sabato 30 novembre 2013

La rinascita ungherese di Giuseppe De Santis - 29/11/2013

Fonte: piovegovernoladro.altervista

CACCIATA UE-BCE-FMI, L’UNGHERIA RINASCE: TAGLIO COSTO LUCE GAS ACQUA DEL 20% TICKET BUS DEL 10% IVA RIDOTTA DA 27% A 5%



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L’Ungheria continua la sua politica di abbassamanento delle tasse e delle tariffe. I giornali e i vari talk show italiani continuano a ignorare la rivoluzione economica che sta avvenendo in Ungheria perche’ si vuole tenere il popolo nell’ignoranza onde evitare che un numero sempre crescente di persone inizi a opporsi alle misure lacrime e sangue varate da questo governo per conto dell’Unione Europea.
Per chi non ne fosse a corrente (e purtroppo sono ancora tantissimi) il governo magiaro alcuni mesi fa ha deciso di ripagare con due anni di anticipo il debito contratto col Fondo Monetario Internazionale allo scopo di non subire piu’ pressioni ricattatorie da parte dei suoi ispettori.
Dopo essersi liberato di questi ricattatori e usurai il governo ha iniziato ad adottare una serie di provvedimenti aventi lo scopo di stimolare l’economia e aiutare le fasce piu’ deboli e cosi’ ha deciso di abbassare le bollette di luce, acqua, gas e nettezza urbana del 20% e ha aumentato le pensioni per compensare i recipienti dell’aumento del costo della vita.
Tali provvedimenti sarebbero stati sufficienti per migliorare le condizioni di vita degli ungheresi ma il governo ha deciso di andare oltre e infatti nel disegno di legge fiscale recentemente approvato dal parlamento sono previste nuove misure sugli assegni familiari e riduzione dell’IVA dal 27% al 5 % sui suini vivi e macellati.
Inoltre questo disegno di legge amplia le possibilità di detrarre le tasse sui contributi sociali e sul reddito personale delle famiglie con più figli nella fascia di reddito medio-bassa e questo ampliamento delle detrazioni fiscali familiari costerà al bilancio 53 miliardi di fiorini (oltre 180 milioni di euro) ed interesserà circa 260mila famiglie.
Ma se i cittadini ungheresi sono fortunati quelli di Budapest lo sono ancora di piu’ visto che l’amministrazione municipale di questa citta’ ha deciso che dal 1 Gennaio del 2014 il prezzo degli abbonamenti per i trasporti pubblici sarà ridotto del 10% e nello specifico gli abbonamenti mensili passeranno dagli attuali 10.500 fiorini a 9.500, l’annuale da 114.500 costerà 103.000 fiorini, il pass mensile per gli studenti scenderà da 3.850 a 3.450 e quello mensile per pensionati da 3.700 a 3.330 fiorini.
Questo e’ quello che avviene quando al governo ci sono partiti nazionalisti che fanno l’interesse del popolo e questo spiega il perche’ la nostra casta dirigente teme la crescita del nazionalismo in tutta Europa e usa parole estremamente offensive per attaccare chiunque osa opporsi alla dittatura dei poteri forti.
L’Ungheria dimostra che un’alternativa all’austerita’ esiste e sarebbe ora che anche gli italiani protestassero affinche’ tali politiche vengano adottate anche in Italia.

venerdì 29 novembre 2013

L'accordo sul nucleare con l'Iran prelude a una guerra Di Tony Cartalucci

“... qualsiasi operazione militare contro l’Iran sarà probabilmente molto impopolare in tutto il mondo e richiederà un adeguato contesto internazionale sia per garantire supporto logistico all’operazione che per ridurre al minimo il contraccolpo che si può avere da esso. Il modo migliore per ridurre al minimo lo sdegno internazionale e massimizzare il sostegno (anche riluttante o dissimulato) è di colpire solo quando vi sia una diffusa convinzione che agli iraniani è stati fatta un’offerta superba, ma che essi hanno respinto – un’offerta così buona che solo un regime determinato a dotarsi di armi nucleari ed a farlo per motivazioni malvagie poteva rifiutare. 
In tali circostanze, gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero presentare le loro operazioni come prese con dolore, non con rabbia, e almeno alcuni nella comunità internazionale concluderebbero che gli iraniani “se la sono cercata”, rifiutando un buon affare”. 
Il passaggio è tratto dal Report del 2009 della Brookings Institution “ Which Path to Persia?“, pagina 52.
Scritto anni fa, quando gli USA, l’Arabia Saudita e Israele già stavano complottando per invadere con Al Qaeda il vicino Iran, alleato della Siria, allo scopo di indebolire la Repubblica islamica prima di una guerra inevitabile, questa citazione mostra integralmente come l’ “affare nucleare iraniano” sia in effetti una farsa. 
L’Occidente non ha alcuna intenzione di fare alcun accordo duraturo con l’Iran, riguardo alla capacità nucleare; anche l’acquisto di armi nucleari da parte dell’Iran non è mai stato veramente una minaccia esistenziale per le nazioni occidentali o i loro partner regionali. Il problema dell’Occidente con l’Iran é la sua sovranità e la sua capacità di proiettare i propri interessi in ambiti tradizionalmente monopolizzati dagli Stati Uniti e dal Regno Unito in tutto il Medio Oriente. A meno che l’Iran pianifichi la rinuncia alla propria sovranità ed alla propria influenza regionale, insieme con il suo diritto di sviluppare e utilizzare la tecnologia nucleare, il tradimento di un “accordo sul nucleare” è semplicemente inevitabile, come inevitabile è la guerra che deve seguire subito dopo la disdetta dell’accordo.
Esporre la doppiezza che accompagna gli “sforzi” occidentali per raggiungere un accordo significherà minare gravemente il loro tentativo di utilizzare l’accordo come leva per giustificare le operazioni militari contro l’Iran. Sia l’Iran che i suoi alleati devono essere preparati per la guerra, tanto più quando l’Occidente finge interesse per la pace. La Libia fornisce un perfetto esempio del destino che attende le nazioni rimproverate dall’Occidente allo scopo di far abbassare la guardia - è letteralmente una questione di vita o di morte, sia per i leader che per le nazioni nel loro complesso.


FONTE
 

giovedì 28 novembre 2013

Nun ve reggo più – Il liceo di 4 anni comporterebbe un ulteriore riduzione del tempo scuola per gli studenti per un totale di due anni e mezzo

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i Bruno Moretto e Giovanni Cocchi
27 novembre 2013
La Gelmini  ha tolto dal 2008 due anni di scuola a tutti gli alunni e ora il Ministro Carrozza  vuole tagliare un altro anno di scuola superiore.

Come è noto la “riforma Gelmini” è consistita essenzialmente in una diminuzione delle ore di lezione per tutti i gradi scolastici.
Alle elementari si è passati da 32/33 ore a 27, cioè -5×33 settimane x 5 anni=- 825 ore.
Alle medie da 33 a 30, cioè -3×33 settimane x 3 anni= – 297
Alle superiori c’è stato un taglio medio di almeno 4 ore settimanali x33 settimanex5anni= – 660 ore
Ora il Ministro sostiene il Progetto sperimentale del liceo a 4 anni (invece di 5) che comporterebbe  un taglio di altre 627 ore.
Sommando le ore (825+297+660+627= 2409 ore) e dividendole per 30 ore settimanali si ottengono -80 settimane, cioè due anni e mezzo  in meno di scuola, d’istruzione, di formazione, di socializzazione, di costruzione di sé, di professionalità, di chance per il futuro e chi più ne ha più ne metta.
L’alunno potrà forse rifarsi con le scuole serali o l’educazione adulta? No, eliminate per sempre anche quelle (alla faccia di chi dice che “occorre studiare tutta la vita”).
E’ stato recentemente reso noto il rapporto OCSE Piaac che dà un quadro drammatico  delle “competenze chiave ritenute fondamentali per vivere” ovvero di quelle in campo comunicativo e matematico della popolazione italiana 16-64 anni.
Il  44% della popolazione attiva italiana possiede al massimo la licenza media, l’11% quella elementare (fonte OECD 2013).
Si pensa di affrontare questa emergenza che ci penalizza nella competizione internazionale riducendo ancor di più il numero delle ore di lezione per gli alunni e continuando a non fare nulla per gli analfabeti di ritorno?

BADATE BENE SIGNORI!

Badate, non c'è nulla di onorevole nel vedere un corrotto nanetto uscire di scena, quando ormai, i suoi precedenti giudiziari e focosi lo hanno reso innocuo e patetico!
Non c'è nulla di onorevole e nulla per cui gioire, son troppi vent'anni di dominio, senza resa dei conti, se prima il lupo ringhiava sul palco, adesso è simile a una pecora dispersa in un atollo di furfantelli, dominato da corporazioni ben più ipocrite. Tolto un idiota, troveranno un bigotto, ammansito un bigotto tornerà dittatura, non è una previsione da semplice demente, solo un occhio alla storia che si ripete.
I seguaci sono finti duellanti, la scena politica un misero covo d'avanspettacolo; non molto diverso da quello inscenato negli ultimi trent'anni di fango.
Vedremo tanti camerieri sfilare, non come gli illustri lavoratori, ma schiavi prostrati, non alla ragion di stato, né alla ragion di un'idea socialmente utile, bensì alla logica del mercato globale.
Se temete di navigare su una barchetta senza nocchiere, sappiate che manca anche il timone, rimangono i fili da tirare e non vedo marionette capaci di stuccare il raccordo.


