Che raccolta difficile La Bufera e Altro
Mi stupisce sempre la leggerezza con cui i giovani trattano Montale... è un altro di cui si parla troppo e male, anche a causa dei programmi scolastici, ma soprattutto a causa della generazione di poeti a lui successiva (dalla quale seppe anche apprendere una nuova modalità espressiva), che lo consacrò nel santino dell'esistenzialismo europeo. A Montale non interessavano di certo le categorie e, da poeta antiaccademico qual'era, minimizzava o banalizzava sempre le sue opere. Poi era molto ironico, appartato, diffidente, spigoloso. Culturalmente, però, ci è stato consegnato così: come il simbolo dell'autodeterminazione laica, dello spirito libero che, indifferente, canta con tono sommesso lo smarrimento dell'uomo contemporaneo, che scorge il mondo dalla feritoia del privato, e altre sciocchezze simili, che vengono più o meno dette per ogni poeta o scrittore del Novecento. Sulla Bufera vorrei dire molte cose, ma ho paura di perdermi, perché è una raccolta magmatica e bisognerebbe lavorare su più campi, riconducendoli a un'unità concettuale, quella della catabasi nichilistica. Lo sfondo è la seconda guerra mondiale: Montale sonda la Morte del concetto di storia, diviene cantore del differire da sé, il divenire lo domina, annientandolo (questa è la vera guerra, come per l'Ungaretti dell'Allegria). Siamo in presenza di un inconscio teoretico che Montale rappresenta nella poesia; non lo può concettualizzare, né analizzare, perché è poeta, non filosofo. Ma l'occhio del poeta guarda questo entroterra, non guarda la superficie del movimento esistenziale. E questo fa di un poeta un grande poeta, per quanto mi riguarda: rilevare il principio (in questo serve l'aiuto della filosofia però), non basta parlare di ciò che discende come manifestazione da tale principio, altrimenti è inutile sperare di accedere all'univerale. Che poi il Novecento rivendichi l'assolutezza del particolare, prima, e la caduta titanica, poi, è un problema serio, che andrà affrontato, per capire soprattutto che il Romanticismo non termina con l'Ottocento. Montale, come Rebora, come Ungaretti, nel Novecento è tra i pochi che abbia questa competenza: lo fa capire molto bene fin dagli Ossi di Seppia, quando affida alla sua Poesia il compito di comunicare "la stortura di una leva che arresta l'ordegno universale". E poi nella Bufera abbiamo due donne angelicate, che curano il fantoccio del poeta, abbiamo la Poesia Gli Orecchini, che Gennaro Sasso ritiene un autentico manifesto filosofico (cfr. Il Logo e la Morte). Sconvolge questo aspetto: due donne e nessuna di queste è Drusilla Tanzi (riflettere, prego, quando leggerete l'opera). E poi abbiamo il termine "potere", che ricorre spesso, ci facevo caso oggi. Ma potere non è un termine casuale: è la categoria del politico, che argina la violenza della contraddizione. Ma l'arbitrio del potere ha condotto alla fine della storia e i visiting angels di Montale signoreggiano sulla sua anima, esercitando un potere. Dopo questa raccolta, Montale cadrà in un silenzio poetico di 6 anni e solo nel 1970 verrà pubblicata la raccolta che inaugura la nuova stagione (Satura). Dal '70 in poi Montale parlerà come cadavere e su ciò potremo svolgere altre importanti riflessioni. E' bello vivere, se si può comprendere la grandezza di questi geni della letteratura mondiale.
Buon lavoro a chi studia Montale.
Serenata indiana
E’ pur nostro il disfarsi delle sere.
E per noi è la stria che dal mare
sale al parco e ferisce gli aloè.
Puoi condurmi per mano, se tu fingi
di crederti con me, se ho la follia
di seguirti lontano e ciò che stringi,
ciò che dici, m’appare in tuo potere.
Fosse tua vita quella che mi tiene sulle soglie
e potrei prestarti un volto,
vaneggiarti figura. Ma non è,
non è così. Il polipo che insinua
tentacoli d’inchiostro tra gli scogli
può servirsi di te.Tu gli appartieni
e non lo sai. Sei lui, ti credi te.
Eugenio Montale, La Bufera e Altro (1956).
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