giovedì 31 ottobre 2013

Assedio a Palazzo Chigi: La polizia carica il movimento resiste!!

In occasione della conferenza Stato/Regioni straordinaria dedicata alle politiche abitative, i movimenti per il diritto all'abitare e gli altri soggetti sociali che hanno dato vita alla manifestazione del 19 ottobre e all'accampada a Porta Pia si sono dati appuntamento questa mattina per "assediare" Palazzo Chigi. All'altezza di via del Tritone la polizia ha caricato il corteo e lanciato lacrimogeni ad altezza d'uoma e anche da un elicottero. Tutto era filato liscio durante le prime ore della mobilitazione, con alcune migliaia di occupanti di case e inquilini degli enti pubblici ed ex pubblici ormai privatizzati e svenduti che avevano dato vita ad un vero e proprio assedio della conferenza, gridando slogan e muovendosi in corteo nelle vie attorno ai palazzi del potere dietro uno striscione che recitava "Una sola grande opera. Casa e reddito per tutti". In piazza tante famiglie con bambini e anche anziani inquilini della case degli enti o di appartamenti sottoposti a sfratto, oltre ad attivisti di varie realtà sociali e dell'Usb. Durante il corteo non sono mancati lanci di petardi e di uova contro i poliziotti schierati a difesa della zona interdetta. Poi verso le 13.10 quando la manifestazione ha tentato di aggirare e superare i cordoni di polizia e i blindati sistemati per bloccare l’accesso alla ‘zona rossa’, in Via del Tritone sono partite alcune cariche e i poliziotti in assetto antisommossa hanno sparato una decina di lacrimogeni. Alle cariche e ai lacrimogeni il corteo non si è disperso nè indietreggiato, ma ha eroicamente resistito. Oltre ai numerosi feriti e intossicati - una donna si è dovuta recare in ospedale per farsi medicare. Polizia e carabinieri hanno realizzato nove fermi ed altri dimostranti sono stati identificati. Alcuni commenti tra i tanti, da Twitter: "Forti con i deboli, zerbini con i potenti"; "Manganellare chi manifesta perché è senza casa è disgustoso. Complimenti alle forze dell'ordine italiane."; "La polizia carica i manifestanti ma @repubblicait teme per l'incolumità dei blindati." Ora il coreo è giunto a Montecitorio. La conferenza è terminata con un risultato scarsissimo dal punto di vista di quelle che erano le istanze richieste dalla piazza nell'ambito dell'emergenza abitativa. L'incontro si è concluso con piccole concessioni (sostegno all'affitto, agevolazioni, ecc) che continuano ad essere soluzioni parziali. La piazza continua ad essere determinata e resiste sotto Montecitorio fino a quando non verranno rilasciate le 9 persone in stato di fermo, presi durante le cariche in via Tritone, quando la polizia ha tentato di fermare la manifestazione che si dirigeva verso Montecitorio Alle 19 arriva la notizia che sono stati tutti rilasciati i 9 compagni fermati di oggi. l'#assedio non si arresta! Si parte si torna insieme. fonte http://osservatoriorepressione.blogspot.it/2013/10/assedio-palazzo-chigi-la-polizia-carica.html?spref=fb

