Nella Giornata internazionale
della donna la doverosa riflessione in merito alla questione femminile non può
prescindere e non cominciare dalle necessarie considerazioni sul senso
originale di questa ricorrenza. L’evento infatti, è stato spesso vittima di
opere di revisionismo storico, che ne hanno alterato l’origine e con essa il
significato e il valore. Sfatiamo qualche mito: non c’è stato nessun rogo e
nessuna donna è morta in nessuna fabbrica nessun 8 marzo o giù di lì; tanto
meno si è mai sentito il bisogno per le donne di avere diritto ad un altro san
Valentino con annessi ammennicoli e smancerie. Queste speculazioni politiche ed
economiche sviliscono il senso della festa e avviliscono ancor di più la realtà
femminile. Infatti la festa della donna, nasce come giornata di rivendicazione
sociale e politica dei propri diritti di essere umano, donna e cittadina, per
iniziativa della Seconda Internazionale, in particolare di donne e uomini del
calibro di Rosa Luxemburg e Vladimir Lenin, che nel 1907 approvarono una
risoluzione che impegnava tutte le forze politiche aderenti a lottare per
l’emancipazione femminile, specie in termini di suffragio. Per questa ragione
venne istituito l’evento, che si festeggiava annualmente verso marzo ma senza
una data fissa, finché l’8 marzo 1917 le donne russe non scesero in piazza per
queste ed altre rivendicazioni; riuscirono a trascinare la folla e allora gli
eventi presero una piega inaspettata: scoppiò la rivoluzione di febbraio, così
nota per via del calendario giuliano allora in uso in Russia. Vista
l’importanza che l’evento ha avuto storicamente, avendo gettato le premesse per
la definitiva rivoluzione russa di ottobre dello stesso anno, si decise di lì
in poi di festeggiare la Giornata internazionale della donna proprio l’8 marzo,
fissando così la data che è giunta fino ai nostri giorni.
Premesso ciò, come possono
prescindere i festeggiamenti dalla natura della festa? E’ evidente che senza
un’attenta analisi della questione di genere e della condizione femminile nella
nostra realtà i festeggiamenti oggi non potremmo e non dovremmo nemmeno
portarli avanti, a meno di umiliare il passato storico e l’effettività dell’evento,
sotto il segno di un’inammissibile falsificazione storica o di un’inaccettabile
commercializzazione. Recuperare il senso intrinseco è complicato, specie se si
considera che il movimento femminista non gode di certo della stesse
prerogative e dello stesso seguito che aveva nel 1917 o negli anni ’70; ma possiamo
capire cos’è necessario fare se analizziamo i fatti a cui abbiamo assistito
recentissimamente: dalla Spagna si sono diffuse a macchia d’olio in tutta
Europa le contestazioni per la legge antiabortista promossa dal ministro della
giustizia spagnolo Gallardòn. La legge infatti, impedirebbe alle donne il
libero ricorso all’aborto, negando loro la facoltà di rinunciare alla
gravidanza, limitandolo di fatti ai soli casi di rischio per l’incolumità
fisica e psichica delle stesse. E’ evidente già che la legge opera una
costrizione nei confronti delle donne, minacciando infatti la libertà di
scegliere per sé e il diritto all’autodeterminazione; ma si coglie ancora di
più l’effetto coercitivo se si considera che la rinuncia alla gravidanza
avviene spesso per impossibilità economica di crescere una vita, costringendo
le donne o al disagio economico o a ricorrere all’aborto clandestino, spesso
con gravissime conseguenze. Il quadro è reso ancora meno idilliaco dalla
legislazione attualmente vigente nei paesi europei, che fa di per sé già
abbastanza pena; in Italia per esempio, l’obiezione di coscienza è un diritto
del medico e lo smantellamento dei servizi è la parola d’ordine dei precetti
neoliberisti, seguiti da tutti i governi recenti incluso quello attuale: in
sostanza la salute, l’incolumità, l’integrità, la formazione, la soggettività,
la libertà, l’autodeterminazione della donna devono fare i conti prima con la
mancanza di fondi per gli apparati assistenziali, la reperibilità del supporto
medico e dei sistemi contraccettivi, la scarsità degli enti formativi per una
sana educazione sessuale; e poi con le opinioni personali dei medici.
Semplicemente allora, le leggi non riescono a garantire i diritti delle donne;
anzi, piuttosto lasciano un largo margine alle invasioni di campo delle
istituzioni statali e religiose. Quando allora l’attacco viene rivolto da chi
dovrebbe garantire per essa al cuore della legislazione, rinquadrando il ruolo
della donna in vecchie categorie reazionarie e retrograde, sconnettendo la
persona dal proprio essere cittadina e in possesso del diritto di
autodeterminarsi, è evidente che viene meno lo stato di diritti, e con esso la
libertà della donna, resuscitando il mostro di una società classista basata sui
vecchi stereotipi maschilisti.
