Il 32% della popolazione mondiale è cristiana (circa la metà cattolica), il 23% islamica, il 29% aderisce ad altre religioni e culti, soprattutto l’induismo, praticato in India. I “non credenti “dichiarati crescono: sono più di un miliardo (16,35% del totale nel 2010), più dei cattolici ufficiali (15%). Sappiamo poi che basta essere battezzati alla nascita per essere dichiarati “cattolici”.
In Italia e altrove cresce anche il numero di coloro che non credono alle gerarchie vaticane o che ripudiano i privilegi (esenzione IMU, 8×1000, sussidi statali) e gli affari, anche sporchi, della finanza vaticana (IOR), descritti dal film di Giuseppe Ferrara “I banchieri di Dio”. I soli privilegi riguardano cifre enormi (centinaia di milioni di euro), somme che vengono sottratte ai cittadini impoveriti e allo Stato indebitato.
Ma non si tratta solo di questo: vi è un grosso deficit di trasparenza sugli affari della finanza vaticana.
I giornali e la TV non ne parlano, neppure in questi giorni: eppure, il 3 gennaio u.s. la Banca d’Italia, su segnalazione della Procura di Roma, ha bloccato le operazioni di bancomat e carte di credito del Vaticano tramite “points of sale” (punti di vendita o POS) distribuiti in circa 80 tra esercizi, farmacie, musei e punti vendita. Il blocco è motivato da anomalie sospette nei movimenti di danaro per oltre 40 milioni di euro.
Non risulta nemmeno che dal Vaticano abbiano chiesto una qualche autorizzazione per installare i POS.
Già da tempo i magistrati romani, con a capo il procuratore aggiunto Nello, hanno indagato sullo Ior, disponendo il sequestro di 23 milioni di euro. La Procura di Roma ha infatti rilevato “carenze” nella regolamentazione dell’antiriciclaggio da parte dell’Istituto Opere di Religione (IOR). Perciò Bankitalia ha sospeso i pagamenti tramite point of sale. E’ un mistero infatti a chi sia intestato il conto vaticano e chi possa operarvi. Nel maggio scorso anche JP Morgan aveva chiuso un conto dello Ior, su cui era transitato circa un miliardo di euro in un anno e mezzo, per problemi di trasparenza finanziaria.
Infatti asserisce che “la verifica sulle pratiche antiriciclaggio adottate dall’istituto di credito dello Stato Pontificio non sarebbero state sufficientemente positive, tali da annoverare San Pietro tra i paesi virtuosi”. Tutto questo dopo che lo scorso anno Benedetto XVI aveva introdotto, secondo i nostri mass-media, misure “rigorose”. Possiamo immaginare quanto lo fossero quelle precedenti.
Solo un giornale, Il Fatto Quotidiano, ha fatto emergere come le nuove misure vaticane fossero, a conti fatti, una mera cosmesi, finalizzata esclusivamente al raggiungimento di una credibilità che, in materia di trasparenza, manca praticamente da sempre. Il Vaticano ha qualche mese per rispondere alle sollecitazioni di trasparenza rivolte da Banchitalia e Procura di Roma. Forse lo farà, perché essere internazionalmente conosciuti come una lavanderia di denaro sporco non piace a nessuno, meno che mai a chi vanta la sua superiorità morale e religiosa sul mondo.
Rimane la domanda: perché mai lo Stato italiano deve continuare a far da garante di un istituto di credito extracomunitario così poco trasparente, e già più volte implicato nel riciclaggio di denaro di provenienza illecita (dalle tangenti ai proventi della mafia)? La risposta, scontata, sta nella piena sudditanza dei governanti italiani di diverso colore agli interessi finanziari e politici del Vaticano che li sostiene. Eppure la nostra Costituzione stabilisce che il nostro Stato sia laico ed autonomo da quello Vaticano.
Gli elettori italiani dovrebbero ricordarlo, votando per liste laiche, come “Rivoluzione civile” che nel suo programma di rispetto costituzionale così scrive:” Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze….”
(Enrico Giannino)
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