(Antonio Recanatini)

Roberto Rossetti - Sempre e per sempre dalla stessa parte

Roberto Rossetti ci ha lasciato questa notte, dopo una lunga malattia. Era nato a Roma il 14 giugno 1956, nel quartiere di San Lorenzo che allora non era il centro della movida, ma un quartiere operaio e artigiano, fortemente caratterizzato sul terreno dell’antifascismo. Il padre era un artigiano all’antica, l’ultimo tornitore a mano di Roma, la madre era casalinga.
A diciotto anni, nel 1974, si era avvicinato all’Autonomia Operaia romana, che aveva la sua roccaforte nel quartiere, adiacente all’università, e vi aveva militato per un anno, ma già nel 1975 aveva aderito alla sezione italiana della Quarta Internazionale in cui è rimasto, con grande passione e interessi internazionalisti, fino all’ultimo.
L’incontro con Livio Maitan lo aveva colpito profondamente: Roberto sarà il principale animatore del Centro Studi che ne conserva biblioteca e archivio, a cui si è dedicato con passione negli ultimi anni. D’altra parte Roberto, che aveva lavorato per anni in diverse librerie, aveva una grande passione per i libri.
Leggeva molto, soprattutto di storia, ma anche molti romanzi interessandosi a diverse materie. Già indebolito dalla malattia, aveva continuato a proporre iniziative editoriali, a seguire anche negli aspetti organizzativi il Centro Studi e ancora, fino a pochi mesi fa, lo si ritrovava sempre dietro un banchetto con i libri in ogni manifestazione. E la sua casa era piena di libri.
Ma non era certo un topo di biblioteca: nel corso dei quasi quarant’anni di militanza aveva partecipato a moltissime iniziative: nel 1977 era stato dapprima nel Collettivo di Fisica, poi aveva fondato a San Lorenzo un collettivo giovanile che raccoglieva diverse decine di compagni “non autonomi” quasi tutti giovanissimi, provenienti da esperienze diverse.
Nel 1984 sarà uno dei promotori dell’Organizzazione Giovanile Rivoluzione, che a Roma era stata preceduta fin dal 1982 da un CUP (Comitato Universitario per la Pace), che si trasformerà successivamente nel Circolo Rivoluzione di Roma. All’OGR Roberto dedicherà le sue energie fino al 1989, quando la LCR e l’OGR entreranno in Democrazia Proletaria.
Dopo l’ingresso in DP entra nella segreteria romana e diventa funzionario. Ma al momento della confluenza in Rifondazione nel 1991 sarà sacrificato dall’apparato di DP: è l’unico funzionario di DP a non essere trasformato in funzionario del PRC.
In Rifondazione si iscrive al circolo di San Lorenzo e diventa membro del Comitato Regionale, dove rimarrà fino all’uscita dal partito. Nel 1994 entra nel Comitato Politico della Federazione del PRC di Roma e conduce al congresso la prima battaglia vera di minoranza. Nel 1997 va a lavorare all’assessorato all’urbanistica della regione Lazio con Salvatore Bonadonna. Si consolida un rapporto politico e di amicizia personale con Francesco Babusci (allora consigliere regionale), iniziato tre anni prima e che durerà fino alla morte di Francesco nel 2001.
Sempre nel 2001 diviene assessore alla scuola nel II municipio di Roma (che comprende San Lorenzo), carica che ricoprirà fino al 2008. Svolgerà un lavoro indefesso per migliorare questi quartieri e restituire alla collettività la fruibilità di queste zone della città. Disponibile con tutti e capace sempre, con pazienza e determinazione, di intessere il dialogo, sia con i militanti politici che con i semplici cittadini, si conquista una larga fiducia e stima.
Per tutta la sua vita Roberto ha militato per la sua classe, instancabilmente; lo ha fatto sul piano politico e sociale con tenacia, modestia, ma con la capacità di non mollare mai la presa e di saper conseguire i risultati e di valorizzarli. Ha avuto sempre un ruolo dirigente e ogni responsabilità che assumeva non solo si poteva essere sicuri che sarebbe stata mantenuta, ma che sarebbe stata realizzata al meglio.
Ma Roberto è stato un compagno di grande valore anche sul piano umano, nelle relazioni con le compagne e i compagni dell’organizzazione, con gli amici, nella sua vita personale con la sua compagna Daniela e nel rapporto bellissimo e delicato che lo legava alla figlia Ginevra: un padre tenero ed attento.
Impedito dalla malattia nel 2011 ad essere presente al seminario annuale di settembre, a cui aveva sempre partecipato in tutta la sua vita militante, appena ripresosi dopo l’operazione, si era rigettato appieno nella attività e nel dibattito dell’organizzazione anche se non disponeva più di una mobilità autonoma perché i medici avevano vietato che guidasse l’auto (e a maggior ragione la moto) per timore di un altro improvviso malore.
Avevamo sperato tutti che la sua volontà e il suo organismo gli permettessero di vincere la battaglia contro la malattia, da lui affrontata con grande e semplice lucidità e coraggio.
Fino all’ultimo ha voluto dare il suo contributo. Ancora due mesi fa, già debolissimo, aveva voluto partecipare alla Conferenza di fondazione di Sinistra Anticapitalista di Chianciano, per incoraggiare i compagni e salutarli, essendo ben consapevole della fine imminente.
Roberto, con la sua tenacia e la sua modestia, ci ha lasciato un vuoto politico ed umano che sarà molto difficile riempire per le compagne e compagni di Roma, per tutta l’organizzazione, ma anche per tutte/i coloro che hanno avuto la fortuna di incontrarlo e di lavorarci insieme.
Un grande abbraccio va da tutti e tutte noi a Daniela e Ginevra.
La camera ardente sarà allestita giovedì 28 novembre dalle ore 11 nella sede di San Lorenzo in via dei Latini, 73. La commemorazione si terrà alle ore 15 nella sala teatro della scuola Saffi in via dei Sabelli, 119 a Roma.


sabato 23 novembre 2013

CHI È SALVATORE LIGRESTI E QUANTA CORRUZIONE RUOTA INTORNO AL SUO NOME?

Salvatore Ligresti è un’imprenditore nato a Paternò, in provincia di Catania, il 13 marzo 1932: sulla cresta dell’onda per decenni, Ligresti ha ruotato attorno a tutto il panorama imprenditoriale e finanziario italiano: costruzioni, assicurazioni, banche, editoria, dagli anni ‘50 rappresenta un pezzo di storia imprenditoriale tra i più chiacchierati e ambigui d’Italia.
Dopo la laurea in ingegneria a Padova si trasferisce a Milano, sul finire degli anni ‘50, senza capitali ma con una furbizia acuta ed un sensazionale senso degli affari: partito da Paternò, è a Milano che Salvatore Ligresti realizza e consolida un’ascesa verso il successo come poche altre; nella piazza Affari del boom economico conosce Michelangelo Virgillito, compaesano, e Raffaele Ursini (che erediterà, proprio da Virgillito, il colosso Liquigas, portato di gran carriera verso il fallimento): dai due Ligresti assorbe come una spugna, imparando a muoversi abilmente nelle pieghe affaristiche e nel rampante mondo imprenditoriale meneghino.
Rileva la Richard Ginori da Michele Sindona, proprio grazie alla Liquigas di Ursini, negli anni ‘70: nel 1973 Sindona cede alla Liquigas, nel 1975 viene creato la macrostruttura d’azienda Pozzi-Ginori e, nel 1977, viene trasferita al Gruppo SAI (di cui Ursini è titolare), giungendo poi tra le braccia di Salvatore Ligresti, quando quest’ultimo “eredita” il pacchetto di azioni SAI da Ursini.
Un’eredità che, a detta di molti, ha più i contorni della truffa: secondo Ursini il 20% delle azioni venne regalato, il 10% ceduto con la formula del “patto di riscatto”, una versione sempre contestata dal Ligresti che sostiene di aver acquistato l’intero pacchetto azionario, verità giudiziaria scritta nero su bianco dopo un lungo contenzioso iniziato nel 1988.