E sì, perché la società è il
prodotto della realtà materiale, della quale essa rappresenta l’essenza. Il
divario tra ricchi e poveri, tra aventi diritto alla realizzazione e non, tra
chi è in e chi è out, tra chi può e chi non può, tra servo e padrone è un
divario prodotto dalle disparità che il modello capitalistico produce. E allora
le tradizionali gerarchie sociali tornano in vigore, specie nella realtà di
genere, riassoggettando la donna all’autorità maschile; rilanciando il modello
retrogrado di società patriarcale; promuovendo codici di comportamento e norme
etiche di stampo reazionario e antiprogressista; fossilizzando i rapporti tra i
sessi in vecchi stampi che non riflettono il grado di emancipazione sociale
raggiunto con anni di lotte; accentuando la disparità di genere, la
disuguaglianza sociale, la discriminazione verso i più deboli; esaltando
stereotipi machisti e miti di virilismo, con il solo effetto di generare una
società perversa e violenta.
Emerge chiaramente un quadro
sociale egemonizzato dal potentato di turno. Se nel quadro descritto si
considera la consolidata propensione del genere maschile agli atteggiamenti aggressivi
e possessivi nei confronti della donna, non sorprende che essa sia vittima di
una violenza totale di ogni genere; violenza di genere! E allora esplodono i
casi di aggressione, stalking, femminicidio; la reazione comune varia dallo
sbigottimento al rifiuto estetico. Oltre non si va, perché un’analisi seria
delle cause non la si fa. Diversamente si capirebbe che essa affonda le sue
radici nella nostra quotidianità e ha dei responsabili precisi e delle colpe
profonde; per cui le responsabilità non sono da imputarsi semplicisticamente al
solo violento di turno, ma a tutta la società. Si capirebbe insomma che la
violenza si verifica ogni qual volta qualcuno si renda in un modo o nell’altro responsabile
della compromissione delle garanzie dignitarie di un essere umano; e le vittime
di questa aggressione sono specialmente le donne! Allora la violenza di genere
non è esclusivamente fisica: è violenza di genere negare l’aborto; è violenza
di genere relegare la donna al ruolo esclusivo di madre; è violenza di genere
smantellare le garanzie sociali; è violenza di genere deregolamentare il
mercato del lavoro; è violenza di genere accettare con passività un modello di
società sessista; è violenza di genere non confrontarsi lealmente tra i sessi;
è violenza di genere non rimettere in discussione se stessi e combattere il
modello capitalistico della società.
Allora la questione è molto
più vasta e complicata di come ingenuamente la fanno apparire quelle campagne
di sensibilizzazione, una più squallida dell’altra, dove si vedono quei
maschioni tatuati e famosi che banalizzano il problema senza mai farne un’analisi
accurata dell’identità e delle radici. Non è promuovendo il modello di maschio
forte e bruto, virile e protettivo, che si risolve il dramma delle donne troppo
spesso perseguitate e uccise da uomini altrettanto bruti e violenti. Infatti il
numero di donne vittime di violenza è in aumento anno per anno, assieme alle
campagne contro; allora è evidente che la soluzione alla violenza non può
essere altra violenza, “buonista” che voglia apparire; e soprattutto non è
promuovendo questa sorta di atteggiamenti da parte degli uomini che si riesce a
comprendere davvero il problema della violenza di genere e tantomeno a
risolverlo. E’ necessario invece, riconsiderare il rapporto tra i sessi: queste
manifestazioni di “maschilismo benevolo” altro non sono che il campanello
d’allarme di un problema direttamente figlio della discriminazione di genere della
società patriarcale: l’incapacità maschile di accettare l’idea che la donna decida
autonomamente la propria identità e il proprio ruolo. Perciò questo le viene impedito
e allora il “primo sesso” attribuisce al “secondo” l’essenza individuale e
sociale che gli fa comodo! La donna è angelo, è principessa, è idealizzata, è responsabile
delle faccende domestiche, è debole, è da proteggere, è un giocattolo, è un
mero oggetto sessuale, è qualcosa di cui disporre quando se ne ha voglia;
spesso è tutte queste cose messe assieme e chi più ne ha più ne metta. Ma non
sarà mai indipendente, autonoma, responsabile e capace di decidere per sé,
padrona del proprio corpo, autocreatrice della propria identità, assolutamente
libera.
Allora è quest’ordine di idee
che va assolutamente rovesciato! Bisogna che i maschi ripudino i loro
“privilegi” e si riconsiderino per il loro bene e della società tutta; soprattutto
che allo stesso modo le femmine facciano autocoscienza e si rendano conto che
non è normale e non devono accettare il ruolo a cui sono state relegate; bisogna
che questa battaglia reciproca si porti avanti con convinzione e determinazione
a ribaltare l’ordine sociale attuale; e che essa si faccia promotrice di un
nuovo modo di relazionarsi e rapportarsi tra i sessi, giustamente paritario,
finalmente sano, assolutamente rivoluzionario! In tal senso io intendo il
femminismo, e lo intendo come mezzo per il cambiamento della società, dei suoi
apparati e dei suoi modelli economici e sociali. E voi tutte e voi tutti dovete
fare la vostra parte! Cominciamo dunque, dal ridare alla Giornata
internazionale della donna il suo significato originale, ripudiando quelle
squallide manifestazioni di circostanziale perbenismo buonista e maschilista,
evidenziando le contraddizioni della nostra realtà malata, al fine di dare vita
ad una nuova società equa e paritaria. Tutt* alla lotta!
Giacomo Katanga
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