delle maschere di Antonio Recanatini

Stop all'obbligo del cognome paterno, è arrivato il primo si della camera. 
Qualcuno sta organizzando una festa nazionale, parleranno molti intellettuali o post intellettuali della sinistra, an
zi diciamo che parleranno pseudo sinistrati, convinti di cambiare il mondo multando le macchine parcheggiate leggermente fuori dalle strisce. I diritti delle donne sono sacrosanti, per cui viene istintivo premiarle con palliativi che entrano di diritto tra i bisogni primari. "La vittoria è con noi", lo lessi tempo fa su un cartello di un raduno in rosa, sono passati tanti anni, anni in cui le vere rivoluzioni si possono contare sulle dita di mano. Qualcuna sta pensando di togliere i fiocchi rosa e azzurri quando nasce un bambino, ad alcune femministe non va giù, pare che vogliano anch'esse il nastrino azzurro.
Ho letto anche articoli dove, a ogni sostantivo al maschile, si aggiunge l'asterisco per annettere un eventuale femminile, la richiesta di pochi/e* diventa l'esclusività di molti/e*. Le rivendicazioni saranno estese, un sindaco donna si chiamerà sindaca, un pompiere donna si chiamerà pompiera, carabiniere sarà carabiniera, il militare sarà militara, avvocato sarà avvocata, scusate, se m,'intrometto, ma credo sia più bello di avvocatessa. Cambieranno tutto, tranne i poliziotti, forse, perché poliziotta si dice da un bel pezzo, speriamo sia solo un caso isolato, massimo due, altrimenti anche questa rivendicazione avrà poco successo.
In risposta a ciò, gli uomoni stanno pensando alle loro rivendicazioni, tipo essere interpellati, contare quando la donna decide di abortire un figlio anche suo. So già cosa direte, è la donna che deve scegliere, in fondo è lei che si sacrifica nove mesi, compreso il travaglio. So già che se parlassi di egoismo e prevaricazione femminile qualcuno penserebbe a un mio corto circuito celebrale.
L'uomo avrebbe tanto da rivendicare, specie dopo le separazioni, perché, forse non tutti lo sanno, ma ci sono anche milioni di separati UOMINI sulla soglia della povertà, perché quel che guadagnano va alla famiglia.... ah scusate, dovevo avvisarvi, forse molti di voi credevano il contrario e invece no!
Ci sono migliaia e migliaia di padri che vivono con trecento euro al mese. Farei peccato, già lo so, se dicessi che lo stesso reato commesso da un uomo, spesso è nullo se commesso da una donna. Guardate le sentenze, prima di obiettare.
A questo proposito, spero non entrino in campo maschilisti ossessionati dai sostantivi femminili con slogan tipo: "perché la rivoluzione è femminile? noi rivendichiamo il diritto di chiamarla, il rivoluzione". Immaginatevi come risponderebbero le femministe "allora guerra, perché guerra dovrebbe essere femminile?"
Detto questo, credo che vivremmo in un mondo migliore, se smettessimo di dividere l'emisfero in uomini e donne, noi apparteniamo alla razza umana, siamo persone. Anzi propongo di usare il femminile ovunque, in modo da identificare la persona fisica. L'etimologia di "persona" non è molto precisa, ma a furor di popolo, par sia un termine utilizzato e coniato sia da etruschi, che da latini e greci. Il sentiero etimologico è maschera, persona, essere oltre; praticamente un passaggio Pirandelliano: attore- (o meglio vari strumenti che davano eco alla voce degli attori), personaggio- individuo.
Logicamente, come ogni passaggio Pirandelliano, non manca la critica: maschera proviene da latino masca, ovvero strega!



mercoledì 24 settembre 2014

SAGGIO BREVE: Se non gli tagliassero più il pisello, la smetterebbero con i massacri?