La conquista della SAI è tuttavia degna di una sceneggiatura di Hollywood: nel 1978 Salvatore Ligresti dichiarava al fisco un reddito di 30 milioni di lire l’anno, cifra importante ma non certamente da capogiro, e nell’acquisizione di SAI sono ruotati personaggi anche piuttosto strani: il missino Antonino La Russa, “padrino” di Virgillito e Ursini e padre di Ignazio, che prese sotto la sua ala il giovane Salvatore Ligresti, Luigi Aldrighetta, operatore finanziario siciliano che fece da mediatore per l’acquisto di un altro pacchetto azionario importante da parte di Ligresti, i sei fratelli Massimino, muratori diventati costruttori ed infine uomini di potere (la protesi del denaro, sopratutto in quegli anni): a loro erano intestate le società Finetna e la Premafin, che controllavano SAI nel periodo tra la fuga di Ursini in Brasile e l’avvento palese di Ligresti.
La domanda, come per altri imprenditori rampanti e giovani di successo dell’epoca, è sempre la stessa: dove ha preso i soldi?
La holding Premafin Finanziaria Spa Holding di Partecipazioni è stata controllata da Ligresti e dai tre figli, oggi in carcere, fino alla fine del 2012 grazie ad un patto di sindacato stipulato tra società tutte riconducibili alla famiglia Ligresti. Quotata in borsa, è passata di recente sotto il controllo di Unipol.
Sposa Antonietta Susini, detta Bambi, figlia di Alfio, un personaggio chiave per gli affari edilizi a Milano, e da quel momento riuscirà a mettere mano in tutti i più rilevanti interventi urbanistici del capoluogo lombardo: Expo, Fiera, Garibaldi-Repubblica. Ma non si ferma qui: Firenze, Torino, il nome di Ligresti dai primi ‘80 fa rima con cemento.
Nel 1981 la moglie viene rapita e tenuta sequestrata per circa un mese dietro il pagamento di un riscatto da 600 milioni; successivamente due sospettati del rapimento, Pietro Marchese e Antonio Spica, finiscono morti ammazzati; il terzo, Giovannello Greco, fedelissimo del vecchio capo di Cosa Nostra Stefano Bontate, scompare nel nulla fino al 2002, quando si costituisce.
Nel 1984 è stato oggetto di un’indagine di polizia perchè sospettato di avere rapporti con Cosa Nostra: il fascicolo viene inviato l’anno dopo a Milano, da Roma, sul tavolo del magistrato Piercamillo Davigo, poi affiancato anche da Filippo Grisolia, che già indagava su Ligresti per alcune licenze urbanistiche. Il dossier finì nel dimenticatoio dopo poco.
Angelo Siino, imprenditore mafioso di Cosa Nostra considerato il “ministro dei lavori pubblici” della mafia accusa Salvatore Ligresti, nei primi anni ‘90, di avere come relatore della mafia addirittura Nitto Santapaola, che avrebbe favorito Ligresti addirittura arrivando a stravolgere il sistema della distribuzione degli appalti messo in piedi dalla mafia: anche le dichiarazioni di Siino però restarono lettera morta.
Negli ‘80 diventò il più potente immobiliarista di Milano.
Nel 1996 Gaspare Mutolo riferì una “confidenza” fattagli da Vittorio Mangano, il mitico “stalliere” di Arcore, secondo il quale Ligresti riciclava i capitali mafiosi della famiglia Carollo (la Duomo connection)
Nel 1992 venne coinvolto nello scandalo Tangentopoli, arrestato e condannato per tangenti: patteggiò una pena a 2 anni e 4 mesi, fu affidato ai servizi sociali e continuò con la sua attività di costruttore, restando tuttavia anche un importante finanziere: non si limita infatti a controllare SAI ma possiede anche Pirelli, 5,4%, la Cir di Carlo De Benedetti (5,2%), l’Italmobiliare di Giampiero Pesenti (5,8), l’Agricola Finanziaria di Raul Gardini (3,7).
Qualcuno, viste le quote azionarie molto simili, comincia a chiamarlo “mister 5 per cento”; nel 2004 entra anche in RCS Mediagroup sempre attraverso la holding Premafin (diventata un gigante), mantenendo fede al soprannome e detenendo il 5.291%, partecipando sempre con Premafin al patto di sindacato per il controllo della società editrice.
Salvatore Ligresti è stato anche consigliere d’amministrazione di Unicredit fino al 2011 rassegnando le dimissioni
“in relazione all’evolversi delle relazioni di affari del gruppo facente capo alla famiglia Ligresti con UniCredit”
Oggi Salvatore Ligresti è stato arrestato con l’accusa di falso in bilancio e manipolazione di mercato, reati per i quali, in tutto il modo esistono pene dai 20 ai 30 anni di reclusione.



FONSAI, LIGRESTI E LA RUSSA, ECCO COSA È "SUGGESSO"


venerdì 22 novembre 2013

Europa: sta nascendo una dittatura. Fuggite, sciocchi!

L'Europa è una dittatura, bisogna uscirne il prima possibile. Senza chiedersi cosa sarà della bolletta della luce o della rata del mutuo, perché non ci lasceranno né luce né casa. Siamo in mano a dei pazzi furiosi.
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Trovo questo bel post sul blog di Alberto Bagnai, ad opera di Alex, che così riflette:
L'unica cosa amaramente buona di questa crisi è che ho capito come nascono le dittature, che SI, è proprio vero, più che da una violenza dei padroni derivano dalla tentazione dei servi, dall'ignoranza dalla mediocrità e dall'ignavia della gente (...); e a cosa dovrebbe servire la cultura umanistica: ad insegnarti con chi hai a che fare affinché tu possa fare/ripetere meno errori possibili. Infatti è per questo che l'hanno piano piano distrutta.
Evidentemente stiamo riflettendo un po' tutti sulla stessa cosa: sta nascendo una dittatura, in Europa? A volte, mentre sento le notizie, ho dei flash di voci future "Ma noi non sapevamo, ma noi non volevamo!", chissà se è la sindrome di Cassandra, o soltanto memorie di un passato ancora recente.
Lo stesso concetto di dittatura non è antico: nessuno si sognava di chiamare "dittatori" il re Sole, il Papa o l'imperatore di turno. E' un concetto nuovo.
Fatto sta che l'abbiamo introiettato molto bene, al punto che vediamo dittatori dovunque, persino in leader democraticamente eletti (vedi Chavez o Ahmadinejad) o addirittura in comici col blog. Ma quando si tratta di noi, ehh: la dittatura è l'elefante nella stanza. Nessuno riesce ad accorgersene.
Forse perché si tratta di una declinazione di dittatura finora inedita. Nell'immaginario, il dittatore ha una faccia cattiva, impone le sue idee al popolo con gli eserciti, e sbatte i dissidenti in gabbia o alle torture. Ora sembra che non ce ne sia più alcun bisogno: il dittatore non ha un nome e cognome, anzi si nasconde in una massa amorfa di oscuri burocrati. L'esercito di cui si serve? Stampa, media e politici compiacenti o corrotti. L'arma principale? La shock economy, eventi che terrorizzano i cittadini e li rendono consenzienti a qualsiasi nefasto provvedimento passi per indispensabile. I dissidenti? Nessun problema: li si lascia a sbraitare nel recinto di Internet, che danno vuoi che facciano. Una dittatura il cui scopo è l'impoverimento generalizzato e il controllo da esso derivante, non ha bisogno di sparare un colpo: stiamo consegnando tutto senza fiatare.
Qualcuno obietterà che non è vero, che tanti si stanno accorgendo di ciò che accade. Ah si? Beh io non credo. Come scrive ancora Bagnai nel suo libro, quando i partigiani andarono in montagna non si preoccuparono dell'inflazione, della perdita di potere d'acquisto, del mutuo in euro. Quando c'è da combattere si combatte, costi quel che costi. Noi non siamo ancora pronti. Siamo ancora come quelle famiglie ebree che nel '36 consegnavano l'oro, consegnavano i pianoforti, pensando che presto sarebbe finita e peggio di così non poteva andare. E invece, si è visto com'è andata.
Noi stiamo consegnando oro e pianoforti per paura dei finti mostri che ci hanno dipinto, e alla fine perderemo tutto senza avere più nulla per cui combattere. Vogliamo davvero ridurci così?
L'Europa è una dittatura, bisogna uscirne il prima possibile. Senza chiedersi cosa sarà della bolletta della luce o della rata del mutuo, perché non ci lasceranno né luce né casa. Siamo in mano a dei pazzi furiosi e l'unica è svignarsela, le difficoltà successive le affronteremo poi, ci penseremo dopo come si sono detti i partigiani scalando la montagna. Ora il pensiero è uno, e uno solo, e questo dobbiamo chiedere con forza a chi ci rappresenta:
Fuggite, sciocchi!

mercoledì 20 novembre 2013

Genova, stupri in Questura: Pigozzi condannato a 12 anni e mezzo

Genova. Massimo Pigozzi, il poliziotto di 46 anni accusato di aver stuprato due prostitute romene e di aver palpeggiato altre due donne durante un fermo in Questura, è stato condannato oggi a 12 anni e mezzo di reclusione dal tribunale penale, e a risarcire il ministero dell’Interno come parte civile costituitosi con l’Avvocatura dello Stato.
La pena conferma la richiesta del pm: 12 anni per le violenze sessuali e sei mesi per abbandono del posto di lavoro perché si sarebbe allontanato dalla questura mentre era in servizio.
I quattro episodi risalgono al 2005: due in maggio, uno in agosto e uno in ottobre. Secondo l’accusa le donne avrebbero reso una descrizione coincidente con il reale arredo del locale dove sarebbero avvenute le violenze sessuali. Le dichiarazioni sono state ritenute inoltre coerenti, spontanee e volontarie, escludendo la possibilità di pressioni. Inoltre il pm ha spiegato che tutte hanno descritto in modo analogo l’aspetto dell’agente riconoscendolo.
Pigozzi è sospeso da tempo dal servizio, dopo la condanna tre anni e due mesi (in primo e secondo grado) nel processo per le violenze nella caserma di Bolzaneto durante il G8 per aver divaricato le dita di una mano a una persona che era stata fermata

martedì 19 novembre 2013

SCEGLIE DI FARE L’EREMITA IN ABRUZZO L’EX MANAGER LAUREATO IN BOCCONI

Una scelta di vita molto particolare, imperniata sulla ricerca di valori interiori.
L'ex manager Marco davanti al suo orto «La mia vita è cambiata dieci anni fa: a gennaio del 2001 mi trovavo per lavoro all'Holiday Inn di Manhattan, a giugno dormivo nei fienili in Toscana». Marco, trentasette anni compiuti, ex manager Yamaha ed ora eremita in Abruzzo, ride. Il contrasto delle due immagini lo diverte.

