venerdì 7 marzo 2014

IL FEMMINISMO COME CAMBIAMENTO DELLA SOCIETA’

Nella Giornata internazionale della donna la doverosa riflessione in merito alla questione femminile non può prescindere e non cominciare dalle necessarie considerazioni sul senso originale di questa ricorrenza. L’evento infatti, è stato spesso vittima di opere di revisionismo storico, che ne hanno alterato l’origine e con essa il significato e il valore. Sfatiamo qualche mito: non c’è stato nessun rogo e nessuna donna è morta in nessuna fabbrica nessun 8 marzo o giù di lì; tanto meno si è mai sentito il bisogno per le donne di avere diritto ad un altro san Valentino con annessi ammennicoli e smancerie. Queste speculazioni politiche ed economiche sviliscono il senso della festa e avviliscono ancor di più la realtà femminile. Infatti la festa della donna, nasce come giornata di rivendicazione sociale e politica dei propri diritti di essere umano, donna e cittadina, per iniziativa della Seconda Internazionale, in particolare di donne e uomini del calibro di Rosa Luxemburg e Vladimir Lenin, che nel 1907 approvarono una risoluzione che impegnava tutte le forze politiche aderenti a lottare per l’emancipazione femminile, specie in termini di suffragio. Per questa ragione venne istituito l’evento, che si festeggiava annualmente verso marzo ma senza una data fissa, finché l’8 marzo 1917 le donne russe non scesero in piazza per queste ed altre rivendicazioni; riuscirono a trascinare la folla e allora gli eventi presero una piega inaspettata: scoppiò la rivoluzione di febbraio, così nota per via del calendario giuliano allora in uso in Russia. Vista l’importanza che l’evento ha avuto storicamente, avendo gettato le premesse per la definitiva rivoluzione russa di ottobre dello stesso anno, si decise di lì in poi di festeggiare la Giornata internazionale della donna proprio l’8 marzo, fissando così la data che è giunta fino ai nostri giorni.

Premesso ciò, come possono prescindere i festeggiamenti dalla natura della festa? E’ evidente che senza un’attenta analisi della questione di genere e della condizione femminile nella nostra realtà i festeggiamenti oggi non potremmo e non dovremmo nemmeno portarli avanti, a meno di umiliare il passato storico e l’effettività dell’evento, sotto il segno di un’inammissibile falsificazione storica o di un’inaccettabile commercializzazione. Recuperare il senso intrinseco è complicato, specie se si considera che il movimento femminista non gode di certo della stesse prerogative e dello stesso seguito che aveva nel 1917 o negli anni ’70; ma possiamo capire cos’è necessario fare se analizziamo i fatti a cui abbiamo assistito recentissimamente: dalla Spagna si sono diffuse a macchia d’olio in tutta Europa le contestazioni per la legge antiabortista promossa dal ministro della giustizia spagnolo Gallardòn. La legge infatti, impedirebbe alle donne il libero ricorso all’aborto, negando loro la facoltà di rinunciare alla gravidanza, limitandolo di fatti ai soli casi di rischio per l’incolumità fisica e psichica delle stesse. E’ evidente già che la legge opera una costrizione nei confronti delle donne, minacciando infatti la libertà di scegliere per sé e il diritto all’autodeterminazione; ma si coglie ancora di più l’effetto coercitivo se si considera che la rinuncia alla gravidanza avviene spesso per impossibilità economica di crescere una vita, costringendo le donne o al disagio economico o a ricorrere all’aborto clandestino, spesso con gravissime conseguenze. Il quadro è reso ancora meno idilliaco dalla legislazione attualmente vigente nei paesi europei, che fa di per sé già abbastanza pena; in Italia per esempio, l’obiezione di coscienza è un diritto del medico e lo smantellamento dei servizi è la parola d’ordine dei precetti neoliberisti, seguiti da tutti i governi recenti incluso quello attuale: in sostanza la salute, l’incolumità, l’integrità, la formazione, la soggettività, la libertà, l’autodeterminazione della donna devono fare i conti prima con la mancanza di fondi per gli apparati assistenziali, la reperibilità del supporto medico e dei sistemi contraccettivi, la scarsità degli enti formativi per una sana educazione sessuale; e poi con le opinioni personali dei medici. Semplicemente allora, le leggi non riescono a garantire i diritti delle donne; anzi, piuttosto lasciano un largo margine alle invasioni di campo delle istituzioni statali e religiose. Quando allora l’attacco viene rivolto da chi dovrebbe garantire per essa al cuore della legislazione, rinquadrando il ruolo della donna in vecchie categorie reazionarie e retrograde, sconnettendo la persona dal proprio essere cittadina e in possesso del diritto di autodeterminarsi, è evidente che viene meno lo stato di diritti, e con esso la libertà della donna, resuscitando il mostro di una società classista basata sui vecchi stereotipi maschilisti.

