Il governo socialista francese di François Hollande non ha rivali in
Europa in quanto ad interventismo, anche se l’Italia prona agli
statunitensi segue a ruota. Le avventure militari di Parigi non sono una
novità, in particolare da quando il candidato della gauche si è
insediato all’Eliseo. Questa volta tocca alla Repubblica Centrafricana.
Dopo lo stato di agitazione nel 2011 per la guerra civile in Libia (e
la conseguente destituzione ed esecuzione del leader Muhammar Gheddafi)
vissuto anche dalla Francia, la situazione nell’intera parte
dell’Africa centro-settentrionale è andata peggiorando progressivamente;
a destabilizzare gli equilibri geopolitici dell’area hanno molto
contribuito Stati Uniti e Paesi europei intervenuti nei conflitti,
esasperando le condizioni di vita per milioni di persone ed espandendo
rivolte, anche armate, troppo spesso frettolosamente definite come
"rivoluzioni di popolo".
Di "popolo" puramente inteso il terrorismo salafita ha decisamente poco.
Finanziato sino alla soglia degli anni ’90 dagli Stati Uniti in primis
(memorabile l’appoggio alla resistenza in Afghanistan contro l’Esercito
Sovietico) e partito in Medioriente ed Asia, il movimento di resistenza
oggi identificato come Al-Qaeda ha rintuzzato il fuoco nell’Africa delle
innumerevoli guerre, dove principalmente operano il gruppo di Al-Qaeda
per il Maghreb Islamico ed il fronte di Boko Haram, spaccato in tre
fazioni e radicato in Nigeria.
Facile immaginare quanto ci sia di politicamente architettato nel
colpo di Stato in Mali del marzo 2012, che ha portato alla
auto-proclamazione di indipendenza della regione dell’Azawad da parte
del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) e la
successiva sconfitta del medesimo da parte di formazioni integraliste
d’ispirazione salafita, tra cui Ansar Eddin. Alla fine dell’anno con la
ripresa delle attività belliche è il Presidente del Mali Traorè a
chiedere l’aiuto internazionale attraverso l’ECOWAS, grosso modo
l’equivalente della UE europea: la Francia risponderà presente "per
motivi umanitari" e resterà l’unico tra i Paesi occidentali ad
intervenire attivamente nei combattimenti attraverso un contingente di
oltre 2000 uomini (che arriveranno ad essere il doppio a tutt’oggi) ed
il supporto dell’aviazione. Parigi resterà operativa per un mese, da
gennaio all’8 febbraio, giorno della visita di Hollande nella capitale
Timbuctu; restano fumose le dichiarazioni di future riduzioni del
contingente.
Ora le mire francesi si spostano nuovamente, passando da Mali e Libia
(e bypassando sulla cartina geografica Niger e Ciad) in Repubblica
Centrafricana. Hollande ha ormai indossato le vesti di paladino del
peacekeeping e sempre "per motivi umanitari" ha comunicato attraverso un
messaggio televisivo il 5 dicembre la decisione di intervenire manu
militari a Bangui, dopo l’ennesimo massacro di civili a causa di scontri
di matrice etno-religiosa tra cristiani e ribelli: l’ONU ha autorizzato
un contingente di 1600 uomini la scorsa settimana.
Il 24 marzo un gruppo di milizie integraliste mussulmane raggruppate
sotto il nome di Séléka è arrivato al potere destituendo il generale
François Bozizè ed interrompendo il processo di riscrittura della
Costituzione nel quale era coinvolta ogni formazione politica, ed il
leader Michel Djotodia si è autoproclamato presidente del Paese; a
settembre Séléka viene sciolto, ma l’attività di destabilizzazione è
totale, con conseguenti atti di violenza e sopraffazione. I cristiani
centrafricani si sono organizzati in coordinamenti di resistenza
definiti anti-Bamaka. Come sempre, per essere esaustivi ogni conflitto
armato in Africa meriterebbe un intero tomo a sè stante.
Lo scorso sabato a Parigi si è svolta la Conferenza per la Pace e la
Sicurezza in Africa: Hollande ha invitato a partecipare (attivamente)
anche il Segretario Generale dell’ONU Ban-Ki-Moon ed il Presidente del
Consiglio Europeo Erman Von Rompuy: un incontro pubblico con la stampa
teso a stemperare le proteste che in crescendo si levano dalla Francia e
non solo verso una politica estera che odora sempre più di revanscismo
neocoloniale verso quei territori indipendenti da neanche un secolo
(ammesso che lo siano mai diventati, e nel caso della Repubblica
Centrafricana è comunque dal 1960, 53 anni fa. Il 1 dicembre, la scorsa
settimana, per il Paese era festa nazionale). Un tentativo comunque
malamente riuscito, con Hollande che ha apertamente parlato di "profumo
di libertà che già si respira a Bangui" ed ha provato a mostrare
risolutezza in uno scenario assai complesso e comunque ancora fortemente
instabile, indicando tre punti cardine: "porre fine ai massacri,
disarmare le milizie, riportare un quadro di democrazia per permettere
l’organizzazione di nuove elezioni". Lasciando neanche troppo
velatamente intuire, alla presenza di ONU ed UE, nuovi possibili scenari
dichiarando che "le violenze potrebbero estendersi verso altri Paesi
africani". Ovvero, quanto già dichiarato per il Mali lo scorso anno.
Il Partito Socialista francese fa quadrato intorno al suo leader e
presidente, facendo apparire lontani i tempi del caos interno con la
segreteria di Aubry che spianò la strada a Sarkozy. La ex ministra della
Giustizia e del Lavoro, oggi rappresentante per il PS all’Assemblea
Nazionale (una delle due Camere) Elisabeth Guigou svela le trame della
politica economica della Francia in Africa: "Dobbiamo uscire dal
concetto neocolonialista di commercio attraverso il solo sfruttamento ed
instaurare uno scambio nel quale entrambe le parti guadagnino qualcosa.
Ci dobbiamo impegnare attraverso l’Unione Europea per stabilizzare le
istituzioni e ciò è basilare" e parlando di Tunisia aggiunge: "Questo
farà guadagnare nuovamente fiducia da parte degli investitori esteri e
rilancerà il turismo, una delle principali risorse del Paese".
E sugli impegni militari precedentemente assunti, il tono è equipollente
a quello dei Bush e degli Obama sul Medioriente: "Il nostro intervento
in Libia è stato solo militare. In Mali ci siamo andati dietro richiesta
del Paese stesso e non abbiamo intenzione di restarci se non per il
tempo necessario per costruire l’unità del Paese; stiamo formando un
esercito autonomo maliano e collaboriamo per fare cessare il fuoco. Una
volta che il MISCA (la missione internazionale nella Repubblica
Centrafricana) sarà operativo, ce ne andremo più velocemente di come
siamo arrivati, lasciando il comando delle operazioni al contingente
ONU".
Anche Guigou dunque prova a fare il pompiere anche nei confronti di
un elettorato interno perplesso e piuttosto scontento. E dimentica di
indicare quale sarà la moneta della comunità internazionale per premiare
un intervento che, casualmente, è partito dagli ex-coloni francesi.
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