Per parlare con quest'uomo riflessivo, pacato e accogliente, i cui tratti incorniciati dalla capigliatura rasta ricordano vagamente quelli di Bob Marley, abbiamo dovuto camminare parecchio. Mezz'ora buona di ripida montagna tra Rocca Santa Maria e Valle Castellana, in provincia di Teramo, al confine tra l'Abruzzo selvaggio e le Marche. Dove è possibile incontrare i lupi e, giurano alcuni, anche gli orsi. D'altronde, l'eremita del borgo abbandonato di Valle Pezzata, che fino all'età di ventisette anni era product manager dell'Italaudio, storico distributore nazionale del marchio Yamaha per hi-fi con sede a Legnano, non se l'è scelta facile l'esistenza.
CURRICULUM – Laureato in Economia alla Bocconi con una tesi dal titolo eloquente («Metodologie di valutazione ambientale e sviluppo sostenibile», relatore il professor Pierluigi Sacco, volto noto alla Rai come divulgatore, ora ordinario alla Iulm di Milano), Marco già allora tentava di dare un'interpretazione diversa della realtà che lo circondava. «Volevo confutare – ci spiega – le tesi di coloro che, finanziati dalle multinazionali, cercano di far passare per scienza le convinzioni politiche».
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Dopo la laurea, conseguita a pieni voti, lavora un anno e mezzo per il marchio giapponese. Le dimissioni arrivano improvvise ed inaspettate, soprattutto per i genitori. «Non ero in armonia con le mie inclinazioni – dice – e sapevo che quella del manager non era la mia strada. L'avevo scelta come banco di prova e come estensione del corso di studi. Ma era un'esperienza totalizzante. Al di là delle otto ore di ufficio, il lavoro assorbiva completamente la mia vita. Era difficile staccare la spina quando tornavo a casa. Invece io volevo stabilire un contatto più profondo e più armonico con l'ambiente circostante». «Una scelta coraggiosa – la definisce oggi Marco Puchetti, fino al 2003 direttore commerciale all'Italaudio -, tanto più se si considera che Marco era un ottimo manager e aveva iniziato il proprio percorso professionale in una realtà aziendale notevole».
FAMIGLIA – Marco è cresciuto a Busto Arsizio, nel Varesotto, cullato e protetto da una famiglia benestante che tutto si aspettava tranne che il figlio rifiutasse il consumismo e le comodità e abbracciasse un'esistenza fatta di cose elementari. «La presero – ricorda – come una scelta che non poteva stare in piedi, un gesto di temporanea follia. Contavano sul fatto che, finiti i soldi della liquidazione, sarei tornato». E invece accade il contrario. «Mi sono accorto presto – prosegue – che la mia vita era sommersa dai bisogni secondari indotti dal sistema in cui vivevo. Ero pieno di cose che non mi servivano e di cui pian piano mi dovevo liberare. In questo modo è stato più facile rendermi autonomo rispetto ai bisogni primari legati alla sopravvivenza, al cibo, ai vestiti e ad un riparo sopra la testa, e indirizzare quelli secondari nella direzione in cui volevo, senza che fossero condizionati dal marketing, dalla politica o da qualche scuola spirituale». L'ex manager trascorre circa otto anni nell'ecovillaggio della Valle degli Elfi, sull'Appennino tosco-emiliano. Due anni fa, in pieno inverno, si sposta in Abruzzo per dar vita ad un'altra comunità.
IN DUE – All'inizio, a Valle Pezzata, erano in quindici, ora sono in due. Con Marco c'è Artur, un polacco di 41 anni che dopo aver girato mezza Europa ha deciso di fermarsi qui. Abitano distanti l'uno dall'altro ma conducono vite simili. Ogni tanto fanno capolino in paese, a Rocca Santa Maria, dove hanno un buon rapporto con la comunità locale, o girano per borghi suonando alle feste e alle sagre. Poi tornano nel loro Eden, rinunciando alla corrente elettrica per seguire i ritmi del sole. D'inverno dormono molto, d'estate meno.
«Il mio corpo – spiega Marco – si sveglia quando non ha più la necessità di riposare. È la montagna che detta i tempi». E l'alimentazione? «Si basa sul selvatico, cioè su quello che ci offre spontaneamente la terra. Coltiviamo l'orto, seguendo i consigli degli anziani contadini, e l'acqua la prendiamo dal torrente. Pensa, noi qui non produciamo quasi rifiuti... altro che Napoli!». E mentre il mondo vive con il fiato sospeso per l'incubo default, Marco offre la sua versione della Storia: «Se ognuno eliminasse il superfluo e attraverso l'introspezione cominciasse a soddisfare i bisogni primari, capirebbe più facilmente cosa lo può appagare...».

Articolo di: Nicola Catenaro

EURO: Analisi di dettaglio del perche’ all’Italia conviene uscire

PREMESSA
Riprendo quest’articolo fatto 6 mesi fa, e lo riadatto. In Italia sulla questione non se ne parla, ed al piu’ si discute sulla questione del cambio 1 euro pari a 1000 lire nell’acquisto di beni di largo consumo, che e’ un’impostazione un po’ semplicistica.
Ma l’Euro ci conviene?  Da tempo scrivo articoli sul tema, cercando di analizzare l’impatto che la moneta unica ha avuto sul nostro paese e su altre nazioni europee. Direi che e’ arrivato il momento di mettere in fila i birilli, e fare un’articolo di analisi di tutti i PRO e CONTRO di un mantenimento dell’EURO o di un ritorno alla LIRA.

1)       SIMULAZIONE DI COSA ACCADREBBE IN CASO DI DISSOLUZIONE DELL’EURO
Allego la simulazione che scenarieconomici.it ha di recente compiuto, e che sta avendo una grandissima diffusione in termini di lettori:
Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO.
Riporto qui le conclusioni sintetizzate:
Lo studio dice chiaramente quanto e’ intuitivo da chiunque mastichi di macro-economia: la rottura dell’Euro (non traumatica) e la rivalutazione del Marco penalizzerebbero pesantemente la Germania, ed avvantaggerebbero le economie periferiche, quella Italiana in primis. Le conclusioni sono le stesse di altri studi seri. L’effetto e’ lo stesso gia’ riscontrato nel passato in situazioni similari, e le ragioni sono esattamente quelle opposte a quelle che hanno consentito alla Germania di avvantaggiarsi in questi anni rispetto ai paesi periferici.
Mi rendo conto dei limiti di questo studio, e di svariate altre variabili (anche non economiche, interne o esterne) che potrebbero e dovrebbero rientrare in gioco, ma reputo che a meno di uno scenario distruttivo di default a catena, l’uscita dell’Euro di scena sia un’affare per l’Italia ed altre nazioni periferiche (specialmente quelle che hanno un sistema industriale dignitoso) ed un pessimo affare per la Germania, destinata col Marco ad un futuro Giapponese di deflazione-PIL asfittico-Debito crescente in un quadro demografico da film dell’orrore.
Il vero limite dello studio, sta nel comportamento umano, in particolare delle classi dirigenti dei paesi periferici, tendenzialmente poco responsabili, che potrebbero non approfittare degli evidenti vantaggi del ritorno alla valuta nazionale, facendo danni con decisioni di spesa improduttiva o altre misure tese a gestire il consenso nel breve periodo, e non a consolidare tale vantaggio in qualcosa di permanente. Ovviamente, tale situazione non risolverebbe tutti i problemi dei paesi periferici, ma certamente aiuterebbe ad affrontarli.
Mi auguro che questo post contribuisca ad attivare un serio dibattito sulla questione Euro ed altre analisi sulla questione e simulazioni sull’ipotetica uscita (o non uscita) dall’euro, perche’ comunque una nazione come l’Italia non si puo’ permettere il lusso in futuro di scelta ideologiche. Vi consiglio in conclusione la lettura dei seguenti articoli:
 Esclusiva – L’Intervista in forma integrale all’economista Alberto Bagnai – Euro e Crisi
 Analisi della Svalutazione del 1992-1995