mercoledì 30 ottobre 2013

Grecia. Galera per chi contesta l’Ue

Ci sono leggi - contro l’omofobia, il femminicidio, negazionismi vari ed eventuali - per le quali i buoni, bravi e belli, i paladini dei diritti umani, si battono lancia in resta, colorati e lamentosi, indignati e impegnati. Nel frattempo, tra una indignazione e l’altra e in attesa di nuove leggi inutili quanto dannose, nessuno che trovi un minuto per contestare stavolta l’approvazione di una norma che definire agghiacciante non è eccessivo. Da giovedì 24 ottobre, nel Codice Penale della Grecia sarebbe stato inserito l’articolo 458 a sulle “Violazioni alla normativa Ue”. Nel Paese-laboratorio delle politiche monetarie della Troika si sperimenterà ora anche la contestazione del reato di “antieuropeismo”, anche quello che si oppone alla politica estera comune: “Ogni persona che viola intenzionalmente sanzioni o misure restrittive nei confronti di Stati o enti, organismi o persone fisiche o giuridiche con le decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o di regolamenti comunitari è punito con la reclusione per almeno sei mesi”. La norma prevede anche la reclusione fino a due anni per chi agisce contro le strutture europee, protestando o manifestando dissenso o contrarietà verso le sanzioni, i governi, i rappresentanti dell’Unione Europea. Un altro giro di vite, apparentemente indolore visto che il silenzio su questa norma sui media mainstream è assoluto. Un silenzio voluto, che permetterà di valutare nel laboratorio Grecia una norma da applicare in tutte le “democrazie” del Vecchio Continente una volta che le imminenti elezioni europee avranno sancito l’affermazione dei movimenti euroscettici in crescita di consensi in tutta Europa. fonte http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2013/10/29/grecia-galera-per-chi-contesta-lue-1.html

I danni della globalizzazione

Da Bangkok a San Paolo, da Buenos Aires a Los Angeles o Sydney, moltissimi giovani ascoltano la stessa musica, i bambini guardano gli stessi cartoni animati, le famiglie mangiano, si divertono e fanno acquisti in negozi dei centri commerciali delle stesse catene. Le merci circolano attraverso frontiere nazionali sempre più permeabili. Concetti, religioni e forme di vita sono sempre più vicine grazie ai mezzi di comunicazione e al turismo. Questa globalizzazione è una realtà ambigua. Sono molti i fattori che sembrano portarci a sopprimere quelle barriere culturali che impediscono il riconoscimento della comune dignità degli esseri umani, e ad accettare la diversità di condizione, razza, sesso o cultura. Mai prima d'ora l'umanità ha avuto la possibilità di costruire una comunità mondiale sfaccettata e solidale. D'altra parte, l'indifferenza imperante di fronte agli squilibri sociali sempre crescenti, l'imposizione unilaterale di valori e abitudini da parte di alcune culture, la crisi ecologica e l'esclusione di milioni di esseri umani dai vantaggi dello sviluppo mettono in seria discussione questa mondializzazione. La costituzione di una famiglia umana solidale e fraterna, in queste circostanze, continua ad essere un'utopia. Fonte ilSole24Ore.com

sabato 26 ottobre 2013

Bolivia ed Ecuador, Morales e Correa alleati per la svolta

Presso la città boliviana di Cochabamba, si è svolto un incontro fra Evo Morales e Rafael Correa, i rispettivi presidenti di Bolivia ed Ecuador per tracciare le nuove strategie dell’Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA), l’Unión de Naciones Suramericanas (UNASUR) e la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (CELAC). Alla riunione avrebbe dovuto partecipare anche il Presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, assente per motivi di salute come dichiarato da lui stesso tramite Twitter. Durante l’incontro si sono discusse più questioni e, in particolare, l’ammissione di rivedere la loro permanenza presso l’ONU: secondo quanto dichiarato, nel caso in cui non si provvederà a un futuro cambiamento della sede e in ambito di finanziamenti, allora i due Paesi potrebbero abbandonare l’organizzazione. Già durante le settimane scorse, in occasione della riunione dell’Assemblea Generale dell’ONU, Morales aveva affermato la necessità di rinnovare la principale organizzazione internazionale. Correa e Morales intendono dare un taglio alla politica “imperialista” dell’Occidente che condiziona le organizzazioni internazionali. Correa-e-Morales I presidenti hanno esortato i governi latinoamericani a impegnarsi a rafforzare il socialismo per combattere le disuguaglianze in America Latina causate dal modello neoliberista. Correa ha sostenuto che i popoli latinoamericani debbano compattarsi per contrastare gli abusi subìti dalle grandi potenze, poiché insieme sono “più forti di qualsiasi potere”. Inoltre, egli ha sollevato la possibilità di promuovere un osservatorio internazionale del petrolio in America Latina e nei Caraibi, impegnato soprattutto in ambito d’inquinamento, rispetto dei contratti con le compagnie petrolifere e delle decisioni dell’arbitrato internazionale. Al termine dell’incontro, il Presidente Correa e la delegazione ecuadoriana hanno partecipato nel pomeriggio della stessa giornata a un incontro con i movimenti sociali e dei contadini indigeni di Chimoré, collocata nella provincia di Carrasco (dipartimento di Cochabamba).