Sono passati ormai mesi infernali dall’inizio del conflitto israelo-palestinese; mesi di terrore per i bombardamenti mirati; mirati a colpire civili inermi; molti sono profughi o bambini. Oltre 160 razzi al giorno sono piovuti su Gaza, mietendo centinaia di vittime e di feriti; hanno attrezzato anche l’azione della fanteria. Ma perché Israele ce l’ha così tanto con i Palestinesi? E soprattutto, perché uccide i civili? Avrà mai fine questa guerra? Probabilmente no, e la risposta è semplice: perché non è una guerra!
Infatti la guerra la combattono gli eserciti; ma mentre Israele è armato fino ai denti della migliore tecnologia in campo bellico, la Palestina non ha neppure un esercito regolare e resiste con le pietre e qualche vecchio automatico; e non saranno di certo i razzetti di Hamas a impensierire l’avamposto dell’Occidente in Medio Oriente. No, questo massacro perpetrato dai coloni di Israele sin dapprima della sua fondazione nel 1948, sin dall’800, è un duello impari tra le armate sioniste e i civili palestinesi.

IL SIONISMO
Da sempre infatti, la politica di Israele è stata una politica fondata sull’acceso nazionalismo ebraico, il sionismo, un movimento ideologico che negli anni ha assunto caratteri sempre più di ultradestra; i pochi governanti che hanno provato a prenderne le distanze, come Rabin, hanno pagato con la vita. E’ chiaro dunque: la maggioranza della popolazione, il 76,4%, è ebraica e a maggioranza esprime il proprio voto verso la destra estrema; non vuole né distensione né pace. Certo, ci sono minoranze che la pensano diversamente, ma sono minoranze; e sappiamo dalle cronache e dalle denunce che queste fanno, quali vessazioni vivano le minoranze di questo stato ultranazionalista; uno stato che è stato fondato colonizzando una terra che non gli apparteneva, la Palestina, che perciò va ripulita dai suoi legittimi abitanti. Israele vuole il genocidio dei Palestinesi. E’ di questo che si tratta, di genocidio.
Il pretesto per portare avanti il massacro è ora uno guizzo d’orgoglio palestinese, ora una loro montatura. Persino il The Jewish Daily ha sollevato sospetti sull’origine della causa che ha portato a questo conflitto: la ricostruzione sul presunto rapimento dei ragazzi ad opera di Hamas (che non lo ha rivendicato) non quadra, è chiaramente una montatura; i responsabili probabilmente sono i servizi segreti israeliani. Anche per questo non è una guerra: nella guerra è pianificata la strategia del conflitto; nel genocidio, la tattica dello sterminio. Nella Germania nazista una cosa era il fronte contro gli Alleati, un’altra il piano per uccidere tutti gli ebrei, la “soluzione finale”. I nazisti architettarono un meccanismo da replicare fino all’uccisione dell’ultimo ebreo: un pretesto, arbitrario, per diffondere morte, efficacemente. Perché? Perché la ragione è politica, come per ogni genere di contesa. Il Reich voleva il controllo dell’economia in mano agli ebrei; Israele vuole il controllo delle terre in mano ai palestinesi. La politica che questi estremisti ebrei, i sionisti israeliani, stanno conducendo allora, non è molto distante, né nelle modalità né nelle ragioni, dalla politica che i nazisti condussero contro gli ebrei. Il sionismo vuole il riscatto della vittima ebrea dal carnefice nazista, facendone a sua volta un carnefice per i palestinesi.
Ci auspicammo che la Shoah (“annientamento”) potesse non ripetersi più. Ma questa, che una guerra non è, voi come la chiamate?