2)      PRODUZIONE INDUSTRIALE:  vince il RITORNO ALLA LIRA in modo netto
C’e’ poco da dire. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti della produzione industriale in 15 paesi Europei negli ultimi 20 anni. Ne’ e’ risultato che l’Euro ha causato un colossale trasferimento di produzione industriale da tutti i paesi periferici verso la Germania, come conseguenza dell’invariabilita’ dei cambi, che consente al sistema meno inflattivo (quello tedesco) e piu’ efficiente, di sottrarre ampie quote di produzione. Il contesto complessivo (l’Europa nel suo insieme) non ha da lustri una dinamica crescente nella produzione, a causa della concorrenza asiatica, ed al suo interno v’e’ un vincitore e tanti sconfitti.
Per capirsi, dal 2005 ad oggi, l’Italia ha fatto -18% e la Germania +10%: e’ come se in 7 anni, tutte le fabbriche presenti nel Centro Italia avessero chiuso e si fossero trasferite in Germania in blocco: effetti analoghi a quelli di una Guerra Mondiale.
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 10 anni (ed ancora in pieno corso nel 2012), con una Germania che sottrarra’ quote a tutti gli altri. Il trend proseguira’ inevitabilmente, fintanto che la Germania manterra’ un’inflazione minore o uguale ai partners, e potra’ mutare solo quando tale tendenza mutera’ ed in modo duraturo (considero l’ipotesi fantascienza!). Ovviamente gli aumenti di tassazione indiretta in Italia (IVA, accise) e Spagna (IVA), causa prima di sovra-inflazione, promettono che il differenziale inflattivo tra Germania e Sud Europa permarra’ anche nei prossimi 2 anni.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che accadra’ qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95. L’Italia (e gli altri paesi che svalutarono) all’epoca ebbe un’impennata nella Produzione Industriale e la Germania ebbe una bella batosta. E’ cio’ che accade in corrispondenza di ogni riaggiustamento monetario. E’ vero che l’Italia ha minore peso industriale rispetto all’epoca, ma e’ anche vero che l’incidenza dell’Import-Export rispetto alla produzione e’ aumentata molto rispetto a 20 anni fa, per cui e’ prevedibile vi saranno gli stessi effetti.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:

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3)      BILANCIA COMMERCIALE E BILANCIA DEI PAGAMENTI:  stra-vince il RITORNO ALLA LIRA in modo netto
Anche in questo caso non c’e’ storia. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti delle bilance commerciali e dei pagamenti di tutti i grandi paesi europei negli ultimi 15 anni.
L’Euro ha consentito alla Germania di ampliare a dismisura i propri attivi commerciali in una misura pari esattamente alla somma della crescita dei passivi in Spagna, Italia, Francia ed altri periferici.
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 10 anni. E’ ovvio che molto dipendera’ dalla quotazione dell’EURO stesso sul DOLLARO e dalle politiche restrittive imposte all’interno dei singoli paesi. Per dire, nel 2012, l’Italia sta quasi azzerando il passivo commerciale, grazie al calo dell’EURO (fattore su cui l’economia Italiana e’ assai piu’ sensibile di molte altre, ed in particolare di quella tedesca) ed alle politiche restrittive suicide di Monti (che hanno fatto crollare l’import). La tendenza di fondo pluriennale, pero’, restera’ inevitabilmente connessa con la competitivita’ dell’industria, di cui abbiamo ampiamente scritto sopra.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che accadra’ qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95 con un ritorno ad un forte attivo commerciale per l’Italia ed una decisa riduzione dei passivi per gli altri periferici che svaluteranno; il tutto ai danni della Germania.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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4)      OCCUPAZIONE e PIL:  vince il RITORNO ALLA LIRA  (a meno di uno scenario catastrofico di Default a catena dell’intera Europa)
Anche in questo caso e’ prevedibile che un ritorno alla LIRA rafforzi il PIL e l’occupazione. Negli articoli in premessa sono stati analizzati ampiamente (con dati, numeri, grafici e statistiche di trend) gli andamenti dell’occupazione, della disoccupazione e del PIL dei grandi paesi europei negli ultimi 15 anni.
L’Euro ha consentito alla Germania di riprendere la sua corsa del PIL e dell’occupazione, e cio’ e’ stato fatto ai danni di diversi paesi periferici, in primis dell’Italia, che e’ il secondo paese manifatturiero europeo. La Germania non ebbe immediatamente benefici dall’introduzione dell’Euro e dei cambi fissi. Rammentate che fino al 2000-2005 si diceva che la Germania era il grande malato d’Europa? Era vero, visto che aveva un’andamento del PIL asfittico (come l’Italia, che pero’ era reduce da una corsa per ridurre il deficit dal 10% ed oltre al 3%), peggiore di ogni nazione europea. La Germania ha avuto pazienza, ha anticipato alcune riforme, volte essenzialmente a contenere il costo del lavoro interno (anche favorendo i lavori a bassissimo salario) e l’inflazione; ovviamente ogni anno ha portato a casa un piccolo vantaggio inflattivo sui concorrenti, che col passare degli anni e’ diventato un grosso vantaggio e proprio dal 2005, ha iniziato a vedere andamenti di PIL ed occupazione estremamente favorevoli (ai danni degli altri, come testimoniato dai grafici allegati negli articoli in premessa).
La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO e’ prevedibilmente la stessa degli ultimi 7 anni (ancora in pieno corso nel 2012). Tra l’altro, se la Germania manterra’ l’atteggiamento che ha tenuto nei confronti della crisi Europea negli ultimi disastrosi 3 anni e mezzo (e non vedo perche’ debba cambiare linea), e’ ovvio che chiedera’ l’adozione a tutti i periferici di misure sempre piu’ restrittive (leggi Manovra Monti) che inevitabilmente affosseranno sempre piu’ il PIL ed aumenteranno la poverta’ e la disoccupazione. Nel contempo la Germania sara’ impattata dal minore export verso i paesi “canaglia”, e compensera’ in parte la cosa, grazie a tassi di interesse bassissimi ed afflussi copiosi di capitale.
In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, e’ ovvio che la Germania rivalutera’ fortemente, ed i periferici svaluteranno, con impatti seri su produzione ed export tedeschi (e quindi su PIL ed occupazione), mentre ovviamente chi svalutera’ avra’ le conseguenze opposte. E’ ovvio che molto dipendera’ da come avverra’ la disgregazione dell’EURO: se venisse accompagnata da una serie di default di alcune nazioni, l’impatto sarebbe devastante non solo per la Germania ma pure per i paesi sottoposti a default, in tale scenario, nel medio periodo le nazioni sottoposte a default e simultanea svalutazione avrebbero una netta ripresa (come accaduto sempre nel passato in situazioni analoghe), mentre il quadro per la Germania resterebbe fosco sia nel breve che nel medio periodo (a lungo termine le cose potrebbero cambiare).
Ho visto 3 studi recenti sugli impatti della disgregazione dell’EURO: in uno si diceva che TUTTA l’Europa avrebbe visto il PIL crollare (ed associo questo andamento al caso di default generalizzati di vari paesi), ed in altri 2 studi si prevedeva un forte calo del PIL in Germania ed una ripresa nei paesi periferici (ed associo tale previsione, ad uno scenario piu’ morbido, di abbandono di alcuni paesi dell’area euro, con risoluzione successiva della crisi con svalutazioni ed utilizzo da parte delle banche centrali degli strumenti di flessibilita’ tradizionali, quali QE, tassi, etc).
Ovviamente gli Studi valgono quello che valgono. All’epoca dell’introduzione dell’EURO a fine anni 90, c’erano fior fiore di studi, unanimi nell’affermare che l’EURO avrebbe portato benefici all’economia ed al PIL dell’Eurozona consistenti. Nella realta’ e’ accaduto l’esatto opposto, e l’Eurozona ha vissuto il peggior andamento del PIL da 50 anni a questa parte, sia in termini assoluti, che relativi nel confronto ad USA e resto del mondo.
 Di seguito la simulazione con e senza euro del PIL:
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5)      INFLAZIONE:  vince il RESTARE NELL’EURO; ma con politici e politiche serie, cio’ non sarebbe un problema
Dopo aver visto che per l’economia reale non c’e’ partita a favore della LIRA, passiamo ad analizzare l’inflazione.
Per capire cio’, facciamoci una domanda. Cosa accadde nel 1992-1995 quando la LIRA svaluto’ da 750 a 1100 sul Marco, vale a dire del 50%, all’inflazione? Accadde, come scritto nel relativo articolo richiamato in premessa, che il differenziale di inflazione con la Germania scese dal 3,3% del 1990-92 all’1,6% del 1993-95. Ma come e’ possibile? Semplice: crollo’ il volume dell’import (piu’ caro) e parte di questo venne sostituito da produzione nazionale (piu’ a buon mercato) e cio’ calmiero’ i prezzi. L’impatto piu’ severo fu ovviamente sui beni energetici (che pero’ hanno un’incidenza modesta sul paniere inflattivo complessivo rispetto alla componente del costo del lavoro, che e’ squisitamente un parametro interno). Rammento per la cronaca, che le follie di Monti sulle accise, hanno avuto un’impatto analogo sui prezzi energetici a quello di una classica svalutazione del 25-30% (ove sale il prezzo della materia prima e dell’IVA e restano invariate le accise).
Sono dell’idea, comunque, che una svalutazione un qualche impatto inflattivo lo provochera’, sia diretto (a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti importati) che indiretto (legato al fatto che il PIL sara’ meno asfittico, e cio’ inevitabilmente avra’ qualche ricaduta sui prezzi).
E’ ovvio, comunque, che i vantaggi della svalutazione permarranno nel tempo, solamente se ci sara’ una politica seria di contenimento dell’inflazione, con differenziali sulla Germania che restino nell’alveo della ragionevolezza. Per far cio’ e conservare ed utilizzare al meglio il vantaggio competitivo, serve una classe dirigente seria e responsabile, che adotti riforme serie di liberalizzazione, che incidano pesantemente sui settori distributivi e sui servizi semi-monopolisti, dove sarebbe possibile ottenere tramite maggior efficienza una decisa caduta dei prezzi, e quindi una tenuta della competitivita’ del paese.
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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6)      TASSI DI INTERESSE:  vince nettamente il RESTARE NELL’EURO
Passiamo ad analizzare i tassi di interesse. Rammendiamo a tutti, che il contenimento dei tassi di interesse era,  appunto, il maggior vantaggio per l’Italia nell’ingresso nell’Euro-zona.
Tale vantaggio non si limita al settore pubblico (minori interessi da pagare sul debito pubblico), ma si estende al sistema privato (tassi agevolati sui mutui ed il credito per le famiglie e finanziamenti piu’ convenienti per le imprese).
E’ indubbio che per 10 anni l’Italia ha usufruito di vantaggi enormi su questo fronte, con tassi bassissimi e spread con la Germania ridicoli (ed in parte irrealistici).
E’ altrettanto vero che nel contesto degli anni 80 ed inizio anni 90 i tassi italiani erano stratosferici, anche perche’ il panel complessivo dei tassi mondiali (e dell’inflazione) erano decisamente diversi (tassi nulli erano una chimera anche nelle nazioni di riferimento).
Nel 1992-95, gli spread tra Italia e Germania si mantennero sui 500 punti (con picchi sopra i 700). L’era EURO ha decretato spread di 50-100 punti, ma la recente crisi ha riportato gli spread all’epoca della crisi del 1992-95, sui 400-500 punti.
Allora l’unico vero grosso vantaggio dell’EURO, quello di tassi a buon mercato, e’ svanito?  Onestamente direi di no, almeno attualmente, visto che i tassi sul breve termine restano comunque convenienti e che l’Italia con la neo-LIRA Tassi di sconto all’1% li vedrebbe solo col binocolo.
E’ evidente che passare dall’EURO alla LIRA provochera’ un netto rialzo del TASSO di sconto, nonche’ dei rendimenti dei titoli, soprattutto a breve termine.
E’ altrettanto evidente che se questa crisi non trovera’ sbocco (e non vedo come possa risolversi definitivamente, perlomeno fino a settembre 2013, data delle elezioni federali tedesche), gli spread ed i tassi potrebbero volare nell’iperspazio (ovviamente col solito andamento a dente di sega).
 Di seguito la simulazione con e senza euro:

