domenica 8 aprile 2018

IL MAGO JOKE di Antonio Recanatini

Da Antonio Recanatini un altro Racconto di strada sul nuovo numero della rivista Lavoro e Salute. ” Sui marciapiede Joke rapiva la scena. I passanti si fermavano ad ammirare il suo spettacolo. Giocava con dieci palline o cento palline, le lanciava verso l’alto e le riprendeva durante il volo, mostrava le carte ai passanti e li invitava a sceglierne una. Le indovinava tutte. “


Il Mago Joke


Quel giorno avevo un appuntamento importante alle nove di mattina. Dovevo raggiungere un paese a pochi chilometri da casa, in un bar di Spoltore (PE). Solitamente trattavo altri casi, molto più complessi, di famiglie rovinate, uomini al limite, donne a un passo dal suicidio.
Quel martedì dovevo incontrare Joke, un artista di strada, anche se a lui non scendeva affatto tale riconoscimento. Egli  si sentiva mago a tutti gli effetti. L’avevo conosciuto una sera d’estate, quando il lungomare è minato di gente e la strada è soffocata dalle auto. Ferme, come in un parco macchine di un grande autosalone, come vetture  in attesa del compratore.
Sui marciapiede Joke rapiva la scena. I passanti si fermavano ad ammirare il suo spettacolo. Giocava con dieci palline o cento palline, le lanciava verso l’alto e le riprendeva durante il volo, mostrava le carte ai passanti e li invitava a sceglierne una. Le indovinava tutte. Si calava in un baule e usciva dalle tendine, lasciando i passanti di stucco;  un mago gioviale, gentile, sempre ben disposto a regalare sorrisi, anche a chi lo evitava come fosse un appestato. Io capitai per caso, insieme al mio amico Piero, compagno di banco di Joke alle elementari. Aspettammo la fine dello spettacolo per poter scambiare due parole veloci con lui, troppo impegnato a raccogliere monete e l’applausi. Da quel giorno non diedi pace a Piero, volevo conoscere Joke. Colpa sua, del resto  se fosse stato compagno di banco di una donna mozzafiato,  sarei stato meno asfissiante
Scesi dall’auto supportato dai miei tormenti, dalla mia curiosità e dalla voglia di conoscere una persona molto  diversa da me. Lui si presentò appena alzai il capo “salve, io sono Joke”. Dall’aspetto sembrava piuttosto provato, gli anni e anni vissuti sui marciapiedi delle grandi città l’avevano segnato e certi segni sono permanenti, come la palpebra troppo corta per coprire l’occhio. L’occhio destro rimaneva aperto.
Gli strinsi la mano e mi presentai –piacere, io sono Antonio! Menomale, pensavo di arrivare tardi, a quest’ora c’è sempre traffico-. Per quel che vale, Joke mi piacque da subito, sin dalle prime battute “non ti preoccupare, sono io che ho bisogno, non tu”.
Sedemmo al bar, io presi un caffè, lui un tè. Joke  aprì la strada del dibattito “toglimi prima tu una curiosità. Tu sei amico di Piero, ne avete viste di tutti i colori e questo lo so per certo. Perché t’incuriosisce un tipo come me?”
Alzai le mani per arrendermi ed elencai i vizi “Non lo so! Forse perché mi è rimasta l’immagine del tuo occhio nella mente. Ad esempio, posso chiederti cosa gli è successo?”
Accompagnò la risposta con una risata fragorosa “allora non è un esame?” Tornò serio in un attimo e tracciò la via dei ricordi “fu molto tempo fa, un fine anno a Milano. Ely ancora “faceva spettacolo” con me. Sparavano ovunque botti e altro. Io lentamente stavo mettendo a posto, mentre lei andò a raccogliere dei fiori in un’aiuola e a mezzanotte mancava un’ora. La sfortuna ha voluto che le schegge di un botto finissero qua, sull’occhio. In ospedale provarono a saldare, ad allungare la pelle, ma l’occhio è rimasto così. Pensa tanti anni a camminare sui vetri, sui chiodi e mai un graffio. Evidentemente  la vita teneva in serbo un altro regalo per me.
