Il panorama che ci si pone di fronte non è dei migliori, da tempo. Si
dice che “si raccoglie ciò che si semina”, niente di più saggio. Gli
anni Novanta sono stati caratterizzati da fenomeni di rottura storici,
economici e geopolitici senza precedenti. Con il muro sono crollate
certezze, ideologie, teorie, contrapposizioni, concezioni e quant’altro.
Dal punto di vista politico le fratture sono state irrimediabili:
vecchie élite politiche, ancorate a sistemi di ragionamento politico e
di conduzione economica incompatibili con il “progresso”, con la
“globalizzazione”, con la “fine della storia”, come da molti fu definita
l’epoca che si affacciava all’orizzonte della fine del bipolarismo,
sono state sostituite da classi politiche più dinamiche, in grado di
leggere il nuovo sistema che si andava conformando, soprattutto in
occidente. Il libero mercato si è eretto a pilastro indiscutibile della
vita quotidiana in occidente, condizionando modi di pensare e di
concepire la società. E’ divenuto un emblema statuale impossibile,
secondo i più, da rimuovere, considerato intrinseco nella natura stessa
della società e dell’economia, chiunque lo metta in discussione non è
che un estremista o un folle che esce dai paletti del “libero pensiero”,
che travalica ogni limite concessogli dalla libertà, si può discutere
di tutto, ma la base sistemica non è in discussione. Il ricambio
generazionale nelle élite, un classico dei sistemi “democratici”, è
avvenuto in modi diversi a seconda del contesto storico-politico, ma il
risultato è stato lo stesso. Le sinistre e le destre hanno configurato
un sistema politico centripeto in quasi tutta Europa, trascinando con sé
le rispettive ali estreme, assumendo tutte come conditio sine qua non
il libero mercato e le ricette neoliberiste. In Italia il ricambio è
stato di quelli traumatici, un ricambio guidato dall’alto, come si
addice ad una (semi)-colonia: nel 1994 tangentopoli, ancora oggi
celebrata dalla maggior parte dei professionisti e non della politica
come un evento di purificazione, ha definitivamente spazzato via gli
elementi vecchi e ancora condizionati da una conduzione economica fin
troppo accentrata, basata su un apparato industriale forte e statale. Ad
oggi rimane nel panorama politico una casta ristretta, lontana anche
dal concetto di élite, termine che, come condiviso dalla maggior parte
dei politologi, racchiude una concezione “positiva” di eletti, di
maggiormente capaci, di avanguardia, seppure il dibattito attorno al
termine sia tutt’altro che chiuso o scontato (dell’élite possono far
parte anche “eletti” per disponibilità di risorse materiali, ad
esempio). Una casta i cui fili, manovrati dall’oltreoceano, sono più che
visibili. Tangentopoli non ha certo spazzato via una classe di eletti,
di uomini capaci o di grandi statisti, ha spazzato via una classe
dirigente vecchia e legata con la muffa alle proprie poltrone, ma quel
che conta è che a spazzarla via non è stata una purificazione
necessaria, ma un gretto calcolo padronale, un dettame provenuto dalle
lucide sale della Casa Bianca, a Washington. L’Europa vive una
situazione di stallo, si muove solo ciò che può far comodo, l’UE si
trova stretta nella burocrazia e nell’immobilismo totale, poiché così,
d’altronde, è stata concepita. Il debito è il nuovo collante, è il nuovo
simbolo dell’Europa, un Europa debole, appendice di un’alleanza
atlantica da cui è pressoché impossibile liberarsi attraverso iniziative
personali e senza progetti (ci hanno provato Jacques Chirac a suo tempo
e Silvio Berlusconi, in maniera fallimentare e nient’affatto
lungimirante). Il debito non deve essere estinto, non è questa la
volontà (nessun economista potrebbe pretendere che un debito enorme come
quello della Grecia possa essere realmente estinto), il debito deve
rimanere vivo, deve tenere l’Europa appesa ad un filo, dipendente dalle