7)      DEBITO PUBBLICO e conti pubblici:  secondo me vincerebbe la LIRA, ma unicamente nel caso di avere politici decenti (nel caso opposto saremo fottuti comunque sia con EURO che con LIRE)
Qui, farei un ragionamento un po’ semplicistico, ma efficace.
I Fautori dell’EURO sostengono che tornare alla LIRA fara’ riesplodere i Tassi, e che l’introduzione dell’EURO ha consentito di ridurre l’ammontare degli interessi pagato di 60-75 miliardi, pari a 4-5% del PIL (in termini attualizzati). Hanno ragione, ovviamente, ma penso che il ragionamento sia monco. Mi spiego.
L’ingresso nell’EURO (ed ancor prima in un sistema a cambi fissi a 990 sul marco) ha avuto anche altre 2 conseguenze. In primo luogo ha frenato nettamente la dinamica del PIL reale (la cosa l’abbiamo vista negli articoli in premessa), sia per il contenimento inflattivo, sia per le ricadute sull’economia reale (sappiamo che da 15 anni cresciamo dell’1% meno della media UE, differenziale che nel 2012 si avvicinera’ al 2%).  Ebbene, cio’ implica una contrazione del denominatore con cui si misura il debito pubblico (e quindi lo fa aumentare). In secondo luogo, il calo del PIL ha impatti sulle spese (che crescono, specie quelle di tutela) nonche’ sulle entrate (la Manovra Monti ne e’ un’esempio lampante, con entrate nettamente inferiori al preventivato a causa del crollo del PIL, causato dalle stesse misure). Che significa cio?
Che dire, facciamo 2 calcoletti senza pretese. Dal 1995 ad oggi, l’Italia e’ passata da avere un PIL industriale che pesava il 65% di quello tedesco, al 50% attuale (ne abbiamo gia’ discusso). Ipotizzando che l’Italia fosse rimasta al 65%, e che la Germania avesse corso meno (non avrebbe avuto i vantaggi che ha avuto), l’Italia oggi avrebbe avuto un PIL industriale di 60-70 miliardi di Euro in piu’, raddoppiabili con gli impatti su export e servizi. 120-140 miliardi di PIL in piu’ equivalgono a 60-70 miliardi di tasse in piu’, che guarda un po’ sono esattamente il costo dei maggiori interessi. Ovviamente il calcolo ha limiti evidenti, ma da’ un’idea sul fatto che l’EURO ha avuto anche impatti negativi indiretti su Deficit e Debito (legati a minore PIL e minore inflazione), accanto a quelli positivi diretti (minori tassi di interesse).
Conclusioni?
Restare nell’EURO e’ comunque un suicidio. Nel 2012 voleremo al 126% di Debito. Successivamente non credo le cose migliorino. Restare nell’EURO, poi, significa inflazione bassa e quel che e’ peggio PIL nominale con andamento disastroso. E’ evidente che anche nel 2013 il Debito salira’, visto che il denominatore avra’ un’ andamento disastroso, e cio’ avverra’ anche nel caso di riduzione del deficit all’1,5-2,0%. Inoltre, Bruxelles c’ha gia’ fatto sborsare l’equivalente del 3% del PIL di nuovo debito per salvare la Grecia, Portogallo, banche Spagnole ed Irlanda e seguira’ un altro 1% (come minimo; temo assai di piu’). In questo contesto nel 2013, in assenza di privatizzazioni e dismissioni serie, il debito volera’ e se gli spread cresceranno, si avvitera’ sempre piu’ verso l’alto, con conseguenze gia’ viste in Grecia. Se anche a fine 2013, andassero al governo in Germania formazioni a favore degli Eurobond, l’Italia (sempre che non sia fallita prima) si trovera’ comunque con un debito al 130% e con dinamica crescente, per cui realisticamente parlando, la permanenza nell’EURO non promette bene sul fronte del Debito Pubblico.
Passiamo al ritorno alla LIRA ed ipotizziamo avvenga domani. Sappiamo che ci sarebbe un’impatto immediato sul PIL (legato ad una crescita netta dell’export e della produzione, nonche’ a qualche ricaduta inflattiva), eviteremo di dare altre prebende a Grecia e soci (costose), mentre non ci sarebbe un’impatto immediato significativo sugli interessi (se s’alzasse anche del 2-3% la curva dei tassi, l’impatto il primo anno sarebbe solo dello 0,3-0,5%). In sintesi, un ritorno alla LIRA avrebbe certamente nel  primo e secondo anno vantaggi notevoli sull’ammontare del Debito (minori sul fronte del deficit, dove la ripresa economica ed inflattiva, comunque, compenserebbe nettamente la maggior spesa per interessi). E’ ovvio che nel medio e lungo periodo, le spese per interessi avrebbero un’incidenza maggiore. Ecco perche’ reputo essenziale, la gestione di un ritorno alla LIRA con una classe politica decente (non dico eccellente), che sappia contenere e ridurre la spesa pubblica, fare le riforme e le dismissioni, contenere l’inflazione su valori decenti e ridurre tasse e burocrazia sui produttori. In questo caso non c’e’ partita, ed il ritorno alla LIRA sarebbe nettamente vantaggioso rispetto ad una permanenza nell’EURO, come da ragionamento sovrastante (gente seria al governo, con l’EURO e questa crisi in svolgimento, a mio vedere potrebbe fare comunque poco, e le dinamiche di cui sopra potrebbero solo essere attenuate; infatti l’economia reale, con l’EURO e la crisi, non si puo’ far ripartire, a meno di riforme serie ed anni di lavoro….. ma in alcuni anni, saremo gia’ morti e sepolti).
 Di seguito la simulazione con e senza euro:
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8)      FINANZA – STABILITA’ E STRUMENTI DI FLESSIBILITA’ FINANZIARIA:  secondo me vince la LIRA
Eccoci arrivati al secondo vero vantaggio dell’EURO: entrare in un sistema piu’ forte e stabile, dove le nostre debolezze sono compensate dalla forza altrui, e non siamo sottoposti a crisi periodiche.
Questo vantaggio e’ stato indubbio nei fatti nel periodo 1996-2008. Dal 2008 non e’ piu’ vero.
Abbiamo rinunciato a TUTTI gli strumenti di flessibilita’ cui dispone una nazione sovrana: Banca Centrale, possibilita’ autonoma di stampare, fare QE e muovere i tassi. Sono i tradizionali strumenti cui dispone una nazione per gestire l’ordinario e lo straordinario. Tali strumenti vengono prontamente mossi da una nazione nel suo interesse ed al momento opportuno. Ebbene, nel passato, arrivava una sana crisi, si muovevano i tassi, c’era panico, partiva la speculazione, la Banca d’Italia stampava e difendeva la Lira, e poi alla fine svalutava. Tutti gli indicatori oscillavano, e dopo un po’ tutto tornava ad un equilibrio. Sembrava talvolta un film horror, ma aveva una sua logica. Nel caso peggiore avremo fatto default (e solo Dio sa, se cio’ non sarebbe stato meglio o peggio).
Quanto sopra, sacrificato senza uno straccio di referendum all’EURO, moneta STATUS SYMBOL, che ci avrebbe garantito la protezione alle insidie della finanza anglosassone cattiva ed ingiusta.
Ora, qualcuno mi spiega nel 2008-2012 quali protezioni reali abbiamo avuto? Niente QE, niente stampa, polemiche infinite, classi politiche nazionali che si sbranano, la Germania che si rifiuta di garantire per gli altri e chiede misure che manderebbero in recessione pure la tigre Cinese. In sintesi, non solo non siamo protetti, ma siamo pure con le mani legate, completamente privi di strumenti di flessibilita’ per azioni sul breve periodo, destinati alla deindustrializzazione, ad una poverta’ crescente, ad essere cucinati a fuoco lento, e ciliegina sulla torta, pure derisi.
Ebbene, personalmente (e qui lo ripeto: personalmente!), credo che l’EURO e’ una costruzione alle cui spalle abbia una BABELE ed appare evidente anche a persona che di finanza capisce poco (tipo me) che questa crisi si risolvera’ solo in ultima analisi mettendo assieme destini, potere, debiti e quant’altro (ho dubbi che la Germania accettera’ mai, e comunque anche se fosse ci sono ostacoli politici e burocratici non da ridere) o con una disgregazione. Ebbene, ritengo che tornare ad avere tutti gli strumenti di flessibilita’ finanziaria (Banca centrale, Tassi, stampa, QE, etc), dia maggiori garanzia che restare nel Limbo in attesa di qualcosa (la garanzia finanziaria complessiva da parte tedesca ed OK di 17 parlamenti ad una serie di step inevitabili in caso di creazione degli Stati Uniti d’Europa) che difficilmente arrivera’.