EBRAISMO E SIONISMO
E’ la conseguenza della stigmatizzazione della Shoah senza un’analisi profonda delle cause, senza una cura delle ragioni. Si è appioppati all’ebreo la categoria di “vittima” par excellance; si è cristallizzati la sua sostanza entro la forma di vittima e basta, senza neppure domandarsi sul serio chi sia l’ebreo. Questo ha finito di cancellare l’essenza dell’essere ebreo, ridotto a pura vittima; e ha fornito a quegli estremisti la giustificazione per i loro massacri, il fondamento ideologico del sionismo: il vittimismo.
Ma allora qual è l’essenza dell’essere ebreo? si può essere ebrei senza essere sionisti, senza volere l’annientamento del popolo palestinese?
Definire l’ebreo non è come definire l’individuo di un qualunque popolo. Un popolo si definisce a partire dalla data area geografica che lo delimita e dagli usi, costumi e ordinamenti che esso si dà. Dopo la Grande Diaspora, iniziata con la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’esercito romano di Tito (70 d.C.), gli Ebrei non ebbero più un loro territorio. Gli ordinamenti che essi conservarono nei territori dove si rifugiarono come comunità potevano solo essere ordinamenti religiosi; pure gli usi e i costumi erano quelli di carattere religioso estratti dalla Torah. Allora nei secoli, tutto ciò che si è conservato dell’antico popolo ebraico è la sua religione, il giudaismo. Per questo già molti risorgimentisti e sostenitori della questione ebraica sostenevano che l’essere ebreo non poteva prescindere dall’essere giudeo. Ciò che ancora mancava era il recupero della terra originaria di questo popolo, il recupero dello stato israelitico, perché l’ebreo potesse finalmente essere tale. Ovviamente, anche in questo caso, fu la religione a indicare il luogo.
E allora, incuranti dei legittimi eredi che popolavano quella terra da secoli (per altro di etnia semitica, la stessa degli ebrei) a fine ‘800, e poi con la Dichiarazione Balfour del 1915, si è deciso che l’unico “popolo” ad avere la presunzione di essere sopravvissuto all’era dell’antichità dovesse riappropriarsi di una terra che non gli apparteneva più da oltre 1800 anni! Un tale affronto alla storia poteva risolvere le sue contraddizioni in un fallimento o in un successo sfolgorante delle armi, con tutto l’orrore disumano che esso comporta. Sfortunatamente, grazie alla volontà politica del blocco occidentale, si decise di porre un avamposto a guardia del Medio Oriente, una futura porta verso altre terre da colonizzare per l’imperialismo statunitense.

IL SOSTEGNO DELL’OCCIDENTE ALLA POLITICA SIONISTA
Da allora ufficialmente quella tra ebrei e palestinesi diventa una lotta vitale. Le comunità locali, benché di religione diversa, convissero per quasi due millenni dalla diaspora in maniera del tutto pacifica. Qualche rabbino racconta persino di quando durante i festeggiamenti di Yomo Kippur (la pasqua ebraica) le madri impegnate nelle celebrazioni lasciavano i loro figli alle donne palestinesi. E allora perché una vera e propria propaganda di regime – regime nato dalla volontà di ebrei venuti da fuori – scava tra questi due popoli una trincea? Di nuovo: perché la ragione è politica, come per ogni genere di contesa. E ogni ragione politica cela il più profondo interesse economico. Degli Stati Uniti di mettere piede in oriente, dei coloni ebrei di appropriarsi di terre che saranno al centro delle contese degli anni avvenire. E infatti, pensate ai fatti dell’Afghanistan, dell’Iraq, dell’Iran e della Siria, e a quanto sono prossimi dallo stato di Israele; e pensate pure che l’occidente, USA in testa, è stato protagonista in ognuno degli scenari che questi posti hanno accolto dagli anni ’50 a oggi; ovviamente, per grazia di Israele.
Dunque il massacro dei palestinesi è un affare importante per tutto l’occidente perché l’occidente stesso possa avere seriamente intenzione di fermare il conflitto, al di là delle chiacchiere. Non stupisce che la risoluzione ONU per indagare sui crimini di guerra commessi da Israele non sia passata, con l’astensione della maggior parte delle nazioni europee (Italia compresa) e la contrarietà di Stati Uniti e Israele (ovviamente). La risposta dura c’è stata solo dal continente sudamericano che in diversi paesi ha interrotto i rapporti con Israele, in campo economico e politico-diplomatico, arrivando pure a ritirare il proprio ambasciatore e costringendo a fare le valige quello israeliano. Ed è questa la strada da seguire per far cessare il conflitto. E’ necessario che Israele sia tagliato fuori dal mondo e seriamente danneggiato negli scambi commerciali. E’ questo che sospinge ogni conflitto, la ragione economica, perciò non dovrebbe stupire più di tanto che una multinazionale come la Garnier abbia regalato alle soldatesse israeliane cosmetici e prodotti per la cura personale. E allora si boicotti Israele e i suoi partner! Chi non lo fa ne diventa complice.




