Anche Paolo Berlusconi nel giro dei rifiuti nucleari
di Chiara Paolin Lo dice senza problemi che in vita
sua ha ammazzato almeno cinquanta cristiani, e per altri quattrocento ha
dato l’ordine di farli fuori. Lo giura con un sorriso che è scampato
alla morte tante volte, per miracolo: “Pure con la stricnina in carcere
ci hanno provato, e un’altra volta con un lanciamissili”. Carmine
Schiavone ha retto a tutto dopo l’affiliazione alla mafia, con pungitura
a Milano nel 1974 per mano di Luciano Liggio. Non un camorrista,
dunque, ma un mafioso che gestiva il comparto costruzioni e opere
pubbliche a Caserta e dintorni: dieci miliardi di lire al mese da
spartire e investire. Nei primi anni 90 il guaio. Gli propongono di
mettere monnezza sotto una strada, e lui ci sta. Ma quando s’accorge che
tra i sacchi di spazzatura ci sono fusti tossici, rompe l’accor – do.
Il clan tenta di convincerlo. Sandokan, suo cugino, lo minaccia. Lui
insiste, gli fanno una soffiata e arriva l’arresto, il carcere, le
rivelazioni sulla montagna di schifezze sotterrate nelle campagne.
Indagini e processi che mandano in galera 1500 affiliati. Questa è la
storia di Carmine Schiavone per come la racconta lui in prima persona a
Servizio Più Pubblico, lo speciale in onda stasera su La7 (ore 20:35)
per raccontare cos’è l’“Inferno atomico”, un territorio devastato da 10
mila tonnellate di rifiuti tra cui, dice Schiavone, ci stanno pure
materiali radioattivi. “QUA SOTTO CI SONO le scorie nucleari, arrivate
qua dalla Germania in cassettine grandi così – dice Schiavone
calpestando un campo vicino a Casal di Principe –. Le portava una
società di Milano collegata all’ex P2, a Licio Gelli: era di uno che
faceva il costruttore, e che s’è dimesso appena io ho verbalizzato il
suo nome”. Cioè quando, a partire dal 1993, Schiavone spiega ai
magistrati l’affare della monnezza e spara un nome grosso, già
all’epoca: “Dove sono finiti i verbali dove parlo di Paolo Berlusconi?”,
chiede Schiavone quando alcune mamme della zona, persi i loro bimbi per
tumori legati all’inquinamento, pretendono dal boss un’assunzione di
responsabilità. Nessuna prova contro Paolo Berlusconi è mai stata
esibita, e molte dichiarazioni di Carmine Schiavone restano coperte dal
segreto di Stato. Quanto emerso nelle ultime settimane sul lavoro svolto
dalla Commissione parlamentare nel 1997, il famoso “qua moriranno tutti
tra vent’anni”, è solo un frammento della verità più profonda e
inesplorata. Un mistero che ha rovinato la vita a Roberto Mancini,
l’agente della Criminalpol che per quelle indagini del 1993 sorvolò in
elicottero le terre del veleno. Al suo fianco Schiavone, che gli
indicava i campi dove il suo clan aveva sotterrato i rifiuti pericolosi.
L’agente Mancini ha passato giorni interi camminando su quella terra, a
prendere misure e segnare punti di scavo, a seguire i carotaggi e
prendere appunti. L’agente Mancini non è più in servizio: da dieci anni
combatte un linfoma, un cancro tipico nella Terra dei fuochi, una
malattia che è una beffa per chi credeva nella legalità e ha visto
sprecare un lavoro rischioso, durissimo. “Non sono stato tutelato dallo
Stato – dice Mancini nello studio di Servizio Pubblico a Sandro Ruotolo
–. Finora ho combattuto il tumore, d’ora in poi mi dedicherò alle
istituzioni. Quando consegnai il mio rapporto sulle ispezioni giù in
Campania, i giudici Narducci e Policastro erano entusiasti. Pochi giorni
dopo cambiarono idea, e dell’inchiesta non rimase nulla: troppo
difficile da gestire, troppe pressioni. C’è stato anche l’intervento
della massoneria, è provato”. In Campania tutti aspettano una risposta. I
malati, i parenti dei morti, quelli che pretendono dal presidente della
Repubblica il riconoscimento ufficiale dello status di vittime dello
Stato: “Gli abbiamo spedito 150 mila cartoline, non ha dato cenno –
spiegano dal comitato –. Del resto, all’epoca dei fatti, era lui il
ministro degli Interni. Quindi ora speriamo che ci dia ascolto Papa
Francesco”. NELLE CAMPAGNE, i contadini raccolgono peperoni e friarielli
a pochi metri dalle aree sospette: “Dobbiamo svendere, nessuno compra
più”. Ma perché non avete denunciato negli anni chi veniva a sversare?
“Con la canna di fucile in bocca dovevamo parlare, certo. Qua non ci ha
difesi mai nessuno, la politica sapeva, ha mangiato e noi siamo
rovinati”.
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