27 Ottobre 2012 a Roma. Pugni al cielo,
bandiere rosse, giovani che ballavano e gli altri che cantavano.
A fianco, avevo un signore anziano,
seguiva con fatica la folla. Ci siamo guardati mi ha detto -SO
STANCO, MA MAGARI A MORÌ ADESSO-. Gli ho sorriso e lui ha
proseguito -MEGLIO MORÌ DAVANTI A TUTTE STE BANDIERE ROSSE CHE
DAVANTI A LA TELVISIONE-.
Eravamo in tanti, non sono così
demente da pensare che c'era il meglio dell'Italia, di certo
un'Italia diversa, consapevole e, se permettete, mai banale, in ogni
coro, in ogni discorso colto tra disoccupati, operai e intellettuali.
Una sorta di connubio sociale da far
impallidire i massoni di turno e i politici perversi che vendono
fumo, rimuovono il passato, pur di ottenere privilegi.
Sarebbe di cattivo gusto dire che la
pioggia si è fermata per tutto il tempo e che il sole rifioriva di
tanto in tanto per riscaldarci, forse perché non c'erano bandiere
del Pd, Sel et co, per cui eviterò di scriverlo.
Per carità, alla fine ho pronunciato
una frase di Gaber, (e non sapete quanto sia fastidioso per me, non
averla scritta io) -anche per oggi non si vola-, e per quel vedo, non
volerò domani, ma se la rivoluzione è un sogno, almeno ieri ho
sognato insieme a 150 mila compagni.
Non è molto, ma fino a ieri credevo ci
fosse apatia, abulia e tutti quegli aggettivi che ornano la
passività, quello che tutti i governi fascisti sognano.
Nel paese degli stolti, solitamente, i
falsi fanno fortuna e noi lo sappiamo, lo viviamo ogni giorno sulla
nostra pelle, accettiamo compromessi con la realtà, al punto che il
dissenso e la voglia di lottare sono diventati optional.
Forse non saremo mai dei guerrieri, ma
se tutte quelle bandiere rosse viste ieri si unissero in sol grido,
smetteremmo di aver paura, o, forse, non siamo così disperati visto
che accettiamo siano altri a dividerci e accettiamo patti con
diavolo.
Infine un grazie ai giovani comunisti,
solitamente quelli come me, più vicino ai 50 che ai 40, son soliti
mostrare ricordi e flash di un passato di cui siamo orgogliosi, fino
al punto da non ammettere che, se si è arrivati a questo punto,
abbiamo, anche noi, delle colpe.
(Antonio Recanatini)
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