Eh già! Quando stai dentro casa, neanche ti rendi conto quanto sia tragica la vita di chi vive fuori, anzi è fuori portata. Quell’anno tornammo presto dalle nostre parti, Ely smise di venirmi dietro, preferì rimanere nella cantina in cui abitiamo ancora oggi, si sentiva in colpa perché non era sul posto. Tu forse non la sai, ma non si diventa ricchi a fare il mago, me lo diceva anche mia madre”.
La sua storia non contraeva lo stomaco come immaginavo, finanche il suo modo di parlare sembrava troppo distante dal personaggio idealizzato, in pratica una delusione. In qualche modo dovevo giustificare a me stesso certe mie uscite, certe mie pretese, l’assurdo implacabile desiderio di conoscere, sapere, vedere, sentire, che aggiungono un po’ di sale al gusto dell’ordinario;  per cui avanzai lealmente e senza pretese “scusa Joke! Volevo conoscerti perché sentire la storia degli altri, confrontarla con la mia è l’unico modo che conosco per sentirmi vivo.  A volte mi spengo in questo vagare  e certe vite riescono ad accendermela. Non sono un pettegolo, non sono un ficcanaso, seppur, da par mio, rasento certi schemi”.
Joke si complimentò per la spigliatezza e per aver chiarito sensibilmente la situazione, poi prese un foglio e scrisse: via Roma. La curiosità m’inghiottì “che significa via Roma?”
“via Roma è in ogni città. Quando scendevo dal treno chiedevo “dov’è via Roma?” Non cercavo le piazze, i luoghi di passaggio, andavo direttamente in quella via. Preparavo lo spettacolo al primo angolo in vista. Solo quando tornavo qua mi esibivo in piazza e sul lungomare. Io sono un mago, la gente mi crede uno sciroccato di cervello, lo scemo del villaggio,  invece, sono ancora un mago. Ho inventato di tutto per sopravvivere in questo schifo.  Ho perso l’occhio, non solo la palpebra, perché quello che vedi è di vetro.  Sono un mago perché mai ho pensato di lasciare Ely, perché sono stato giorni senza mangiare e non mi hanno trovato morto assiderato. Sono un mago perché vivo con il minimo. Preferivo via Roma… La preferivo perché in quel posto ho perso Ely.  Sapevo che l’avrei trovata in ogni via Roma del mondo. Adesso vive con me, nessuno ci crederebbe, tanto meno tu. Lo so, che mi sono reinventato Ely, lo so bene! E’ importante, fondamentale per me tenere dentro questo segreto,  mi fa sentire vivo come a te fa sentire vivo il conoscere, il sapere, cercarti in un altro. Quando perdi l’ultimo motivo per rimanere appiccicato sulla terra, devi inventarti un’altra ragione, che sia simile, che abbia la stessa fattezza. Per questo sono ancora un mago. Adesso mi credi?”
Non risposi a quella domanda.  Gli strinsi la mano e ammisi   “scusami Joke! Vero, è proprio così, tu sei un mago, non un semplice artista”.
Andai via con il segreto e la certezza d’aver afferrato la differenza tra illusionista e mago. Grazie Joke!
Antonio Recanatini
Poeta, scrittore. La sua poesia è atta a risollevare il sentimento della periferia, all’orgoglio di essere proletari e anticonformisti. Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
Leggi tutto di Antonio Recanatini su www.lavoroesalute.org

