lunedì 27 ottobre 2014

UNA STORIA NORMALE di Antonio Recanatini

Nelle strade della mia città non è difficile incontrare Stefano, un piccolo selvaggio per la società, in realtà è un vagabondo, legge e poi racconta il libro ai passanti, tramutandosi da lettore a protagonista principale.
Sorride e si diverte a guardare i bambini, lui non è mai stato bambino, sembra uno di quegli uomini che alla nascita hanno già una trentina d'anni.
È fuggito da una decina di orfanotrofi, iniziò molto presto a dormire in spiaggia o in qualche letto prestato, il solo amico che l'accompagna è Willy, un pastore tedesco, non diverso dal suo padrone nei modi.
Si accontenta di venti centesimi, dieci, non vede neanche quanto versano nel suo cappello, regala comunque il sorriso rovinato e se non hai molta fretta, ha una storia da farti ascoltare.
Stefano vive con poco e mangia alla caritas, non ha mai avuto una macchina, forse non è mai stato in un ristorante, non ha mai pregato e si augura di vivere ancora poco, perché nel silenzio incombe una malattia incurabile.
Giorni fa è entrato in un supermercato, diretto al banco della frutta, ha sbucciato una banana e l'ha consumata di fronte ai commessi.
In pochi minuti arrivano due pattuglie, due agenti rimangono alla porta, altri due entrano e agguantano Stefano, uno di essi lo immobilizza, come fosse un ladro, l'altro chiede i documenti.
Dopo cinque minuti si accorgono che quell'uomo non è un delinquente, lo portano fuori e lo rifocillano con dell'acqua e chiedono scusa.
Stefano inizia a tremare e si lascia andare a peso morto tra le braccia dei poliziotti, gli altri rimasti in macchina chiamano subito l'ambulanza, mentre i curios,i uno dopo l'altro, si accalcano in cerca di uno scoop da raccontare.
All'arrivo dell'ambulanza scende un dottore, il tremore di Stefano è sempre più intenso, la bava alla bocca mostra il segno di scossa, si, perché Stefano è anche epilettico.
Uno dei poliziotti si toglie gli occhiali e sbatte i piedi a terra, un altro non si da pace e sconsolato parlotta con il barelliere.
Decidono di portarlo al pronto soccorso e partono per una corsa folle verso l'ospedale, in fondo sono appena cinque chilometri.
Lo mettono su una barella e applicano, con molta fatica, la mascherina per l'ossigeno: la barba folta è comunque un impedimento, un ostacolo.
Rimane in ospedale alcuni giorni, gli unici ad andarlo a trovare sono qualche conoscente e gli agenti pugnalati nell'intimo dai sensi di colpa.
Dopo sei giorni il cuore di Stefano cessa di battere, un prete organizza un funerale di lusso, nella chiesa più antica della città, il vescovo capisce che quella funzione sarebbe un'ottima pubblicità per la sua carriera, allora decide di essere lui il protagonista del rito.
Stefano non avrebbe mai pensato che tanti sarebbero accorsi al suo funerale, ma dopo l'ultimo amen, tutti risalgono in macchina per andar via, l'odore d'incenso si perde nell'aria, le campane si fermano, il vescovo si toglie la tonaca e il prete va a salutarlo, come dire: ottimo lavoro.
Lo spettacolo è finito, la chiesa ha sponsorizzato la morte, i fedeli hanno fatto la loro buona azione, il supermercato, il giorno dopo, regala un casco di banane a chi spende più di trenta euro.
Stefano non leggerà più e non potrà raccontare nessuna storia ai passanti, Willy rimane nei pressi del cimitero e non intende allontanarsi.


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