mercoledì 11 dicembre 2013

Le nuove tappe militari della Francia in Africa di Mattia Laconca -

Il governo socialista francese di François Hollande non ha rivali in Europa in quanto ad interventismo, anche se l’Italia prona agli statunitensi segue a ruota. Le avventure militari di Parigi non sono una novità, in particolare da quando il candidato della gauche si è insediato all’Eliseo. Questa volta tocca alla Repubblica Centrafricana.
Dopo lo stato di agitazione nel 2011 per la guerra civile in Libia (e la conseguente destituzione ed esecuzione del leader Muhammar Gheddafi) vissuto anche dalla Francia, la situazione nell’intera parte dell’Africa centro-settentrionale è andata peggiorando progressivamente; a destabilizzare gli equilibri geopolitici dell’area hanno molto contribuito Stati Uniti e Paesi europei intervenuti nei conflitti, esasperando le condizioni di vita per milioni di persone ed espandendo rivolte, anche armate, troppo spesso frettolosamente definite come "rivoluzioni di popolo". Di "popolo" puramente inteso il terrorismo salafita ha decisamente poco. Finanziato sino alla soglia degli anni ’90 dagli Stati Uniti in primis (memorabile l’appoggio alla resistenza in Afghanistan contro l’Esercito Sovietico) e partito in Medioriente ed Asia, il movimento di resistenza oggi identificato come Al-Qaeda ha rintuzzato il fuoco nell’Africa delle innumerevoli guerre, dove principalmente operano il gruppo di Al-Qaeda per il Maghreb Islamico ed il fronte di Boko Haram, spaccato in tre fazioni e radicato in Nigeria.
Facile immaginare quanto ci sia di politicamente architettato nel colpo di Stato in Mali del marzo 2012, che ha portato alla auto-proclamazione di indipendenza della regione dell’Azawad da parte del MNLA (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad) e la successiva sconfitta del medesimo da parte di formazioni integraliste d’ispirazione salafita, tra cui Ansar Eddin. Alla fine dell’anno con la ripresa delle attività belliche è il Presidente del Mali Traorè a chiedere l’aiuto internazionale attraverso l’ECOWAS, grosso modo l’equivalente della UE europea: la Francia risponderà presente "per motivi umanitari" e resterà l’unico tra i Paesi occidentali ad intervenire attivamente nei combattimenti attraverso un contingente di oltre 2000 uomini (che arriveranno ad essere il doppio a tutt’oggi) ed il supporto dell’aviazione. Parigi resterà operativa per un mese, da gennaio all’8 febbraio, giorno della visita di Hollande nella capitale Timbuctu; restano fumose le dichiarazioni di future riduzioni del contingente.
Ora le mire francesi si spostano nuovamente, passando da Mali e Libia (e bypassando sulla cartina geografica Niger e Ciad) in Repubblica Centrafricana. Hollande ha ormai indossato le vesti di paladino del peacekeeping e sempre "per motivi umanitari" ha comunicato attraverso un messaggio televisivo il 5 dicembre la decisione di intervenire manu militari a Bangui, dopo l’ennesimo massacro di civili a causa di scontri di matrice etno-religiosa tra cristiani e ribelli: l’ONU ha autorizzato un contingente di 1600 uomini la scorsa settimana. Il 24 marzo un gruppo di milizie integraliste mussulmane raggruppate sotto il nome di Séléka è arrivato al potere destituendo il generale François Bozizè ed interrompendo il processo di riscrittura della Costituzione nel quale era coinvolta ogni formazione politica, ed il leader Michel Djotodia si è autoproclamato presidente del Paese; a settembre Séléka viene sciolto, ma l’attività di destabilizzazione è totale, con conseguenti atti di violenza e sopraffazione. I cristiani centrafricani si sono organizzati in coordinamenti di resistenza definiti anti-Bamaka. Come sempre, per essere esaustivi ogni conflitto armato in Africa meriterebbe un intero tomo a sè stante.
Lo scorso sabato a Parigi si è svolta la Conferenza per la Pace e la Sicurezza in Africa: Hollande ha invitato a partecipare (attivamente) anche il Segretario Generale dell’ONU Ban-Ki-Moon ed il Presidente del Consiglio Europeo Erman Von Rompuy: un incontro pubblico con la stampa teso a stemperare le proteste che in crescendo si levano dalla Francia e non solo verso una politica estera che odora sempre più di revanscismo neocoloniale verso quei territori indipendenti da neanche un secolo (ammesso che lo siano mai diventati, e nel caso della Repubblica Centrafricana è comunque dal 1960, 53 anni fa. Il 1 dicembre, la scorsa settimana, per il Paese era festa nazionale). Un tentativo comunque malamente riuscito, con Hollande che ha apertamente parlato di "profumo di libertà che già si respira a Bangui" ed ha provato a mostrare risolutezza in uno scenario assai complesso e comunque ancora fortemente instabile, indicando tre punti cardine: "porre fine ai massacri, disarmare le milizie, riportare un quadro di democrazia per permettere l’organizzazione di nuove elezioni". Lasciando neanche troppo velatamente intuire, alla presenza di ONU ed UE, nuovi possibili scenari dichiarando che "le violenze potrebbero estendersi verso altri Paesi africani". Ovvero, quanto già dichiarato per il Mali lo scorso anno.
Il Partito Socialista francese fa quadrato intorno al suo leader e presidente, facendo apparire lontani i tempi del caos interno con la segreteria di Aubry che spianò la strada a Sarkozy. La ex ministra della Giustizia e del Lavoro, oggi rappresentante per il PS all’Assemblea Nazionale (una delle due Camere) Elisabeth Guigou svela le trame della politica economica della Francia in Africa: "Dobbiamo uscire dal concetto neocolonialista di commercio attraverso il solo sfruttamento ed instaurare uno scambio nel quale entrambe le parti guadagnino qualcosa. Ci dobbiamo impegnare attraverso l’Unione Europea per stabilizzare le istituzioni e ciò è basilare" e parlando di Tunisia aggiunge: "Questo farà guadagnare nuovamente fiducia da parte degli investitori esteri e rilancerà il turismo, una delle principali risorse del Paese". E sugli impegni militari precedentemente assunti, il tono è equipollente a quello dei Bush e degli Obama sul Medioriente: "Il nostro intervento in Libia è stato solo militare. In Mali ci siamo andati dietro richiesta del Paese stesso e non abbiamo intenzione di restarci se non per il tempo necessario per costruire l’unità del Paese; stiamo formando un esercito autonomo maliano e collaboriamo per fare cessare il fuoco. Una volta che il MISCA (la missione internazionale nella Repubblica Centrafricana) sarà operativo, ce ne andremo più velocemente di come siamo arrivati, lasciando il comando delle operazioni al contingente ONU".
Anche Guigou dunque prova a fare il pompiere anche nei confronti di un elettorato interno perplesso e piuttosto scontento. E dimentica di indicare quale sarà la moneta della comunità internazionale per premiare un intervento che, casualmente, è partito dagli ex-coloni francesi.

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