«Dobbiamo lasciare che le banche falliscano, non possiamo essere i
responsabili delle malversazioni dei privati».Queste le parole del
presidente Ragnar Grímsson al World economic forum di Davos, dritte
nel cuore di una piaga che affligge tutto il mondo e che da noi si è
manifesta con la vicenda del Monte Paschi: le demenziali normative che
impongono agli stati di intervenire col denaro pubblico per coprire in
tutto o in parte le perdite di aziende di credito private, anzi
privatissime. L’Islanda è reduce da una vittoria davanti alla corte
dell’Efta (European free trade agreement): non dovrà pagare tutto il
debito fatto dalle sue banche, ma solo la parte già sborsata che
corrisponde alla garanzia in essere al momento del crack di Landsbanki.
Non si tratta dunque di un ripudio del debito come molti scrivono, ma
certamente di una resistenza che alla fine ha salvato l’isola dal dover
pagare una cifra che l’avrebbe distrutta economicamente.
Dunque le parole di
Grimsson hanno un peso tutto speciale dentro la messa di rito
finanziario che viene celebrata sulle Alpi svizzere e sembrano
annunciare un giro di boa rispetto a meccanismi che si sono creati nel
tempo, non solo ingiusti, ma anche perversi perché deresponsabilizzano
le banche e le inducono alla speculazione più selvaggia. E
deresponsabilizzano anche i correntisti e i clienti che non sono
coinvolti nel rischio della scelta di un istituto di credito piuttosto
che un altro. Anche questo è un meccanismo della speculazione che si
autoalimenta e del potere finanziario che bestemmia il dio mercato
quando occorre.
La cosa curiosa è
che dopo averci appestato per decenni con l’esaltazione dell’iniziativa
privata, dell’impresa, del mercato, del rischio, scopriamo – sulla
nostra pelle in modo diretto, ma soprattutto indiretto – che nel cuore
della società liberista esiste un porto franco dove tutto questo è
valido finché va tutto bene, finché la spremitura riesce a sostenere la
speculazione, ma che viene improvvisamente negato quando i pasticci
vengono a galla. A quel punto l’inefficiente Stato sfruttato e deriso,
da ridurre in ogni caso ai minimi termini, diventa il garante
universale, il salvagente, il soggetto che moralmente e politicamente ha
il dovere di salvare dalla rovina tanti cittadini. Dico che è una cosa
curiosa perché da una parte si vorrebbe ridurre lo stato in quanto
garante della cittadinanza e dell’idea di diritto opposta a quella di
mercato, per poi riesumarlo quando il privato fallisce.
E’ del tutto
evidente che questa situazione di fatto, questo assetto incoerente con
le stesse teorie economiche nelle quali si abbevera, non è che l’effetto
di una pressione politica esercitata negli anni dai poteri finanziari e
che si è tradotta in leggi corrive, in accordi internazionali, in
normative e prassi tutte favorevoli alla speculazione e a quel profitto
illimitato che pochissime persone possono ricavare da una simile
condizione di privilegio e di irresponsabilità. E’ ora che il pubblico
torni ad essere il motore attorno a cui si organizzano anche i rapporti
finanziari, cominciando col negare reti di protezione e paracadute che
tutti i cittadini devono pagare. E’ davvero assurdo che uno si debba
assicurare per avere una pensione o l’assistenza sanitaria, ma non pensi
nemmeno di assicurarsi come correntista e cliente di una banca: quasi
che il welfare si sia ridotto ad essere di supporto alle attività
speculative private.
Tutto questo finora
è stato possibile grazie alla progressiva subalternità della politica
ai poteri economici grazie alle generose mance distribuite e soprattutto
alla perdita di idee e di partecipazione che hanno coinvolto le società
del mondo sviluppato, sempre più a responsabilità limitata. Se
volessimo guardare bene dentro il pasticcio del Monte dei Paschi di
Siena, scopriremmo che non era il Pd a guidare la banca, ma la banca a
guidare il Pd e a indurlo a non contestare, cambiare, elaborare
evoluzioni di uno status quo enormemente favorevole ai poteri economici e
alle loro logiche. Per questo la rivolta dell’Islanda, ancorché non sia
stata una rottura radicale con “il sistema” del liberismo reale, è
l’inizio di un cambiamento, il segnale che il pendolo sta invertendo la
sua direzione. E non a caso il giro di boa prende le mosse da un
piccolo Paese dove fare comunità non è difficile come altrove dove le
persone sono state “atomizzate”. Anche questo è qualcosa di cui fare
tesoro.
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