venerdì 22 gennaio 2016

La libertà d'opinione è un abbaglio



Leggere i numeri è importante, addirittura qualcuno potrebbe farsi il conto delle vittime, dopo la seconda guerra mondiale, e magari scoprire che quel regime dell'est, tanto criticato, ebbe un incremento della popolazione. Non tutto è come vogliono farci credere, bisogna fare attenzione.
Siamo convinti che la tv sia il modo migliore per comunicare, che i giornali facciano opinione, che gli eroi decantati dal potere saranno gli stessi acclamati dalla folla. Eppure, la trasmissione più seguita non supera i sette milioni di telespettatori, le partite più viste si attestano sui quindici milioni, senza considerare i picchi ecc ecc, pressappoco il 25% della popolazione italiana. Ormai è schematica la nostra ragione, le tv anestetizzano i telespettatori.
Forse non è proprio così, almeno bisognerebbe sollevare il dubbio; cosa fa la maggioranza degli italiani quando la tv passa un successo? Perché il 10% della popolazione davanti a una trasmissione viene intesa come maggioranza?
Non molto tempo fa, un gruppo musicale gli Smashing Pumpkins, ha adunato circa 120 mila persone per un concerto. L'evento canoro non venne pubblicizzato dai mass media, neanche dopo, nonostante sia stato uno dei concerti più seguiti nella storia. Tra i dieci libri più venduti di sempre, dopo i vari volumi religiosi, il libro di Mao e alcuni misfatti letterari, spicca Don Chisciotte. Parliamo di un libro del 1600, ancor oggi molto letto. Miguel de Cervantes lo scrisse in un periodo difficile, in cui s'era allontanato dal pubblico, perchè malato.
Uscì in sordina, oggi alcuni portali parlano di 500 milioni di copie vendute.
Nella classifica è possibile trovare "Le due città" di Charles Dickens, " Il Sogno della Camera Rossa" di Cao Xueqin. Questi due libri risultano sconosciuti da buona parte della popolazione, nonostante le duecento milioni di copie vendute. Esiste un altro mondo dietro il luogo comune, un mondo fatto di respiri, parole ed entusiasmo, ma spesso invisibile.
In un paese della Campania andarono a votare circa il 30% degli aventi diritto al voto, il vincente diventò sindaco con numeri ridicoli. Gli aventi diritto erano tremila circa, votarono quasi novecento persone, il primo cittadino fu estratto con una maggioranza del 15%, 135 voti.
Quella maggioranza di cui parlano i mass media, spesso è solo la corteccia, qualche volta il seme infetto.
Il capitalismo sceglie con molta attenzione i funzionari, sanno come disporre i numeri e dare in pasto l'esatto opposto della realtà. La comunicazione ha una funzione specifica, il messaggio distorto coglie tutti impreparati, perché i numeri si possono manipolare. Guardando la storia, ognuno di noi ha l'immagine del duce a testa in giù, ma forse non ricorda che pochi giorni prima furono uccisi 171 partigiani, nell'eccidio di Bassano del Grappa. I fascisti aiutarono i nazisti e fu una strage di cui molti ignorano i numeri. Il risultato è strabiliante, tutti conoscono Piazzale Loreto, ma non l'eccidio di Bassano del Grappa, dove furono uccise quasi 800 persone, altre 800 deportate, 31 partigiani impiccati e lasciati in libera piazza, negli angoli delle strade, nelle riserve, in tutti quei posti dove la gente si ammassava, in modo che fosse chiara la minaccia
I mezzi d'informazione di stato vengono aiutati, una specie di sussistenza, pensate che non c'è quotidiano che superi le 200 mila copie vendute, tranne il Corriere della Sera, Repubblica e forse La Stampa. Parliamo di una percentuale bassa, bassissima, se non ci fossero gli aiuti di stato, l'informazione per mezzo stampa sarebbe morta. Con questo giochino perverso, si limita il pensiero e il luogo comune diventa la prigione. La libertà d'opinione è un abbaglio. Bisogna aprire nuovi orizzonti e non ammassarsi, insieme all'informazione di regime, la maggioranza reale la segue molto meno di quel che vogliono farci credere.