martedì 2 gennaio 2018

MOMENTI DELICATI

Tocca farlo, almeno durante le feste. Arriva la sera in cui vai a trovare quel tuo amico d'infanzia, che ha sposato una maniaca folle, pazza e altro ancora della pulizia.
(Il mio amico trovò di peggio. A suo tempo sposò oltre a una maniaca della pulizia, una che non dorme se non mette in riga tutto, compreso le scarpe e pure i lacci delle scarpe nella scarpiera. Non dorme se l'ultimo bicchiere non lavato, anzi lei dice “sporco”, sul lavandino).
Suoni alla porta e viene proprio il tuo amico ad aprire.
"wee pazzo, come stai?"
Lui che è sempre stato ateo da che ricordi, ti abbraccia e dà un augurio corposo "tanti auguri, buon natale!"
In situazioni simili è meglio tirare dritto e pensare poco, altrimenti tornano alla mente tutte le bestemmie dette ad alta voce, magari mentre parlava con un credente o un prete. I soldi delle offerte rubati, ma questo non si dice.
Provi a metter piede in casa, lui ti ferma deciso  "abbiamo questo pavimento parquet, si riga facilmente. O ti togli le scarpe o devi mettere le pattine!"
Vorresti dir qualcosa, poi ti trattieni, perché tutto sommato pare che il tuo amico stia bene, pare...
Entri, dopo aver messo i piedi dentro le pattine e noti che i suoi piedi, i suoi piedi  sono imprigionati dentro pantofole di peluche color azzurro, quasi fosforescente.
Un tempo avrebbe detto che certe cose le portano gli uomini senza palle... lo ricordi, lo ricordi perfettamente.
Ti porta in salotto dove ha due poltrone giganti. Fai per sederti senza chiedere il permesso, del resto quando veniva a casa tua andava direttamente ad aprire il frigo, per prendersi da bere; perché dovresti chiedere il permesso?.
Non fai a tempo, arriva anche lei, la maniaca demoniaca e un po' si vede pure, con quel trucco da vampira  "auguri, buon natale!"
Ricambi i saluti e mentre ti accingi di nuovo a sederti, lei fa "no, aspetta questo divano è delicatissimo, prendo un lenzuolo". Vorresti andar via, ma vedi il tuo amico felice, quindi aspetti. S'apre la porta e noti il figlio seduto su un’altra poltrona della stanza accanto, completamente immerso, con la testa dentro un cellulare gigante, quasi più grande della sua testa. Non parla, non saluta e non sa che è arrivato un amico del padre.
Non te la prendi, da ragazzo facevate di peggio tu e il tuo amico.
"E' cresciuto, però! Quanti anni ha?"
"ne compie 13 a febbraio"
In quel momento pensi a quando avevate tredici anni, ai giornaletti porno scambiati, alle volte in cui le “tanava”  tuo padre. A quei tempi non c'erano i cellulari e di notte sognavi di fare sesso con una di quelle sempre presenti nei fumetti passati di mano in mano, da mano in mano, fino allo sfinimento.
Finalmente siedi! "ti va un caffè?"
"certo", rispondi... """ti ho portato anche un regalo, almeno un cazzo di caffè fammelo!"""" (In certe situazioni le vocine interne sono bastarde, diciamocelo).
In attesa del caffè, chiedi al tuo amico "senti, ma tuo figlio sta sempre davanti a quel coso? Si stacca ogni tanto o è nato così?"
Lui ride, tanto per farti un favore, poi si confida "è un genio del computer, del telefonino… sa fare tutto”.
Tu lo sai, tu ricordi che in terza media, il tuo amico fu beccato mentre guardava nel buco della serratura nel bagno per solo femmine. Ricordi persino che fu il primo a comprare una rivista porno con le foto vere, ma "vere veramente", diceva lui.
Ma non puoi dirlo. Non puoi dire che noi non avevamo il cellulare e neanche la cellulite, che noi avevamo tre impegni seri: il pallone, cercare di incontrare la ragazzina del palazzo di fronte e l'arte annessa nell'intimo sottobosco, sottopancia.
Arriva il caffè, finalmente!
Lei non mette il vassoio sul tavolo, ti dice "ecco il caffè" e assetta il vassoio quasi sotto il tuo mento.
Vorresti prendere la tazzina e berla, lei ti dice "bevi qua, non vorrei cadesse il caffè a terra sarebbe la fine".
Ti giri verso il tuo amico e lui annuisce. Ancora una volta vai oltre, nel frattempo il figlio è annegato dentro il cellulare.
Ti fai piccolo e provi di nuovo "ma sta sempre davanti al cellulare tuo figlio?"
Risponde lei, la demoniaca manica o viceversa "siamo molto contenti di Davide, a scuola va bene, deve recuperare solo qualche materia, ma ha uno straordinario talento per la tecnologia”.
Solitamente alla parola tecnologia seguono sempre belle stronzate, banalità e tecnologia si stringono la mano sempre più spesso, lo disse anche Einstein.
Lei, la manica demoniaca ripete le parole del marito, nonché mio, ormai ex, amico "diventerà un ingegnere informatico".
Stai quasi per scoppiare, poi vedi il tuo amico felice e ti fermi.
Anzi la prendi in modo tranquillo "non credo, però sia buono che stia sempre davanti al cellulare".
Lui "è un ragazzo sensibile, ama la tecnologia".
Senti per la seconda volta il sostantivo tecnologia, non puoi più esimerti dal dire ciò che pensi e vaff "senti, ma p******, secondo te sono tutti ingegneri sti ragazzi? Sono tutti uguali e pensate siano diversi? Ma non è che sei cambiato tu? Te lo chiedi mai? Pensi che tuo figlio si conosca sessualmente? Si fa le pippe come noi? Gioca a pallone qualche volta? No, perché a me sembra un rincoglionito".
Lei diventa una furia, quasi nitrisce, mentre il mio amico vorrebbe riderci sopra, sorvolare.
L'ultimo dito di caffè ti cade sulla parte di divano, casualmente non coperta dal lenzuolo steso.  Lei urla “no, adesso dobbiamo chiamare il tappezziere, solo lui sa come fare andare via le macchie”.
A quel punto, mandi indietro il nastro, metti le pattine, sorridi al figlio rincoglionito, saluti lei calorosamente anche se sa di surgelato, chiacchieri con il tuo amico e bevi il caffè composto, senza opporre resistenza e tutto fila liscio.

Vedi il tuo amico felice e ti manipoli pur di non essere inopportuno. Il vaff rimane sullo stomaco, non poteva essere altrimenti.

(Antonio Recanatini)