giovedì 30 novembre 2017

Bancarotta fraudolenta di casa nostra

Un signore un po' stonato, gravemente malato di soldi e potere, apre una ditta di abbigliamento. Rimane aperto un anno, prende dai fornitori e non paga gli ultimi corposi arrivi, chiude per fallimento. Dal fallimento il giudice trae la sacrosanta bancarotta fraudolenta. Un anno di detenzione ed esce. Non può intestarsi nulla, non può aprire un conto, non può firmare niente perché la sua firma non vale. Anche la moglie ha chiesto preventivamente il divorzio.
Dopo due mesi, riapre una ditta a nome del figlio, a capo c'è sempre il padre fraudolento e la moglie preventivamente divorziata, con un bel gruzzolo messo via dopo non aver pagato le ultime tasse e i fornitori.
Il conto corrente è intestato alla moglie divorziata, insieme fanno bingo e insieme costruiscono il mondo degli onesti e dei rispettabili.
Passa il tempo e va in malora anche il figlio. Stessa fine, 6 mesi in carcere, 10 mesi agli arresti domiciliari. Anch'egli non potrà intestarsi più uno spillo, forse neanche firmare il certificato di giustificazione del figlio, ma il cugino aprirà un'altra azienda.
I cugini prestanome aiutano spesso le famiglie in difficoltà
Stessa sorte, prestiti, nuovo locale, una montagna di nuovi arrivi: pronti via!
A capo c'è sempre quel padre e come aiuto capo, sempre il figlio, ma non risultano sulla carta, come non risulta illecita la montagna di soldi sul conto della moglie.
Ormai sono ricchi e possono anche permettersi di sbattere il lusso in faccia alla povertà. Per la legge sono soltanto fraudolenti,
A nome del Belpaese di merda in cui viviamo!
Non è finita. Chi difende il buon nome della famiglia? Gente che dipende e, soprattutto, gente che per molto meno è stata condannata ad anni e anni di prigionia.
Sempre a nome del Belpaese di merda in cui viviamo, che difende l'alto reddito e condanna duramente la povertà.
E' tempo di cannoni, disse il gigante senza armi 

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