Intervista a un transessuale di Rimini

"I più bei ragazzi di Rimini son passati dal mio letto" Quando sei arrivata a Rimini? Sono arrivata in Italia a 19 anni e ho trascorso un po’ di tempo tra Milano e Roma insieme ad alcune amiche brasiliane poi, alla fine del 2004, sono arrivata in Riviera. Prima vivevo nel ravennate ma, per lavoro, ho deciso di trasferirmi a Rimini? Che tipo di lavoro? Mi cercavano per fare animazione nei locali e, in quelle occasioni, ho conosciuto moltissime persone. I primi tempi sono stati duri: quando si accorgevano che ero un transessuale molti mi hanno chiuso le porte in faccia ma, poi, la notizia si è sparsa e sono arrivate molte proposte. Tutte di natura sessuale? Certamente. Ad alcune ho risposto perché, comunque, erano fatte in maniera gentile e non volgare ma, a tante altre, ho chiuso il telefono in faccia perché mi sentivo trattata come un’animale. Alcuni non pensano che sia un essere umano. Ti chiamano al cellulare e parlano solo di soldi e di prestazioni. Altri, oltre al sesso, ti chiedono in anticipo di trovare anche della droga. Queste cose non sono per me. Che genere di “amici” ti frequentano? Ho una bella varietà di persone: dai padri di famiglia ai giovani. Nel mio letto sono passati i più bei ragazzi di Rimini, quelli che puoi incontrare nei locali più alla moda della Riviera. Gente che però, quando magari li incontri al di fuori del mio appartamento, si sente in imbarazzo se li saluti. Penso che chi mi frequenta lo faccia più che altro per spirito di trasgressione e, dopo, sono un fiume in piena di confessioni e recriminazioni sulle proprie mogli o sulle fidanzate. Puoi spiegarti meglio? La maggior parte degli uomini che viene a letto con me, quando tutto è finito cercano intimità e sono pronti a raccontare ogni minimo dettaglio della loro vita privata. Capitano dei ragazzi che, dopo aver litigato con la propria compagna, mi telefonano per venire da me e fare sesso per poi iniziare a parlare dei loro problemi di coppia. Sono diventata un po’ il loro confessore. Quindi non c’è solo un rapporto di sesso? Molti vorrebbero che fosse così anche perché, magari, nella loro testa si fanno meno problemi quando pensano che sono andati a letto con un transessuale. Con altri, dopo un po’, può nascere anche amicizia o addirittura altro anche se, spesso, si sentono in imbarazzo a farsi vedere insieme a me. Ti è mai capitato di innamorarti di qualcuno che ti frequenta? È successo un paio di volte ma, purtroppo, sapevo che erano amori impossibili perché entrambi erano già sposati e con una famiglia. All’inizio erano addirittura disposti a lasciare le mogli e, addirittura, a volermi sposare in qualche modo. Sembravano sinceri e anche io mi sono lasciata andare ma, poi, mi sono resa conto che erano solo belle parole dette in momenti particolare e che non avrebbero portato a nulla. E qualcuno che si è innamorato di te? Capita continuamente soprattutto tra i più giovani. Solo un paio di settimane fa un ragazzo che ho frequentato in un paio di occasioni si è presentato da me con un anello di fidanzamento e mi ha invitato a conoscere i suoi genitori. È molto bello, simpatico e con lui mi trovo bene ma, purtroppo, non nutro i suoi stessi sentimenti e non ho voluto accettare per non illuderlo. Possiamo parlare di tariffe? Quanto guadagni? Ti ho detto che non mi considero una prostituta quindi non ci sono tariffe. Chi viene con me mi lascia un regalo oppure mi porta a cena fuori o mi offre una bella serata dove ci divertiamo. Diciamo che, comunque, posso permettermi una bella vita, una bella casa tutta per me e tornare in Brasile dai miei familiari almeno un paio di volte all’anno. “ fonte http://blogazione.blogspot.it/?expref=next-blog

