martedì 13 marzo 2012

Sull’orlo del baratro Pubblicato il: 10 marzo, 2012 Analisi / Europa | Di Mark JVD

Il panorama che ci si pone di fronte non è dei migliori, da tempo. Si dice che “si raccoglie ciò che si semina”, niente di più saggio. Gli anni Novanta sono stati caratterizzati da fenomeni di rottura storici, economici e geopolitici senza precedenti. Con il muro sono crollate certezze, ideologie, teorie, contrapposizioni, concezioni e quant’altro. Dal punto di vista politico le fratture sono state irrimediabili: vecchie élite politiche, ancorate a sistemi di ragionamento politico e di conduzione economica incompatibili con il “progresso”, con la “globalizzazione”, con la “fine della storia”, come da molti fu definita l’epoca che si affacciava all’orizzonte della fine del bipolarismo, sono state sostituite da classi politiche più dinamiche, in grado di leggere il nuovo sistema che si andava conformando, soprattutto in occidente. Il libero mercato si è eretto a pilastro indiscutibile della vita quotidiana in occidente, condizionando modi di pensare e di concepire la società. E’ divenuto un emblema statuale impossibile, secondo i più, da rimuovere, considerato intrinseco nella natura stessa della società e dell’economia, chiunque lo metta in discussione non è che un estremista o un folle che esce dai paletti del “libero pensiero”, che travalica ogni limite concessogli dalla libertà, si può discutere di tutto, ma la base sistemica non è in discussione. Il ricambio generazionale nelle élite, un classico dei sistemi “democratici”, è avvenuto in modi diversi a seconda del contesto storico-politico, ma il risultato è stato lo stesso. Le sinistre e le destre hanno configurato un sistema politico centripeto in quasi tutta Europa, trascinando con sé le rispettive ali estreme, assumendo tutte come conditio sine qua non il libero mercato e le ricette neoliberiste. In Italia il ricambio è stato di quelli traumatici, un ricambio guidato dall’alto, come si addice ad una (semi)-colonia: nel 1994 tangentopoli, ancora oggi celebrata dalla maggior parte dei professionisti e non della politica come un evento di purificazione, ha definitivamente spazzato via gli elementi vecchi e ancora condizionati da una conduzione economica fin troppo accentrata, basata su un apparato industriale forte e statale. Ad oggi rimane nel panorama politico una casta ristretta, lontana anche dal concetto di élite, termine che, come condiviso dalla maggior parte dei politologi, racchiude una concezione “positiva” di eletti, di maggiormente capaci, di avanguardia, seppure il dibattito attorno al termine sia tutt’altro che chiuso o scontato (dell’élite possono far parte anche “eletti” per disponibilità di risorse materiali, ad esempio). Una casta i cui fili, manovrati dall’oltreoceano, sono più che visibili. Tangentopoli non ha certo spazzato via una classe di eletti, di uomini capaci o di grandi statisti, ha spazzato via una classe dirigente vecchia e legata con la muffa alle proprie poltrone, ma quel che conta è che a spazzarla via non è stata una purificazione necessaria, ma un gretto calcolo padronale, un dettame provenuto dalle lucide sale della Casa Bianca, a Washington. L’Europa vive una situazione di stallo, si muove solo ciò che può far comodo, l’UE si trova stretta nella burocrazia e nell’immobilismo totale, poiché così, d’altronde, è stata concepita. Il debito è il nuovo collante, è il nuovo simbolo dell’Europa, un Europa debole, appendice di un’alleanza atlantica da cui è pressoché impossibile liberarsi attraverso iniziative personali e senza progetti (ci hanno provato Jacques Chirac a suo tempo e Silvio Berlusconi, in maniera fallimentare e nient’affatto lungimirante). Il debito non deve essere estinto, non è questa la volontà (nessun economista potrebbe pretendere che un debito enorme come quello della Grecia possa essere realmente estinto), il debito deve rimanere vivo, deve tenere l’Europa appesa ad un