9)      DEMOCRAZIA e RESPONSABILITA’: stravince la LIRA
Nell’attuale Unione Europea e Monetaria, non vedo traccia di Democrazia, ne’ di Responsabilita’. Attualmente vedo solo una Babele dove fondamentalmente non si capisce niente e non si comprende realmente come uscirne. I processi sono spesso decisi in barba all’opinione pubblica, da gente mai eletta. A mio vedere il progetto EURO avrebbe senso se l’EUROPA fosse concepita come Stati Uniti d’Europa (non mi prolungo, credo sia chiaro cosa intendo), mentre l’attuale minestrone e’ un non senso in termini, destinato ad un’ovvia implosione. Inoltre, l’attuale crisi si svolge in modo tale che inevitabilmente cresceranno i nazionalismi ed il sentimento di odio tra le varie nazioni.
Tornare alla LIRA significa Responsabilita’ di affrontare i propri problemi con autonomia, con un minimo di parvenza democratica. Meglio ognuno per i fatti suoi, rispettandosi coi vicini.

10)   CONCLUSIONI: direi che e’ meglio tornare alla LIRA, e conviene farlo alla svelta; ovviamente in un contesto internazionale fortemente competitivo e spesso ostile, tale azione ha senso (specie sul medio e lungo periodo) solo se guidata da una classe dirigente decente, che faccia le riforme, riduca le spese e le tasse e riporti il paese ad un minimo di buon senso
In uno degli articoli in calce, mi ero sbilanciata, affermando che l’Italia in caso di svalutazione avrebbe svalutato nell’ordine del 18-25% sulla Germania (ovviamente per cifre assai inferiori su Francia, USA ed UK); l’affermazione vale a meno delle forti oscillazioni iniziali, ed e’ legata al fatto che le svalutazioni normalmente si risolvono in ammontari analoghi al differenziale inflattivo del periodo dalla precedente svalutazione, a meno di differenze imposte iniziali.
In questa crisi, comprendo in parte i Tedeschi (anch’io non vorrei fare la fine della Lombardia in Italia), e li ammiro come popolo: a differenza di altri (che piagnucolano mancie) io sono un po’ incavolata con la Merkel, perche’ non ha un comportamento da Leader; un Leader a mio vedere deve dare l’esempio ed essere onesto, e non tirare avanti per 3 anni in tentennamenti: credo la sappiano pure loro che se ne esce solo o disgregandosi o unendosi del tutto…. le soluzioni intermedie incancreniscono tutto… ebbene, a me spiace di loro questo andreottismo nel non voler decidere… e di fatto lo sanno anche i sassi, che alla fine decideranno loro… troverei che fossero onesti e dicessero: cari amici, cosi’ non si puo’ andare avanti, andiamo ciascuno per la sua strada, ed ognuno se la cavi sa solo….. invece non lo fanno, perche’ su una cosa sono tutti concordi nelle analisi in caso di crollo dell’euro: la Germania ne verra’ fortemente penalizzata.
Detto quanto sopra, all’ITALIA SENZA DUBBIO CONVIENE UN RITORNO ALLA LIRA. La cosa conviene da quasi tutti i punti di vista e la simulazione fatta lo conferma. Ci sono pero’ 2 insidie:
1)      Un ritorno alla LIRA fatto dopo il suono della campanella, in presenza di una serie di default a catena, non darebbe vantaggi all’economia reale, perche’ il contesto complessivo europeo sarebbe di tracollo generalizzato. Tale situazione priverebbe l’Italia di parte dei vantaggi legati alla svalutazione (in contesti di tracollo, l’export verso il resto d’Europa, che assorbe il 60% delle nostre merci, avrebbe problemi) ed un eventuale default troverebbe reazioni feroci in una serie di nazioni declinanti e desiderose di sopravvivere. Il ritorno alla LIRA va fatto quanto prima, mettendo la Germania di fronte alla scelta definitiva, facendo tale azione in compagnia di altre nazioni.
2)      Un ritorno alla LIRA andrebbe gestito da gente con la testa sulle spalle. Inizialmente la svalutazione produrrebbe forti vantaggi su molti fronti economici, ma ci esporrebbe ad attacchi e rappresaglie da parte di nazioni con la spalle piu’ larghe delle nostre. Ovvio che ci vuole una classe dirigente minimamente seria e decisa, e non pagliacci che parlano di “spread a 1200”, o di “culona inchiavabile”, o di “patrimoniali”. Il dopo e’ ancora piu’ tosto: vanno mantenuti i vantaggi competitivi e non scialacquati, facendo riforme serie che consentano all’inflazione di essere tenuta sotto controllo, e facendo politiche di bilancio tese a ridurre spese e sprechi dando vantaggi fiscali ed operativi alle categorie produttive ed alle famiglie. Ovviamente gli attuali barbagianni della classe dirigente italiana sono inadeguati, per cui capisco bene le ritrosie di Funny King ed altri su questo sito, all’ipotesi di ritorno alla LIRA. Personalmente, ritengo pero’, che barbagianni o non barbagianni, se non torniamo rapidamente alla LIRA, presto saremo come paese in coma irreversibile, e non potremo riprenderci come nazione, neanche in decenni.
L’opzione EURO non e’ un’opzione, ma e’ un suicidio. Gli svantaggi sono infiniti. I vantaggi promessi all’origine (tassi, sicurezza) stanno svanendo in questa crisi. Ma quello che e’ peggio, e’ che appare evidente che l’EURO ha alle spalle una costruzione imperfetta, destinata ad un verosimile collasso.
Per cui vale la pena tenere l’EURO solo perche’ e’ uno status symbol chic? Direi proprio di No.

Esclusiva Analisi: simulazione di cosa accadrebbe con e senza EURO.

domenica 17 novembre 2013

Canapa: La pianta miracolosa!