LA RICERCA TEORETICA DEL SIONISMO
Infine, alle dinamiche interne e alla loro ragione economica fa da condimento una buona dose di “estetica della politica”, per usare un termine del letterato ebraico Moses Hess. In patria si ha bisogno di stimolo, di motivazione, di giustificazione, per alimentare il conflitto. La propaganda di regime adottata dal governo sionista di Israele mira a far interiorizzare l’ideologia vittimista di cui si parlava prima. Ma qual è il sostrato che permette a tale ideologia di attecchire?
Se si considera che niente nasce dal nulla, bisogna ritenere che sia abbastanza il risentimento per aver subito lo sterminio nazista a far scattare la molla del vittimismo, essenza ideologica del sionismo; oppure, com’è più probabile, che nell’essere ebreo stesso ci sia il seme (che può crescere oppure no) del sionismo. Perché se questo lo si considerasse semplicemente una devianza estremistica originata dall’aver subito un torto (la vittima che diventa carnefice), bisognerebbe trovare il sistema di mantenere vivo nelle generazioni il risentimento per il torto subito, e la ricerca di quest’appiglio che lo consenta è proprio la ricerca di quel seme insito in ciò che accomuna tutti gli israeliani, l’essere ebrei – eccette quelle minoranze che, come si diceva prima, sono infatti perseguitate.
E allora va da sé che bisogna volgere la propria indagine a quel torto e trovare una ragione che lo motivi. I tedeschi infatti, non avevano nessuna cattiveria innata che li spingesse di punto in bianco proprio contro gli ebrei; per lo meno, non meno dei russi che li massacrarono con i pogrom, o della Spagna dei sovrani cattolici che li cacciò e li inquisì, o dei cattolici italiani che li perseguitarono aizzati dai prelati. Eppure tutti questi, spinti da questa o quella ragione contingente, nei secoli furono ostili nei confronti degli ebrei. Deve esserci allora una ragione che accomuni ognuno di questi nell’aver voluto osteggiare gli ebrei. Se quella ragione può essere tanto motivo di odio nei loro confronti quanto da parte loro nei confronti dei palestinesi, allora ho ragione nel dire che essere ebrei può essere pericoloso. E io credo di sì.

IL SIONISMO COME ESTREMISMO RELIGIOSO
Ma intendiamoci, questo io lo credo solo in un senso. Ho già detto di come l’essenza dell’ebreo sia estrapolata tutta dalla Torah. Ebbene, provate ad immaginare cosa può causare in una coscienza il doversi inginocchiare difronte ad un essere supremo, che tutto vuole e tutto può; che ha ogni cosa sotto di sé, specialmente l’uomo a cui ha dato leggi severissime da rispettare ossequiosamente – pena la dannazione eterna – e che ha dato prova di sé inviando sulla Terra atroci condanne e macabre pestilenze. Annullarsi in un culto del genere che esiti può avere se non disastrosi? Hegel parlava della coscienza infelice come di quel fenomeno che capita ai fanatici religiosi, che avendo estraniato la ragione da sé per averla assegnata ad un dio esterno ed indipendente, usavano flagellarsi e auto-macerare nel dolore, figlio della frustrazione per il delitto commesso e di cui non si rendevano conto, quello di aver allontanato la ragione da sé. E allora ecco la presenza di questo continuo senso del peccato e del doverlo espiare. I cristiani – specie in epoca medievale – che pure non sono esenti dal figurare nelle pagine nere della storia per aver torturato e ucciso in nome di dio, questo fenomeno lo conoscono bene. Ma per loro è diverso, la loro religione ha qualcosa di buono ed ottimistico che possono avvertire: l’essersi rinnovata nell’uomo per tramite di Cristo. Gli ebrei invece il messia non ce l’hanno; anzi, già da allora erano così obbedienti e simili al loro dio che hanno condannato a morte quello dei cristiani. Ebbene è così assurdo allora che l’alienazione religiosa possa portare l’uomo a sfogare tutto il suo ressentiment nella violenza? Freud sarebbe stato psicologicamente concorde.
In tutto questo però, non si può mancare di dire che non per forza bisogna essere fanatici religiosi. Certo che avere dei rituali così ferrei ai quali si viene iniziati – proprio malgrado – sin da bambini porta facilmente su quella strada. Anche qui gli istinti giocano un ruolo determinante. Esistono tanti ebrei, convintissimi, eppure pacifici. E sono i più sottomessi, credetemi. Per il loro dio è il massimo. Per me è uno schifo. Perché la maggior parte non riesce umanamente ad essere così indulgente da sopportare la pressione e si sfoga con la violenza. A quel punto ogni burattino politico può convogliare quella rabbia di popolo verso questo o quell’interesse, proprio come agli albori la casta sacerdotale ebraica fece per fondare e mantenere il proprio potere. Anzi, la religione ebraica, come ogni religione, è nata proprio in funzione di una casta. Non dissimile dal potere del re, questo feudalesimo mentale che dura fino ai giorni nostri ha dimostrato tutta la sua crisi nei secoli: l’aver accumulato sempre maggiori poteri e ricchezze, ha portato la casta ebraica in ogni parte del mondo dopo la diaspora a diventare da ospite il padrone di casa. E’ questa mania di spadroneggiare ovunque in funzione della propria oligarchia che ha portato gli ebrei ad essere odiati nel mondo in ogni tempo. Poi, con la nascita del sionismo è accaduto semplicemente che tutti gli ebrei che la pensavano in questo modo poterono trovare la loro legittimazione con lo stato di Israele. I restanti ebrei che invece non condividono tale logica, oggi si schierano con i palestinesi. E che ben venga!

