lunedì 30 dicembre 2013

Anche Paolo Berlusconi nel giro dei rifiuti nucleari

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di Chiara Paolin Lo dice senza problemi che in vita sua ha ammazzato almeno cinquanta cristiani, e per altri quattrocento ha dato l’ordine di farli fuori. Lo giura con un sorriso che è scampato alla morte tante volte, per miracolo: “Pure con la stricnina in carcere ci hanno provato, e un’altra volta con un lanciamissili”. Carmine Schiavone ha retto a tutto dopo l’affiliazione alla mafia, con pungitura a Milano nel 1974 per mano di Luciano Liggio. Non un camorrista, dunque, ma un mafioso che gestiva il comparto costruzioni e opere pubbliche a Caserta e dintorni: dieci miliardi di lire al mese da spartire e investire. Nei primi anni 90 il guaio. Gli propongono di mettere monnezza sotto una strada, e lui ci sta. Ma quando s’accorge che tra i sacchi di spazzatura ci sono fusti tossici, rompe l’accor – do. Il clan tenta di convincerlo. Sandokan, suo cugino, lo minaccia. Lui insiste, gli fanno una soffiata e arriva l’arresto, il carcere, le rivelazioni sulla montagna di schifezze sotterrate nelle campagne. Indagini e processi che mandano in galera 1500 affiliati. Questa è la storia di Carmine Schiavone per come la racconta lui in prima persona a Servizio Più Pubblico, lo speciale in onda stasera su La7 (ore 20:35) per raccontare cos’è l’“Inferno atomico”, un territorio devastato da 10 mila tonnellate di rifiuti tra cui, dice Schiavone, ci stanno pure materiali radioattivi. “QUA SOTTO CI SONO le scorie nucleari, arrivate qua dalla Germania in cassettine grandi così – dice Schiavone calpestando un campo vicino a Casal di Principe –. Le portava una società di Milano collegata all’ex P2, a Licio Gelli: era di uno che faceva il costruttore, e che s’è dimesso appena io ho verbalizzato il suo nome”. Cioè quando, a partire dal 1993, Schiavone spiega ai magistrati l’affare della monnezza e spara un nome grosso, già all’epoca: “Dove sono finiti i verbali dove parlo di Paolo Berlusconi?”, chiede Schiavone quando alcune mamme della zona, persi i loro bimbi per tumori legati all’inquinamento, pretendono dal boss un’assunzione di responsabilità. Nessuna prova contro Paolo Berlusconi è mai stata esibita, e molte dichiarazioni di Carmine Schiavone restano coperte dal segreto di Stato. Quanto emerso nelle ultime settimane sul lavoro svolto dalla Commissione parlamentare nel 1997, il famoso “qua moriranno tutti tra vent’anni”, è solo un frammento della verità più profonda e inesplorata. Un mistero che ha rovinato la vita a Roberto Mancini, l’agente della Criminalpol che per quelle indagini del 1993 sorvolò in elicottero le terre del veleno. Al suo fianco Schiavone, che gli indicava i campi dove il suo clan aveva sotterrato i rifiuti pericolosi. L’agente Mancini ha passato giorni interi camminando su quella terra, a prendere misure e segnare punti di scavo, a seguire i carotaggi e prendere appunti. L’agente Mancini non è più in servizio: da dieci anni combatte un linfoma, un cancro tipico nella Terra dei fuochi, una malattia che è una beffa per chi credeva nella legalità e ha visto sprecare un lavoro rischioso, durissimo. “Non sono stato tutelato dallo Stato – dice Mancini nello studio di Servizio Pubblico a Sandro Ruotolo –. Finora ho combattuto il tumore, d’ora in poi mi dedicherò alle istituzioni. Quando consegnai il mio rapporto sulle ispezioni giù in Campania, i giudici Narducci e Policastro erano entusiasti. Pochi giorni dopo cambiarono idea, e dell’inchiesta non rimase nulla: troppo difficile da gestire, troppe pressioni. C’è stato anche l’intervento della massoneria, è provato”. In Campania tutti aspettano una risposta. I malati, i parenti dei morti, quelli che pretendono dal presidente della Repubblica il riconoscimento ufficiale dello status di vittime dello Stato: “Gli abbiamo spedito 150 mila cartoline, non ha dato cenno – spiegano dal comitato –. Del resto, all’epoca dei fatti, era lui il ministro degli Interni. Quindi ora speriamo che ci dia ascolto Papa Francesco”. NELLE CAMPAGNE, i contadini raccolgono peperoni e friarielli a pochi metri dalle aree sospette: “Dobbiamo svendere, nessuno compra più”. Ma perché non avete denunciato negli anni chi veniva a sversare? “Con la canna di fucile in bocca dovevamo parlare, certo. Qua non ci ha difesi mai nessuno, la politica sapeva, ha mangiato e noi siamo rovinati”.

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