E sì, perché la società è il prodotto della realtà materiale, della quale essa rappresenta l’essenza. Il divario tra ricchi e poveri, tra aventi diritto alla realizzazione e non, tra chi è in e chi è out, tra chi può e chi non può, tra servo e padrone è un divario prodotto dalle disparità che il modello capitalistico produce. E allora le tradizionali gerarchie sociali tornano in vigore, specie nella realtà di genere, riassoggettando la donna all’autorità maschile; rilanciando il modello retrogrado di società patriarcale; promuovendo codici di comportamento e norme etiche di stampo reazionario e antiprogressista; fossilizzando i rapporti tra i sessi in vecchi stampi che non riflettono il grado di emancipazione sociale raggiunto con anni di lotte; accentuando la disparità di genere, la disuguaglianza sociale, la discriminazione verso i più deboli; esaltando stereotipi machisti e miti di virilismo, con il solo effetto di generare una società perversa e violenta.

Emerge chiaramente un quadro sociale egemonizzato dal potentato di turno. Se nel quadro descritto si considera la consolidata propensione del genere maschile agli atteggiamenti aggressivi e possessivi nei confronti della donna, non sorprende che essa sia vittima di una violenza totale di ogni genere; violenza di genere! E allora esplodono i casi di aggressione, stalking, femminicidio; la reazione comune varia dallo sbigottimento al rifiuto estetico. Oltre non si va, perché un’analisi seria delle cause non la si fa. Diversamente si capirebbe che essa affonda le sue radici nella nostra quotidianità e ha dei responsabili precisi e delle colpe profonde; per cui le responsabilità non sono da imputarsi semplicisticamente al solo violento di turno, ma a tutta la società. Si capirebbe insomma che la violenza si verifica ogni qual volta qualcuno si renda in un modo o nell’altro responsabile della compromissione delle garanzie dignitarie di un essere umano; e le vittime di questa aggressione sono specialmente le donne! Allora la violenza di genere non è esclusivamente fisica: è violenza di genere negare l’aborto; è violenza di genere relegare la donna al ruolo esclusivo di madre; è violenza di genere smantellare le garanzie sociali; è violenza di genere deregolamentare il mercato del lavoro; è violenza di genere accettare con passività un modello di società sessista; è violenza di genere non confrontarsi lealmente tra i sessi; è violenza di genere non rimettere in discussione se stessi e combattere il modello capitalistico della società.

Allora la questione è molto più vasta e complicata di come ingenuamente la fanno apparire quelle campagne di sensibilizzazione, una più squallida dell’altra, dove si vedono quei maschioni tatuati e famosi che banalizzano il problema senza mai farne un’analisi accurata dell’identità e delle radici. Non è promuovendo il modello di maschio forte e bruto, virile e protettivo, che si risolve il dramma delle donne troppo spesso perseguitate e uccise da uomini altrettanto bruti e violenti. Infatti il numero di donne vittime di violenza è in aumento anno per anno, assieme alle campagne contro; allora è evidente che la soluzione alla violenza non può essere altra violenza, “buonista” che voglia apparire; e soprattutto non è promuovendo questa sorta di atteggiamenti da parte degli uomini che si riesce a comprendere davvero il problema della violenza di genere e tantomeno a risolverlo. E’ necessario invece, riconsiderare il rapporto tra i sessi: queste manifestazioni di “maschilismo benevolo” altro non sono che il campanello d’allarme di un problema direttamente figlio della discriminazione di genere della società patriarcale: l’incapacità maschile di accettare l’idea che la donna decida autonomamente la propria identità e il proprio ruolo. Perciò questo le viene impedito e allora il “primo sesso” attribuisce al “secondo” l’essenza individuale e sociale che gli fa comodo! La donna è angelo, è principessa, è idealizzata, è responsabile delle faccende domestiche, è debole, è da proteggere, è un giocattolo, è un mero oggetto sessuale, è qualcosa di cui disporre quando se ne ha voglia; spesso è tutte queste cose messe assieme e chi più ne ha più ne metta. Ma non sarà mai indipendente, autonoma, responsabile e capace di decidere per sé, padrona del proprio corpo, autocreatrice della propria identità, assolutamente libera.

Allora è quest’ordine di idee che va assolutamente rovesciato! Bisogna che i maschi ripudino i loro “privilegi” e si riconsiderino per il loro bene e della società tutta; soprattutto che allo stesso modo le femmine facciano autocoscienza e si rendano conto che non è normale e non devono accettare il ruolo a cui sono state relegate; bisogna che questa battaglia reciproca si porti avanti con convinzione e determinazione a ribaltare l’ordine sociale attuale; e che essa si faccia promotrice di un nuovo modo di relazionarsi e rapportarsi tra i sessi, giustamente paritario, finalmente sano, assolutamente rivoluzionario! In tal senso io intendo il femminismo, e lo intendo come mezzo per il cambiamento della società, dei suoi apparati e dei suoi modelli economici e sociali. E voi tutte e voi tutti dovete fare la vostra parte! Cominciamo dunque, dal ridare alla Giornata internazionale della donna il suo significato originale, ripudiando quelle squallide manifestazioni di circostanziale perbenismo buonista e maschilista, evidenziando le contraddizioni della nostra realtà malata, al fine di dare vita ad una nuova società equa e paritaria. Tutt* alla lotta!


Giacomo Katanga