LA BUTTO Lì…
Allora non voglio dire che la religione è la diretta responsabile del massacro dei palestinesi, di certo però pone il terreno più fertile possibile per far attecchire un’ideologia violenta. A questo punto, avendo bisogno il sionismo del seme della religione ebraica (pur potendosi in seguito sviluppare autonomamente), domando provocatoriamente: “se la smettessero di tagliare un pezzo di pisello ai bambini”, se la smettessero cioè di imporre alle persone il loro culto drammatico e gli fosse lasciato l’arbitrio di sceglierselo, non si avrebbero forse solo ebrei più sottomessi e graditi al loro dio e meno sionisti assassini? Tanto meglio per tutti.


 
GIACOMO KATANGA

martedì 23 settembre 2014

SAGGIO BREVE: "Se non gli tagliassero più il pisello, la smetterebbero con i massacri?" (parte II)



LA RICERCA TEORETICA DEL SIONISMO
Infine, alle dinamiche interne e alla loro ragione economica fa da condimento una buona dose di “estetica della politica”, per usare un termine del letterato ebraico Moses Hess. In patria si ha bisogno di stimolo, di motivazione, di giustificazione, per alimentare il conflitto. La propaganda di regime adottata dal governo sionista di Israele mira a far interiorizzare l’ideologia vittimista di cui si parlava prima. Ma qual è il sostrato che permette a tale ideologia di attecchire?
Se si considera che niente nasce dal nulla, bisogna ritenere che sia abbastanza il risentimento per aver subito lo sterminio nazista a far scattare la molla del vittimismo, essenza ideologica del sionismo; oppure, com’è più probabile, che nell’essere ebreo stesso ci sia il seme (che può crescere oppure no) del sionismo. Perché se questo lo si considerasse semplicemente una devianza estremistica originata dall’aver subito un torto (la vittima che diventa carnefice), bisognerebbe trovare il sistema di mantenere vivo nelle generazioni il risentimento per il torto subito, e la ricerca di quest’appiglio che lo consenta è proprio la ricerca di quel seme insito in ciò che accomuna tutti gli israeliani, l’essere ebrei – eccette quelle minoranze che, come si diceva prima, sono infatti perseguitate.
E allora va da sé che bisogna volgere la propria indagine a quel torto e trovare una ragione che lo motivi. I tedeschi infatti, non avevano nessuna cattiveria innata che li spingesse di punto in bianco proprio contro gli ebrei; per lo meno, non meno dei russi che li massacrarono con i pogrom, o della Spagna dei sovrani cattolici che li cacciò e li inquisì, o dei cattolici italiani che li perseguitarono aizzati dai prelati. Eppure tutti questi, spinti da questa o quella ragione contingente, nei secoli furono ostili nei confronti degli ebrei. Deve esserci allora una ragione che accomuni ognuno di questi nell’aver voluto osteggiare gli ebrei. Se quella ragione può essere tanto motivo di odio nei loro confronti quanto da parte loro nei confronti dei palestinesi, allora ho ragione nel dire che essere ebrei può essere pericoloso. E io credo di sì.

