venerdì 5 giugno 2015

ragione. Racconto per Lavoro e Salute MONOLOGO DI UN ETILISTA

ragione. Racconto per Lavoro e Salute

MONOLOGO DI UN ETILISTA.

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“Chissà cosa direbbero di me se sapessero che ho la fissa per il lato b delle donne?  le faccio passare avanti, non per galanteria, solo per ammirare quel fantastico disegno accennato”
Quella  era una sera un po’ diversa dalle altre, Renato pensava a tutto ciò che il mondo definiva miseria umana, ai pensieri reconditi, a ciò che nascondeva come fosse una malvagità.
Solito bar, solito scaffale, solito specchio “portami una caraffa di vino, Daniele”.
Nel bar non c’era tanta gente, spiccava Elena, la più pazza del quartiere, in attesa della notte per potersi mascherare e offrire il  suo bagaglio sensuale, poco più in là, sedeva  Enzo l’avvocato e Michele lo spazzino, ambedue distrutti da una storia d’amore, ambedue crucciati, ambedue perdenti; mentre il solito Romeo entrava e usciva,  dopo un colpo di wisky diretto al fegato o quel che ne era rimasto.
Renato salutò tutti alla fine del  terzo bicchiere, prima non avrebbe avuto senso,  si fece riempire la caraffa e sedette nel suo solito angolo, ormai lo conoscevano tutti e chiunque entrava non badava più tanto a lui.  Come al solito l’amico dei ricordi, l’amico mai nato di nome  Massimo,  sedette di fronte a lui per provocarlo, come solitamente fanno i demoni descritti dai cattolici  “maestro fallito, padre assente, che senso ha avuto per te vivere?”
Renato non alzava mai gli occhi quando rispondeva alle accuse dell’amico, non lo fece neanche quella sera  “ogni sera le stesse domande, ma che vuoi? Ho fatto il 68… io, ho scioperato per i diritti dei lavoratori, ho lottato onestamente, sono gli altri ad avermi tradito. Rimani solo tu, che vieni a interrogarmi, mia moglie non c’è e non dirmi che è colpa mia.
 Sai… stamattina pensavo ai giochi pericolosi, quando volevamo scannare i perbenisti, a quando tu e gli altri pensavate di prendere  Roma e proclamare la dittatura del proletariato; credevamo  di poter battere qualsiasi esercito, ma eravamo davvero mille, non come la favola su Garibaldi.  Io sono stato un vero combattente, un vero animale da guerriglia, anche se mi vedi basso… io so anche  essere alto, ma mai troppo alto. Vedi Massimo, tu vorresti sapere se tutto ciò ha avuto senso… Mi fai ridere, sai quante cose senza senso ho fatto?   Non  conto più le volte che ho abbracciato le cause perse, qualcuna l’ho portata fino allo spasmo. Non voglio,  non ho cercato  onori… io.
Siamo italiani, tu non sai quanto mi sembra  assurdo definirmi italiano… Ma lo  vedi quell’esercito attaccato ai cellulari? Quei ragazzi con le cuffie che parlano da soli? Parlano, ridono e promettono impegno, poi se la squagliano quando il gioco si fa duro… E quelle mamme che litigano con la maestre perché pensano di aver un genio come figlio?  Sono sempre le stesse, tutte uguali, al passo con la moda, rossetto grottesco e  ignoranza incorporata, eppure sono convinte di saperne più dei professori e, invece, pendono dalle labbra di un figlio straviziato e un po’  stronzetto. Ma non li vedi quando litigano per il calcio? Eh,  il calcio…   ancora capisco come fanno a credere nel calcio, a credere nella coscienza dei ricchi, proprio loro che credono in un Gesù che disse -È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio-… forse credono che un cammello possa entrare nella cruna di ago… eh! Te l’immagini?
 Tornando a me, io volevo solo non parlare troppo bene degli Ebrei e degli Stati Uniti, volevo raccontare dello Sputnik… Ma che vuoi raccontare a dei ragazzi che  vedono in tv i telefilm, i film, i racconti e le belle storie su New York?  Manco fosse Roma o Parigi.  Hanno messo sottosopra il mondo, la chiamano nazione, mentre quella è stata un’occupazione illegittima e invece… invece niente, tutto come peggio di prima, tutto come a fine Ottocento… Chissà se qualcuno un giorno lotterà per i suoi diritti? Perché… sai, io li vedo poco incazzati, non come noi!  I governi di qua  vogliono un cittadino che chieda umilmente di mangiare… sai perchè? Perché la carità è borghese, la carità è una beffa per far apparire il ricco un gentiluomo e il povero uno sbandato, se si unissero tutti i proletari del mondo, i potenti lascerebbero il comando senza opporre resistenza…. Tu te li immagini i principini a combattere da soli contro la gente? Sai che risate! Io li immagino con la calzamaglia e la spada a combattere contro operai grandi e grossi. Farebbero una brutta fine, ne sono certo”.
È mattino ormai, lo specchio ha spento l’immagine riflessa, Renato si abbottona  la camicia, riprende  le chiavi, il portafoglio, l’orologio, il cellulare ed esce  fuori, un’occhiata al cielo e il mondo lo porta via, fino alla prossimo incontro.
Antonio Recanatini
Racconto pubblicato sul nuovo numero del periodico lavoro e Salute
http://www.blog-lavoroesalute.org/monologo-di-un-etilista-stati-danimo-e-vissuto-di-sconfitti-dalla-volonta-ma-non-dalla-ragione-racconto-per-lavoro-e-salute/

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