La fibra di canapa è di qualità nettamente superiore a quella di legno e servono molte meno sostanze chimiche caustiche per produrre carta dalla canapa che dagli alberi. La carta di canapa non ingiallisce ed ha una durata molto lunga. In una stagione la pianta diventa rapidamente adulta, mentre gli alberi hanno bisogno di una vita intera…
 
TUTTI I PRODOTTI DI PLASTICA DOVREBBERO ESSERE DERIVATI DALL’OLIO DI SEMI DI CANAPA

La plastica di canapa è biodegradabile! Col tempo si distruggerebbe e non danneggerebbe l’ambiente. Le materie sintetiche a base di petrolio, quelle che conosciamo noi, contribuiscono a rovinare la natura perché non si distruggono, e provocheranno gravi danni in futuro. I processi di produzione dei numerosi tipi di plastiche naturali di canapa non rovineranno i fiumi come hanno fatto la Dupont e altre società petrolchimiche. L’ecologia non si integra coi piani dell’industria petrolifera e con la macchina politica. I prodotti di canapa sono sicuri e naturali.

 
LE MEDICINE DOVREBBERO ESSERE PRODOTTE CON LA CANAPA
Dovremmo tornare ai tempi di quando l’AMA appoggiava le cure a base di canapa. La ‘MARIJUANA medicinale’ è distribuita legalmente solo ad un ristrettissimo gruppo di persone, mentre gli altri sono serrati nella morsa di un sistema che fa affidamento sulle sostanze chimiche. La canapa porta solo beneficio al corpo umano. 


LA FAME NEL MONDO POTREBBE FINIRE
Dalla canapa si possono ricavare molte varietà di cibi. I semi contengono una delle fonti maggiori di proteine in natura. INOLTRE: contiene due acidi grassi essenziali che ripuliscono il corpo dal colesterolo e che non si trovano altrove in natura! Il consumo di semi di canapa è la cosa migliore che si possa fare per il proprio corpo. Mangiate semi di canapa crudi.

 
I VESTITI DOVREBBERO ESSERE FATTI DI CANAPA
Gli abiti di canapa sono estremamente resistenti e duraturi nel tempo. I vestiti di canapa potrebbero essere passati ai propri nipotini. Oggi esistono società americane che producono vestiti di canapa, di solito con il 50% di questa fibra, ma le fabbriche di canapa dovrebbero essere dappertutto, e invece sono quasi sempre clandestine. Non si può fare pubblicità dei prodotti superiori di canapa sulla televisione fascista. Il Kentucky, che una volta era il primo stato produttore di canapa, ha PROIBITO DI INDOSSARE abiti di canapa! Rendiamoci conto: si può finire in galera per aver indossato dei jeans di buona qualità!




Il mondo è impazzito… ma questo non significa che bisogna far parte dei pazzi. Uniamoci e diffondiamo le informazioni. Raccontiamo a tutti la verità, compresi i nostri bambini. Usiamo prodotti di canapa ed eliminiamo la parola ‘MARIUANA’, diventando consapevoli della storia della sua nascita. Rendiamo politically incorrect pronunciare o stampare la parola M. Combattiamo la propaganda (creata per favorire i piani dei super ricchi) e le menzogne. In futuro dovremo usare la canapa perché abbiamo bisogno di una fonte di energia pulita per salvare il nostro pianeta. 
INDUSTRIALIZZIAMO LA CANAPA!
Le società produttrici di liquori, tabacco e petrolio finanziano con milioni di dollari al giorno la Partnership for a Drug-Free America ed altre istituzioni simili. Tutti noi abbiamo visto le loro pubblicità. Ora il loro motto è diventato: ‘È più pericolosa di quanto si creda.’ Le bugie delle potenti corporation, che iniziarono con Hearst, sono vive e vegete ancora oggi.

 
Il lavaggio del cervello continua. Ora le pubblicità dicono: Chi compra uno spinello contribuisce agli omicidi e alle guerre tra bande. L’ultima campagna contro la canapa dichiara: Chi compra uno spinello… promuove il TERRORISMO! Il nuovo nemico (il terrorismo) ha spianato la strada al lavaggio del cervello in qualsiasi maniera che LORO reputino appropriata.
 
Esiste solo un nemico e sono quelle care persone alle quali pagate le tasse: i guerrafondai e i distruttori della natura. Attraverso i vostri finanziamenti stanno uccidendo il mondo proprio davanti ai vostri occhi.  
MEZZO MILIONE DI MORTI ALL’ANNO A CAUSA DEL TABACCO. MEZZO MILIONE DI MORTI ALL’ANNO A CAUSA DELL’ALCOL.


L’ingestione del THC, il principio attivo della canapa ha un effetto positivo e migliora l’asma e il glaucoma. Uno spinello tende ad alleviare la nausea causata dalla chemioterapia. Con la canapa viene fame. È un modo di essere sano.

 
È una pianta ALIENA.
 
Ci sono dimostrazioni fisiche che la canapa non è come le altre piante di questo pianeta. Si potrebbe concludere che sia stata portata qui a beneficio dell’umanità. La canapa infatti è l’UNICA pianta in cui i maschi e le femmine hanno un aspetto molto diverso, fisicamente! In ambito vegetale nessuno parla di maschi e di femmine, perché le piante non mostrano il loro sesso, ad eccezione della canapa. Per determinare il sesso di una qualsiasi pianta Terrestre normale bisogna guardare all’interno, nel suo DNA. Un filo d’erba maschile ha lo stesso aspetto fisico di un filo d’erba femminile. La pianta di canapa ha un’intensa sessualità.
 
LA CANAPA È ILLEGALE PERCHÈ I MILIARDARI VOGLIONO RIMANERE MILIARDARI!
fonte: http://laviadiuscita.net/canapa-la-pianta-miracolosa/#more-5590

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Cannabis come cura alla Sclerosi Multipla: la ricerca della Tel Aviv University

cannabis cura sclerosi multipla - laviadiuscita.net

I ricercatori della Tel Aviv University (TAU) hanno scoperto che alcuni composti, presenti nella pianta di cannabis, potrebbero combattere e impedire l’infiammazione cerebrale e nel midollo spinale, collegata alla Sclerosi Multipla…

Avevamo già parlato di altri studi condotti a Los Angeles, o a Madrid, inerenti l’azione chemioterapica di alcuni elementi presenti nella cannabis e della loro capacità di uccidere le cellule malate, proteggendo quelle sane.

A Tel Aviv, invece, il team di ricerca ha cercato di capire se le note proprietà antinfiammatorie di CBD e THC potressero essere applicate anche al trattamento dell’infiammazione associata con la SM. E i risultati dello studio sono stati rincuoranti.

La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria in cui il sistema immunitario attacca il sistema nervoso. Il risultato può essere una debilitazione a livello motorio, fisico e, in alcuni casi, problemi cognitivi. Ancora poco si sa, però, sia su ciò che scatena questa malattia, sia come trattarla.

Secondo Kozela, la dottoressa che assieme ad altri colleghi ha portato avanti lo studio alla Tel Aviv University, “l’infiammazione è parte della risposta immunitaria naturale dell’organismo, ma in casi come la Sclerosi Multipla, sfugge di mano. Il nostro studio esamina come i composti isolati dalla marijuana possono essere utilizzati per regolare l’infiammazione e proteggere il sistema nervoso e le sue funzioni.”

Già in un precedente studio, la dott.ssa Kozela e i suoi colleghi avevano dimostrato che il cannabidiolo (CBD), un metabolita presente nella cannabis, fosse in grado di trattare i sintomi di malattie simili alla sclerosi multipla, impedendo alle cellule immunitarie di trasformarsi e attaccare le cellule nervose nel midollo spinale.

È proprio da lì che i ricercatori hanno fatto partire le indagini inerenti al nuovo studio, cercando di osservare se le note proprietà antinfiammatorie di CBD e THC (tetraidrocannabinolo), un altro composto abbondantemente presente nella cannabis, potevano essere applicate anche alle infiammazioni associate alla malattia della Sclerosi Multipla.

I risultati dello studio, pubblicati sul Journal of Pharmacology Neuroimmune, mostrano che le cellule immunitarie implicate nel danneggiamento specifico del cervello e del midollo spinale, sia che venissero trattate con il cannabidiolo che con il tetraidrocannabinolo, producevano meno molecole infiammatorie, in particolare una chiamata interleuchina 17 (o IL-17), in grado di raggiungere e danneggiare il cervello e il midollo spinale.

Secondo i ricercatori, sono sicuramente necessarie ulteriori ricerche per dimostrare l’efficacia dei cannabinoidi nel trattamento della Sclerosi Multipla, ma ci sarebbero comunque motivi di speranza.

“Quando viene utilizzata con saggezza, la cannabis ha un potenziale enorme. Stiamo solo cominciando a capire come funziona” ha affermato Kozela.

Ancora oggi, infatti, è difficile far passare per buoni, nell’opinione pubblica, degli studi scientifici che comunque attestino l’effetto curativo dei componenti presenti all’interno della cannabis.

Qualcosa, però, comincia a muoversi.

Il 23 febbraio, ad esempio, è entrato in vigore un decreto (G.U., n. 33 dell’8.2.2013), che inserisce in Tabella II, sez. B, dell’attuale normativa sugli usi terapeutici delle sostanze psicoattive sottoposte a controllo, i “medicinali di origine vegetale a base di cannabis”. Anche se l’Italia continua ad essere molto più indietro di altri Paesi riguardo questa tematica.