IL SIONISMO COME ESTREMISMO RELIGIOSO
Ma intendiamoci, questo io lo credo solo in un senso. Ho già detto di come l’essenza dell’ebreo sia estrapolata tutta dalla Torah. Ebbene, provate ad immaginare cosa può causare in una coscienza il doversi inginocchiare difronte ad un essere supremo, che tutto vuole e tutto può; che ha ogni cosa sotto di sé, specialmente l’uomo a cui ha dato leggi severissime da rispettare ossequiosamente – pena la dannazione eterna – e che ha dato prova di sé inviando sulla Terra atroci condanne e macabre pestilenze. Annullarsi in un culto del genere che esiti può avere se non disastrosi? Hegel parlava della coscienza infelice come di quel fenomeno che capita ai fanatici religiosi, che avendo estraniato la ragione da sé per averla assegnata ad un dio esterno ed indipendente, usavano flagellarsi e auto-macerare nel dolore, figlio della frustrazione per il delitto commesso e di cui non si rendevano conto, quello di aver allontanato la ragione da sé. E allora ecco la presenza di questo continuo senso del peccato e del doverlo espiare. I cristiani – specie in epoca medievale – che pure non sono esenti dal figurare nelle pagine nere della storia per aver torturato e ucciso in nome di dio, questo fenomeno lo conoscono bene. Ma per loro è diverso, la loro religione ha qualcosa di buono ed ottimistico che possono avvertire: l’essersi rinnovata nell’uomo per tramite di Cristo. Gli ebrei invece il messia non ce l’hanno; anzi, già da allora erano così obbedienti e simili al loro dio che hanno condannato a morte quello dei cristiani. Ebbene è così assurdo allora che l’alienazione religiosa possa portare l’uomo a sfogare tutto il suo ressentiment nella violenza? Freud sarebbe stato psicologicamente concorde.
In tutto questo però, non si può mancare di dire che non per forza bisogna essere fanatici religiosi. Certo che avere dei rituali così ferrei ai quali si viene iniziati – proprio malgrado – sin da bambini porta facilmente su quella strada. Anche qui gli istinti giocano un ruolo determinante. Esistono tanti ebrei, convintissimi, eppure pacifici. E sono i più sottomessi, credetemi. Per il loro dio è il massimo. Per me è uno schifo. Perché la maggior parte non riesce umanamente ad essere così indulgente da sopportare la pressione e si sfoga con la violenza. A quel punto ogni burattino politico può convogliare quella rabbia di popolo verso questo o quell’interesse, proprio come agli albori la casta sacerdotale ebraica fece per fondare e mantenere il proprio potere. Anzi, la religione ebraica, come ogni religione, è nata proprio in funzione di una casta. Non dissimile dal potere del re, questo feudalesimo mentale che dura fino ai giorni nostri ha dimostrato tutta la sua crisi nei secoli: l’aver accumulato sempre maggiori poteri e ricchezze, ha portato la casta ebraica in ogni parte del mondo dopo la diaspora a diventare da ospite il padrone di casa. E’ questa mania di spadroneggiare ovunque in funzione della propria oligarchia che ha portato gli ebrei ad essere odiati nel mondo in ogni tempo. Poi, con la nascita del sionismo è accaduto semplicemente che tutti gli ebrei che la pensavano in questo modo poterono trovare la loro legittimazione con lo stato di Israele. I restanti ebrei che invece non condividono tale logica, oggi si schierano con i palestinesi. E che ben venga!

LA BUTTO Lì…
Allora non voglio dire che la religione è la diretta responsabile del massacro dei palestinesi, di certo però pone il terreno più fertile possibile per far attecchire un’ideologia violenta. A questo punto, avendo bisogno il sionismo del seme della religione ebraica (pur potendosi in seguito sviluppare autonomamente), domando provocatoriamente: “se la smettessero di tagliare un pezzo di pisello ai bambini”, se la smettessero cioè di imporre alle persone il loro culto drammatico e gli fosse lasciato l’arbitrio di sceglierselo, non si avrebbero forse solo ebrei più sottomessi e graditi al loro dio e meno sionisti assassini? Tanto meglio per tutti.






GIACOMO KATANGA