(Antonio Recanatini)

lunedì 11 gennaio 2016

Cesare Pavese, una vita molto difficile!

La sua fine determinata e scelta il 27 agosto 1950 all' Hotel Roma di Torino.
Nelle sue opere, nelle sue poesie descrive molto bene la solitudine, la sua solitudine, quella solitudine che coinvolge molti comuni moltali.
SI RESISTE A STAR SOLI FINCHÉ QUALCUNO SOFFRE DI NON AVERCI CON SÉ, MENTRE LA VERA SOLITUDINE È UNA CELLA INTOLLERABILE (Cesare Pavese)
Solitudine è uno stato fisico, un’esperienza esistenziale, una forma mentis, un modo di vivere.
È una situazione difficile nella quale siamo costretti a confrontarci in continuazione con noi stessi e nella quale siamo privati di una grande priorità per la nostra sopravviven e la nostra specie: la socievolezza, la socializzazione, l’empatia.
La solitudine vera, come suggerisce Pavese, è una cella vuota, piena solo di noi stessi, delle nostre angosce, delle nostre sofferenze, dei tormenti che non ci abbandonano.
Una cella che, estremamente ricolma del nostro ingombrante fardello, non ha più spazio per gli altri.
È una prigione che, talvolta non è concreta ma evanescente, psicologica, in altri frangenti è fisica, di ossa e carne, è il nostro corpo.
La società che ci stiamo lasciando alle spalle ha creato un’infinità di celle, ha selezionato una cultura individualista che induceva la gente a chiudersi in se stessa, come un piccolo riccio, ad isolarsi dal prossimo perché troppo impegnata dai propri problemi, troppo stressata, troppo intenta a raggiungere il successo, ad accumulare denaro, troppo impaurita da un prossimo dipinto da tutti come rapace, aggressivo, violento.
Una società degna della vecchia definizione che la voleva gravitare attorno al principio dell’homo homini lupus.
Così, seguendo il diktat sociale, ciascuno restava chiuso nella sua piccola cella, serrato nella sua, più o meno sicura casa, ben isolato dal mondo reale e contento di trastullarsi con relazioni virtuali, di intrattenersi in una dimensione di bit e pixel, dove il pericolo sembrava minore che nel multiverso di atomi.
La solitudine della cella citata da Pavese è, però, ancora più dura della domestica, in quanto è, ancora prima che fisica, spirituale, mentale. Uno stato di completo abbandono ed oblio da parte della gente e del mondo che, continuano, noncuranti a proseguire nel loro svolgersi al di fuori del piccolo mondo del soggetto.
Ciò che rende insopportabile l’esistenza nella cella è l’assenza di una speranza, di un riferimento, di un punto fisso, di un aggancio emozionale ed affettivo con chi c’è al di là delle mura.
Recidendo il potete cordone dell’empatia che lega tutti gli uomini, ed il delicato filo del patos, della con-divisione, della complicità che unisce gli amici, i parenti, gli amanti, i conosceti… la prigionia, nel senso stretto del termine così come nel suo significato metaforico-traslato, affossa ogni bagliore di speranza, spegne ogni barlume di fede in sé, nel prossimo e, talvolta, persino, in Dio condannando l’individuo a pene infernali, a strazi insopportabili, ad immani angosce ai quali, spesso, non riesce a sopravvivere.
Per chi, invece, ha un vincolo affettivo, patemico, relazionale con almeno una persona all’esterno, la solitudine non è poi tanto devastante.
La sua forza viene dal sapere che, comunque, c’è qualcuno ad aspettarlo, che lo ama e patisce per la sua lontananza, che pensa a lui ed attende, impaziente, di poterlo riabbracciare, una volta liberato dal proprio isolamento.
(Marilena Pallareti)