ricette del FMI e dai saccheggi del neoliberismo e dei loro sicari. Il
panorama, insomma, è senz’altro buio e le vie d’uscita percorribili non
sono molte, nessuno conosce le ricette, ma ciò che è certo è che se ci
si vuole salvare lo si deve fare in modo unitario e con un progetto
comune, singole iniziative paiono destinate a fallire, nonostante la
situazione ungherese meriti di essere tenuta d’occhio. In questo
contesto, fondamentale, per quanto riguarda il nostro paese, è
scrollarsi di dosso vecchi schemi utili solo a separare e a mantenere lo
status quo, è necessario abbandonare i vecchi concetti di destra e di
sinistra, definizioni che paiono sempre più vuote di significato, visto
che i rispettivi partiti e elettori si fondono in un unica struttura che
solidifica e giustifica i saccheggi attuali e il neoliberismo
distruttivo, proposto come un “male necessario”, come un inevitabilità,
come un dolore da sopportare, perchè “siamo pigri”, siamo “maiali”
(PIIGS), perché “è colpa nostra”, fandonie propugnateci dalla stretta
mediatica, e solo in parte veritiere. I partiti estremi rimangono
anch’essi relegati a schemi vecchi e oramai incomprensibili e
inapplicabili, l’estrema sinistra va avanti a lampi, tra l’altro sempre
più rari, così si finiscono per appoggiare guerre fratricide e politiche
insensate e masochiste, la sinistra, in Italia erede della grande
macchina politica del PCI, ha ormai assunto come totem insostituibile il
neoliberismo e la partnership con gli Stati Uniti (per gli amici:
“sub-dominanza”), e in questo momento prosegue la mattanza ai danni
degli strati sociali meno abbienti e a danno di ciò che rimaneva della
produzione statale e dello Stato sociale. Serve un ricambio
generazionale, una classe dirigente che sia in grado di riprendere in
mano le redini di ciò che rimane del settore statale e industriale, in
questo momento in fase di smantellamento. Ma per far questo, per evitare
che ciò accada in maniera teleguidata – come in passato, occorre prima
di tutto togliersi di dosso il guinzaglio (un guinzaglio materialmente
composto da ben 113 basi militari e da vari esecutori di cui i nomi sono
fin troppo evidenti per ripeterli ancora). Occorre dunque un’alleanza
che salti le “normali” dualità, le contrapposizioni, occorre raccogliere
gli scontenti che provengono da sempre più numerose classi sociali. In
Italia, di recente, cominciano ad aizzarsi vari focolai spontanei
(seppur non esenti da infiltrazioni) che in maniera apartitica cercano
di cambiare le carte in tavola, occultati e isolati dai media nazionali e
dalle classi politiche, è il caso del Movimento dei Forconi,
casualmente prima occultato e poi avversato dai media nostrani. Ma la
stessa cosa accade in maniera incensurabile in Grecia, dove è in corso
una rivolta che per ora rimane, a prima vista, spontanea, seppur
apparentemente priva di prospettive strategiche. Qualche giorno fa a
Bruxelles i Vigili del Fuoco hanno manifestato il proprio disappunto per
i nuovi tagli, inondando le strade della città, epicentro dell’Unione
Europea. Le proteste proseguono, montano, ma in modo disorganizzato e
senza progetti politici a lungo termine. Appare ora più che mai
necessario dunque un ricambio delle generazioni politiche, solo
conseguente però (non può essere altrimenti) ad una conseguita sovranità
nazionale, senza la quale ogni progetto economico o politico è
destinato ad infrangersi contro il muro padronale. Il ricambio deve
avvenire in maniera autonoma e spontanea; non appare al momento altra
soluzione, e ovviamente nessuno ha la ricetta in tasca, ma di certo il
sistema attuale sta andando in cancrena, sta crollando a pezzi e vuole
trascinarci nel baratro, salvando i pochi sicari che rimarranno in
piedi. A questo punto, proseguendo a tentoni nel buio, tanto vale
sondare ogni strada realisticamente perseguibile per una via d’uscita.
da Stato Potenza
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