filo, dipendente dalle ricette del FMI e dai saccheggi del neoliberismo e dei loro sicari. Il panorama, insomma, è senz’altro buio e le vie d’uscita percorribili non sono molte, nessuno conosce le ricette, ma ciò che è certo è che se ci si vuole salvare lo si deve fare in modo unitario e con un progetto comune, singole iniziative paiono destinate a fallire, nonostante la situazione ungherese meriti di essere tenuta d’occhio. In questo contesto, fondamentale, per quanto riguarda il nostro paese, è scrollarsi di dosso vecchi schemi utili solo a separare e a mantenere lo status quo, è necessario abbandonare i vecchi concetti di destra e di sinistra, definizioni che paiono sempre più vuote di significato, visto che i rispettivi partiti e elettori si fondono in un unica struttura che solidifica e giustifica i saccheggi attuali e il neoliberismo distruttivo, proposto come un “male necessario”, come un inevitabilità, come un dolore da sopportare, perchè “siamo pigri”, siamo “maiali” (PIIGS), perché “è colpa nostra”, fandonie propugnateci dalla stretta mediatica, e solo in parte veritiere. I partiti estremi rimangono anch’essi relegati a schemi vecchi e oramai incomprensibili e inapplicabili, l’estrema sinistra va avanti a lampi, tra l’altro sempre più rari, così si finiscono per appoggiare guerre fratricide e politiche insensate e masochiste, la sinistra, in Italia erede della grande macchina politica del PCI, ha ormai assunto come totem insostituibile il neoliberismo e la partnership con gli Stati Uniti (per gli amici: “sub-dominanza”), e in questo momento prosegue la mattanza ai danni degli strati sociali meno abbienti e a danno di ciò che rimaneva della produzione statale e dello Stato sociale. Serve un ricambio generazionale, una classe dirigente che sia in grado di riprendere in mano le redini di ciò che rimane del settore statale e industriale, in questo momento in fase di smantellamento. Ma per far questo, per evitare che ciò accada in maniera teleguidata – come in passato, occorre prima di tutto togliersi di dosso il guinzaglio (un guinzaglio materialmente composto da ben 113 basi militari e da vari esecutori di cui i nomi sono fin troppo evidenti per ripeterli ancora). Occorre dunque un’alleanza che salti le “normali” dualità, le contrapposizioni, occorre raccogliere gli scontenti che provengono da sempre più numerose classi sociali. In Italia, di recente, cominciano ad aizzarsi vari focolai spontanei (seppur non esenti da infiltrazioni) che in maniera apartitica cercano di cambiare le carte in tavola, occultati e isolati dai media nazionali e dalle classi politiche, è il caso del Movimento dei Forconi, casualmente prima occultato e poi avversato dai media nostrani. Ma la stessa cosa accade in maniera incensurabile in Grecia, dove è in corso una rivolta che per ora rimane, a prima vista, spontanea, seppur apparentemente priva di prospettive strategiche. Qualche giorno fa a Bruxelles i Vigili del Fuoco hanno manifestato il proprio disappunto per i nuovi tagli, inondando le strade della città, epicentro dell’Unione Europea. Le proteste proseguono, montano, ma in modo disorganizzato e senza progetti politici a lungo termine. Appare ora più che mai necessario dunque un ricambio delle generazioni politiche, solo conseguente però (non può essere altrimenti) ad una conseguita sovranità nazionale, senza la quale ogni progetto economico o politico è destinato ad infrangersi contro il muro padronale. Il ricambio deve avvenire in maniera autonoma e spontanea; non appare al momento altra soluzione, e ovviamente nessuno ha la ricetta in tasca, ma di certo il sistema attuale sta andando in cancrena, sta crollando a pezzi e vuole trascinarci nel baratro, salvando i pochi sicari che rimarranno in piedi. A questo punto, proseguendo a tentoni nel buio, tanto vale sondare ogni strada realisticamente perseguibile per una via d’uscita.
da Stato Potenza

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