Non
è mai fuori tempo parlare di un artista, di un teatrante, di un uomo che seppe
congiungere e non mescolare, la poesia alla
comicità, la comicità alla poesia. Se sei giovane, chiedi a tuo padre di
Massimo Troisi, sicuramente ti risponderà sorridendo. A quel tempo molti sogni
parevano ancora possibili, noi di quella generazione avevamo la fortuna di
poter ammirare un nuovo Pulcinella in
prima serata. Entrava nelle case dalla
tv e il silenzio intorno sembrava infinito.
Al
primo cenno, si sentiva qualcuno ridacchiare, il riso si propagava e
accompagnava ogni mossa, ogni parola di Troisi. Il teatro, il cabaret, il
cinema, la tv e la poesia, ovunque cospargeva talento, arte e la napoletanità,
mai troppo decantata e mai tralasciata.
La
vita, i modi, l’eleganza, l’ironia di quel comico nato a San Giorgio a Cremano,
le sue prime uscite con La Smorfia, insieme a Lello Arena e Enzo Decaro
rimarranno per sempre impresse a chi,
come me, sognava un mondo migliore e, intanto, rideva di cuore, proprio quel cuore che lo tradì da giovane.
Se
sei giovane, chiedi a tuo padre di Massimo Trosi, si fermerà a pensare a quel
mondo così diverso, a quella maschera blasfema, ma mai offensiva, a quel
disprezzo artistico verso la borghesia,
accompagnato dalla risata collettiva. “Troisi che ne pensi del terremoto in
Campania?”
“Picchè
tu i visti mai nu terremoto a Montecarle?”
A
lui serviva poco, gli bastava aprire l’album dei ricordi per trovare il volo da
offrire a quell’Italia, non senza il rispetto dovuto per la rabbia dell’uomo
qualunque. Il suo “dialogo con dio”, la scanzonata anima da ribelle, l’innato
senso dell’umorismo e la pausa come momento folgorante, dipinsero di bei colori
l’entusiasmo e l’ambizione di noi fuori dal coro.
“Gli
americani per aiutare il cinema, fanni li guerre e quande ni fanne li
invendine, come guerre stellari; tenne
pure o presidente ch’ere n’attore:
Reagan”.
Se
sei giovane, chiedi a tua madre di Massimo Troisi, avrà un sussulto, perché
ricorderà dei dialoghi tra il postino e
Pablo Neruda, la poesia e la grandezza di un mito, mai troppo fuori
dagli schemi perché seguiva la sua direzione e colpiva duramente l’anima del sistema.
A
volte mi sembra di esagerare quando parlo di lui, ma non ricordo persone che
l’abbiano denigrato. A quel tempo dalle
mie parti, ogni estate veniva una
famiglia napoletana in vacanza. Entrarono
subito nelle abitudini del posto, subito si conquistarono la simpatia di tutto
il quartiere. Un’estate dei miei 13 anni, un giornalino pubblicò parecchi miei
lavori, di cui un po’ mi vergogno ancora oggi.
A parte il misero successo tra gli
amici, potevo contare sul consenso di questa famiglia napoletana, anzi
del padre di Nicola, Augusto. Un giorno afoso di tanti anni fa, mi fece un
appunto “ma hai scritto mai una poesia per Massimo Troisi?”
Mi piacque subito l’idea, ma non credevo
d’essere all’altezza. Ogni volta che tornavano in vacanza, Augusto mi chiedeva
“ma hai scritto la poesia per Troisi?” e
ogni volta inventavo una scusa.
L’anno
dopo la sua morte, finalmente la scrissi. Era il 1995, ma quell’estate la famiglia napoletana non venne, per motivi da
tenere in un cassetto, infatti anche la poesia finì in un cassetto.
Ho
immaginato Trosi, con quella calzamaglia nera a parlare con gli altri defunti,
in un giardino immaginario delle sue parti.
Il
battito del tempo malato
Una
volta pensavo al tempo,
al
tempo che poteva fuggirmi di mano
e
avevo paura, ora no, temo l’arresto.
Sapevo di dover bruciare le tappe e godermi poco.
Non
conoscevo le bandiere del mondo e
non c’erano troppe panchine qui,
sorridevo
alla vita ovunque fossi.
C’era un tempo in cui ero felice,
un
tempo non conoscevo la fine,
ovunque
fossi.
Guardate
che mi sto forzando a parlare italiano,
io
non dovrei conoscere sta lingua vostra!
Pensavo a come è strano,
saper
d’esser stati parcheggiati al mondo,
che
tutto era stato deciso, prima che
potessi scegliere.
Ho
imparato a sorridere,
perché
mi gratificava, non il mio,
ma
quello che riuscivo a strappare.
La
vita mi ha reso strano, volevo fare il poeta e
mi
sono ritrovato comico e Napoletano.
Sono nato pigro e nel tempo son peggiorato,
non
ho mai denunciato chi mi derubava
quel
che avevo apparteneva agli altri.
Non
sono stato come gli altri giullari
Non
sapevo cantare, a memoria ricordavo solo i nomi,
alla
fine è stato il tempo a decidere tutto.
Ad
un tratto la favola è finita e
Tutti i napoletani so tornati bastardi,
io
non posso difenderli da qui,
“sapreì
bene cosà ricere io a chisti”.
No,
non tengo più rancore,
si
muore per riposare, nun ppe fa’ atre guerrè.
Ma
se è risorto Cristo,
pecché
nun dovrébbe risorger
Massimo
Troisi?
(Antonio Recanatini)
(Antonio Recanatini)
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