Quello che non ci fanno sapere: Fukushima, un disastro nucleare 100 volte superiore a Chernobyl. Ecco quello che ci nascondono !!

Il disastro ambientale è senza precedentied è in costante peggioramento. Il Nord America è bombardato dalle radiazioni nucleari di Fukushima con rischio sempre crescente per le popolazioni. Ogni giorno 300 tonnellate di acque contaminata affluisce nell’Oceano Pacifico e i tecnici parlano di almeno quarant’anni per ripulire il disastro nucleare, quarant’anno di esposizione a livelli elevatissimi di radiazioni nucleari. Quel che si dà per certo che le radiazioni sopravviveranno a noi con un margine molto ampio sempre che si abbia la buona sorte di non ammalarsi di cancro. Queste comunque le conseguenze stimate e la situazione attuale. 1. Gli orsi polari, foche e trichechi lungo la costa dell’Alaska sono affetti da perdita di pelo e ferite aperte … Esperti della fauna selvatica stanno studiando se la perdita di pelo e ferite aperte rilevati in nove orsi polari nelle ultime settimane è diffusa e correlata ad incidenti simili tra foche e trichechi. Gli orsi, 33 avvistati, sono stati trovati pressi di Barrow, in Alaska, durante il lavoro di indagine di routine lungo la costa artica. I test hanno mostrato che avevano “alopecia o perdita di pelo e altre lesioni cutanee”, l’US Geological Survey ha detto in una dichiarazione . 2. C’è una epidemia di leoni marini morti lungo la costa della California. Al rookeries isola al largo della costa della California del Sud, il 45 per cento dei cuccioli nati nel mese di giugno sono morti, ha detto Sharon Melin, un biologo della fauna selvatica per il National Marine Fisheries Service con sede a Seattle.Normalmente, meno di un terzo dei cuccioli sarebbero morti. E ‘diventato così pessima la situazione nelle ultime due settimane che la National Oceanic and Atmospheric Administration ha dichiarato un “evento insolito di mortalità.” 3. Lungo la costa del Pacifico del Canada e dell’Alaska, la popolazione di salmone rosso è a un minimo storico . Molti stanno incolpando Fukushima. 4. Qualcosa sta causando a molte specie di pesce lungo la costa ovest del Canada il sanguinamento dalle loro branchie, pance e bulbi oculari . 5. Un vasto campo di detriti radioattivi da Fukushima, che è circa la dimensione della California ha attraversato l’Oceano Pacifico e sta iniziando a entrare in collisione con la costa occidentale degli Stati Uniti. 6. Viene previsto che la radioattività delle acque costiere al largo della costa occidentale degli Stati Uniti potrebbe raddoppiare nel corso dei prossimi 5-6 anni. 7. Gli esperti hanno scoperto livelli molto elevati di cesio-137 nel plancton che vive nelle acque dell’Oceano Pacifico tra le Hawaii e la costa occidentale. 8. Un test in California, ha scoperto che 15 su 15 dei tonni rossi esaminati sono stati contaminati con radiazioni da Fukushima. 9. Già nel 2012, il Vancouver Sun ha riferito che il cesio-137 veniva trovato in una percentuale molto alta dei pesci che il Giappone stava vendendo in Canada … • 73 per cento di sgombro testato • 91 per cento del halibut • il 92 per cento delle sardine • 93 per cento del tonno e anguilla • 94 per cento del merluzzo e acciughe • 100 per cento della carpa, alghe marine, squali e coda di rospo 10. Autorità canadesi stanno trovando livelli estremamente elevati di radiazioni nucleari in alcuni campioni di pesce . Alcuni campioni di pesce testati fino ad oggi hanno avuto livelli molto alti di radiazioni: un campione di branzino raccolto nel mese di luglio, per esempio, ha avuto 1.000 becquerel per chilogrammo di cesio. 11. Alcuni esperti ritengono che abbiamo potuto vedere casi elevati di cancro lungo la costa occidentale solo da persone che mangiano pesce contaminato . Daniel Hirsch, docente di politica nucleare presso l’Università di California-Santa Cruz, ha detto Global Security Newswire . “Potremmo avere un gran numero di tumori da ingestione di pesce.” 12. BBC News ha recentemente riportato che i livelli di radiazioni intorno Fukushima sono ” 18 volte più elevato ”di quanto si credesse. 13. Uno studio finanziato dall’UE ha concluso che Fukushima ha rilasciato fino ad ora 210 quadrilioni becquerel di cesio-137 in atmosfera. 