Un gruppo di associazione vittime dei
preti pedofili e il Centro per i diritti internazionali, due
organismi di rilevanza mondiale, hanno depositato presso la Corte
penale internazionale dell'Aja un ricorso in cui accusa il Papa e tre
alti esponenti del Vaticano - il segretario di Stato, cardinale
Tarcisio Bertone-.
Vorrei accostare la figura del prete a
quella di un terapeuta, non per intelletto o spiritualità sia
chiaro, ma solo perché ambedue, molto spesso, hanno a che fare con
soggetti fragili.
La definizione di fragilità viene
evidenziata per una caratteristica che accomuna i pazienti che si
rivolgono ad essi con uno smisurato bisogno di trovare calore e
affetto.
L'abuso di questa posizione dominante
equivale ad una violenza inaudita.
Il vaticano continua a esporre le sue
malefatte senza una vera condanna e tutto questo si confonde con la
falsa spiritualità annessa a principi incondivisibili, un prete
pedofilo è colpevole non esistono scusanti, non esistono attenuanti
tutto al più il contrario, proprio perché coperti da un abito
talare poco importa se sporco e corrosivo.
Gli eroi di questa falsa morale vanno
in tv a difendere colleghi invasati, incriminati di abusi sessuali
con l'impegno di parlare con l'onestà di chi crede, una selva di
follie a cui gli italiani non riescono a discernere dalla fiaba
grottesca.
Non è passato molto tempo da quando
Don Gelmini veniva spostato da una prigione all'altra perchè giaceva
con più detenuti, si certo la vergogna non invade mai chi pensa di
essere nel giusto anche quando la propria spada ha ferito e infestato
i sogni ignoranti.
La vergogna non è concessa a chi crede
di aver sconti in paradiso, a chi crede di poter redimere senza
redimersi. Credo che questa sorta di disonestà ed omertà
all'interno della chiesa sia la conseguenza di un modo mafioso che
appartiene conserva la chiesa come rifugio per i peccatori.
La crudeltà del cattolicesimo nei 500
anni di santa inquisizione non è nemmeno conosciuta da chi va in
chiesa per questo le chiese non vanno costruite, ma sepolte.
(Antonio Recanatini)
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