domenica 28 ottobre 2012

Un giorno con i compagni


27 Ottobre 2012 a Roma. Pugni al cielo, bandiere rosse, giovani che ballavano e gli altri che cantavano.
A fianco, avevo un signore anziano, seguiva con fatica la folla. Ci siamo guardati mi ha detto -SO STANCO, MA MAGARI A MORÌ ADESSO-. Gli ho sorriso e lui ha proseguito -MEGLIO MORÌ DAVANTI A TUTTE STE BANDIERE ROSSE CHE DAVANTI A LA TELVISIONE-.
Eravamo in tanti, non sono così demente da pensare che c'era il meglio dell'Italia, di certo un'Italia diversa, consapevole e, se permettete, mai banale, in ogni coro, in ogni discorso colto tra disoccupati, operai e intellettuali.
Una sorta di connubio sociale da far impallidire i massoni di turno e i politici perversi che vendono fumo, rimuovono il passato, pur di ottenere privilegi.
Sarebbe di cattivo gusto dire che la pioggia si è fermata per tutto il tempo e che il sole rifioriva di tanto in tanto per riscaldarci, forse perché non c'erano bandiere del Pd, Sel et co, per cui eviterò di scriverlo.
Per carità, alla fine ho pronunciato una frase di Gaber, (e non sapete quanto sia fastidioso per me, non averla scritta io) -anche per oggi non si vola-, e per quel vedo, non volerò domani, ma se la rivoluzione è un sogno, almeno ieri ho sognato insieme a 150 mila compagni.
Non è molto, ma fino a ieri credevo ci fosse apatia, abulia e tutti quegli aggettivi che ornano la passività, quello che tutti i governi fascisti sognano.
Nel paese degli stolti, solitamente, i falsi fanno fortuna e noi lo sappiamo, lo viviamo ogni giorno sulla nostra pelle, accettiamo compromessi con la realtà, al punto che il dissenso e la voglia di lottare sono diventati optional.
Forse non saremo mai dei guerrieri, ma se tutte quelle bandiere rosse viste ieri si unissero in sol grido, smetteremmo di aver paura, o, forse, non siamo così disperati visto che accettiamo siano altri a dividerci e accettiamo patti con diavolo.
Infine un grazie ai giovani comunisti, solitamente quelli come me, più vicino ai 50 che ai 40, son soliti mostrare ricordi e flash di un passato di cui siamo orgogliosi, fino al punto da non ammettere che, se si è arrivati a questo punto, abbiamo, anche noi, delle colpe.
(Antonio Recanatini)



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