14. La radiazione atmosferica da Fukushima ha raggiunto la costa occidentale degli Stati Uniti nel giro di pochi giorni nel 2011. 15. A questo punto, 300 tonnellate di acqua contaminata si riversano nell’Oceano Pacifico da Fukushima ogni singolo giorno. 16. Un ricercatore di chimica marina dell’Agenzia giapponese di Meteorological Research Institute del dice che “30 miliardi di becquerel di cesio radioattivo e 30 miliardi di becquerel di stronzio radioattivo” vengono rilasciate nell’Oceano Pacifico da Fukushima ogni singolo giorno . 17. Secondo la Tepco, un totale compreso tra 20 mila miliardi e 40.000 miliardi di becquerel di trizio radioattivo sono stati riversati nell’Oceano Pacifico dopo il disastro di Fukushima. 18. Secondo un professore dell’Università di Tokyo, 3 gigabecquerels di cesio-137 scorrono nella porta di Fukushima Daiichi ogni singolo giorno . 19. Si stima che, rispetto a Chernobyl, fino a 100 volte di più di radiazioni nucleari sono state rilasciate in mare a Fukushima rispetto a quanto è stato rilasciatodurante l’intero disastro di Chernobyl. 20. Uno studio recente ha concluso che un grande aggregato di cesio-137 dal disastro di Fukushima inizierà a fluire nelle acque costiere degli Stati Uniti all’inizio del prossimo anno . Simulazioni oceaniche hanno mostrato che la massa di cesio radioattivo-137 rilasciato dal disastro di Fukushima nel 2011 potrebbe iniziare a scorre nelle acque costiere degli Stati Uniti a partire nei primi mesi del 2014 con un picco nel 2016. 21. Viene previsto che livelli significativi di cesio-137 si raggiungeranno in ogni angolo del Pacifico entro il 2020 . 22. Viene previsto che l’intero Oceano Pacifico sarà presto contaminato con “livelli di cesio da 5 a 10 volte superiore” rispetto a quello che abbiamo visto durante l’epoca di pesanti prove di bombe atomiche nell’oceano Pacifico molti decenni fa. 23. Le immense quantità di radiazioni nucleari entrati in acqua nel Pacifico hanno indotto l’ambientalista-attivista Joe Martino ad emettere il seguente avviso .”I vostri giorni fatti di mangiare pesce dell’Oceano Pacifico sono finiti.” 24. Lo iodio-131, cesio-137 e stronzio-90 che sono costantemente in arrivo da Fukushima stanno andando a influenzare la salute di coloro che vivono nell’emisfero nord per un tempo molto, molto lungo. Basta considerare quello che Harvey Wasserman aveva da dire su questo . “Lo Iodio-131, per esempio, può essere ingerito nella tiroide, dove emette particelle beta (elettroni) che danni tissutali. Una piaga di tiroidi danneggiate è già stato segnalato tra ben il 40 per cento dei bambini nella zona di Fukushima. Tale percentuale non può che andare più in alto. In via di sviluppo tra i giovani, può arrestare la crescita sia fisica che mentale. Tra gli adulti che provoca una vasta gamma di disturbi secondari, tra cui il cancro”. 25. Secondo un recente rapporto di Infowars Planet , la costa della California si sta trasformando in una “zona morta” . 26. Uno studio condotto l’anno scorso è giunto alla conclusione che le radiazioni dal disastro nucleare di Fukushima potrebbe influenzare negativamente la vita umana lungo la costa occidentale del Nord America dal Messico all’Alaska “per decenni”. 27. Secondo il Wall Street Journal, la pulizia di Fukushima potrebbe richiedere fino a 40 anni per il completamento . 28.Il professore di Yale Charles Perrow avverte che se la pulizia di Fukushima non viene gestita con il 100% di precisione, l’umanità potrebbe essere minacciata per “migliaia di anni “. ”Le condizioni della piscina dell’unità, a 100 metri dal suolo, sono pericolose, e se due aste qualsiasi dovessero toccarsi potrebbero provocare una reazione nucleare che sarebbe incontrollabile. La radiazione emessa da tutte queste sbarre, se non sono continuamente al fresco e mantenute separate, richiederebbe l’evacuazione delle zone circostanti Tokyo. A causa della radiazione presso il sito dove sono contenute 6375 barre nel lotto in comune, se non venissero raffreddate continuamente, le conseguenze potrebbero essere un processo di fissione che minaccerebbe l’umanità per migliaia di anni “. fonte: http://www.articolotre.com/2013/10/fukushima-un-disastro-nucleare-superiore-100-volte-chernobyl/217930

