Se so' squajati? Mi piacerebbe saperlo. Sto parlando, sí, degli Indignati, o Indignados.
Il famoso “novantanove per cento”. Degli occupatori di Wall Street, di
piazza Teobaldo Buffardeci o del sagrato della chiesa di S. Quirino in
Articulo Mortis. Le tende, le accampate (accampate pretesti?), le pacifiche e festose manifestazioni.
Il 15 ottobre? Sembra non un secolo, ma un millennio fa. Quanto so'
durati, st'indignati? Pochi mesi? Indignazione a tempo? Ma non sarà che,
ora, parecchi di loro in fondo si son contentati della scomparsa di
Berlusconi, l'agognato traguardo, e che in fondo questo professor Monti è
tanto una brava persona, è sobrio, è rispettato e ci ha pure l'humour?
Sí, d'accordo, le banche sono tanto cattive, l'articolo diciotto non
si tocca, no agli aerei militari, basta con l'Afghanistan, noi la crisi
non la paghiamo, l'economia reale, Moody's, lo Standard e il Povero, la patrimoniale e tutto il resto. Noi di qui non ci muoviamo! Però, gli indignati,
non avevano capito una cosa a mio parere piuttosto elementare. Per non
muoversi, bisogna quantomeno dotarsi di qualche mezzo per resistere.
Non sto parlando di vettovaglie, di maglioni pesanti e di postazioni
Facebook; sto parlando di bastoni, fionde, randelli, qualsiasi cosa. So
bene che questo contrasta con la rigorosa non-violenza
di questi novantanovi percenti, però, dovunque, è bastato un buffetto
della polizia (e persino dei vigili urbani!) per farli muovere eccome.
Via le accampate, Wall Street è rimasta disoccupata (il contrario di
“occupata”) e le banche son sempre tutte là tranne, incredibilmente,
dove le bruciano. Però dicono sempre che ritorneranno, gli indignati. Una volta smossi via a calci nel culo, bisogna per forza che tornino, perlopiù in forme diverse e creative.
Le mazzate che ripiglieranno dopo tre giorni, però, saranno sempre
uguali e senza un filo di creatività. Nel frattempo, prima di ritornare,
la distruzione va tranquillamente avanti e, perlomeno qui da noi, con
alti indici di gradimento; c'è il governo che “pensa alle giovani
generazioni” e alla “crescita”, e finalmente il capitalismo sarà riformato. Mi
ricordo, quand'ero alle elementari, che il verbo “riformare” aveva un
curioso significato; nelle zuffe fra ragazzi ci si minacciava dicendoci
“Se 'un tu sta' attento, 'e ti riformo!” (oppure ti riformo i' viso). Ecco, effettivamente il capitalismo ci sta riformando. I' viso. Che ganzi, 'sti movimenti dal basso, e questi giovani senza futuro
che hanno provato l'ebbrezza della piazza e dello sgombero coatto
senza opporre resistenza alcuna. Volemo er futuro! Volemo er lavoro!
Volemo 'a famija! C'indignàmo come ricci! Puff. Sarò, ora, estremamente
prosaico. L'incidenza di tutti questi movimenti
(che durano peraltro lo spazio di una cacata) è pari a zero. Lo si
sapeva già, ma l'illusione è carina e fa comodo sia a chi la prova
(magari sinceramente, non voglio certo negarlo!), sia a chi la sfrutta.
Il risultato è stato di essere ascoltati da Napolitano (!!!), di vedersi comprendere le ragioni
(non senza l'eterna raccomandazione di “non uscire dalla legalità” e
di “manifestare civilmente”, altrimenti da “indignati” si passa
automaticamente a “black bloc”), e di farsi rimandare a casina con
qualche ceffone nel muso.
Forse, chissà, da noi non c'è abbastanza crisi; e lo stesso in Spagna, in Francia, in Portogallo...anzi, ora stanno cominciando a dirci che si vede una via d'uscita,
e tutti a applaudire. Il nano-tiranno-puttaniere non c'è più e non si
ricandiderà; dissolto. Non si è mica ancora capito che questa non è una
“crisi economica”, ma la crisi di una civiltà intera in tutti i suoi
aspetti! Ci si rifiuta di prendere in considerazione che questa sia la
crisi non di “Wall Street”, dell' “Europa monetaria”, dell' “euro” o di
chissà cos'altro, bensì della società borghese capitalista nella sua
interezza. La crisi profonda, e logica, dei suoi meccanismi e dei suoi
pilastri. Si chiedono “lavoro”, “posti”, si ciancia sul “posto fisso” e
sul “precariato”, quando è il lavoro stesso che è un cadavere
imbalsamato, una salma che non si riesce più a tenere in vita
artificialmente e per la quale si cerca costantemente di cancellare ogni
alternativa possibile. Al tempo stesso, più il cadavere puzza, e più
lo si esalta, lo si “riforma”, lo si sottopone a “cure dolorose ma
necessarie”. Da questa crisi non c'è nessuna uscita. La Grecia non deve
essere trasformata in un comodo feticcio, in esempio da additare tipo
“avete visto bravi”; la Grecia è semplicemente un paese debolissimo, nel
quale il crollo è proceduto più speditamente. E cosa si vuole che
facciano, i greci? Che se ne stiano là a morire senza vendere cara la
pelle? Ma non devono nemmeno diventare, i greci, oggetto di paragone e
di “tifo”. Devono, casomai, diventare specchio degli eventi. Specchio
degli eventi significa, e può significare soltanto questo, istruzioni su
come assaltare un'armeria o mettere fuori combattimento un reparto
motorizzato. Su come organizzare la sussistenza e l'approvvigionamento
di base in una società crollata nella quale il lavoro non esiste più. Su
come riorganizzare la convivenza e lo scambio in assenza di denaro.
Non soltanto vendere cara la pelle, anzi; cambiarla tutta, la pelle.
Non applaudire al fuoco, e basta; non dire “hai visto ganzi come danno
fuoco alle banche e al centro commerciale”, ma capire in profondo che
cosa prospetta davvero quel fuoco, e che panorama offre. Magari,
chissà, se ne ha paura; magari si preferirà continuare a cullarsi
nelle storielle dell' “uscita dal tunnel”. Ma dal “tunnel” si esce in
un solo modo: abbattendolo. Non sarà delicato, tutto questo. Non sarà
né una festa, né una gioia. Può darsi che dovremo rinunciare a tutto.
Non lo scriveremo più nemmeno sul blogghino e non ci manderemo più i
messaggini su Twitter. Può darsi che, in molti, moriremo. E' bene
pensarci prima di applaudire il fuoco, perché il fuoco brucia. Ma senza
il fuoco non si abbatte nulla. Si resta dove si è, nelle piazzette
colorate. Si giocherella e ci si diverte, perché, diciamocelo
sinceramente, 'sta crisi è proprio divertente e non ci si annoia di
certo.
Ogni
tanto, comunque, raccomando di imparare un po' di greco. Anche i
rudimenti. Invece del solito inglese di merda, tipo quello dello
striscione affisso sull'Acropoli dal KKE (il partito comunista greco).
Su uno striscione intravisto l'altra sera in un servizio televisivo da
Atene, c'era scritto quanto segue, e io l'ho capito cosa voleva dire.
Sarebbe stato bene che tutti lo avessero inteso. C'era scritto:
ΕΜΦΥΛΙΟΣ ΠΟΛΕΜΟΣ
Guerra civile. Questo vuol dire.
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