giovedì 24 ottobre 2013

In un anno 585mila disoccupati in più, mezzo milione i lavoratori in Cig

(Adnkronos) - Sono 500mila i lavoratori in Cig, 187.000 sono a rischio lavoro, e si contano 585.000 disoccupati in più in un anno. Sono questi i dati diffusi dall’Osservatorio su Cig e Occupazione curato dal Dipartimento Industria e mercato del lavoro della Cisl nazionale. "La cassa integrazione resta su livelli elevatissimi, con uno spostamento da cassa ordinaria a cassa straordinaria, comunque entrambe in crescita, e quindi una transizione verso crisi più strutturali. O addirittura verso la disoccupazione, visto l’aumento del 22,3% delle domande di mobilità e disoccupazione nel periodo gennaio–agosto 2013, rispetto al 2012" afferma Luigi Sbarra, segretario confederale della Cisl, chiedendo che la "legge di stabilità metta il lavoro al primo posto". "La notevole riduzione della cassa in deroga rispecchia, invece, i noti problemi di finanziamento - sottolinea Sbarra - il totale delle ore autorizzate nei primi nove mesi dell’anno, apparentemente vicino al totale dello stesso periodo del 2012, sarebbe assai superiore considerando le domande di cassa in deroga inevase". "I lavoratori equivalenti in Cig - prosegue il sindacalista - sono oltre 500.000, ma il numero effettivo è assai superiore, considerando l’utilizzo della Cig a rotazione e tenendo conto che molti dei lavoratori in cassa erano in part time". Sbarra quindi evidenzia "la pesante situazione nell’edilizia, con un aumento delle ore del 15% e una forte crescita della cassa straordinaria (+45%)". "Da una nostra elaborazione sui dati Inps - prosegue Sbarra - che tiene conto del tiraggio medio del 2012 e che considera i soli lavoratori in cassa straordinaria e in deroga, che possono più facilmente preludere a una perdita del posto di lavoro, i lavoratori a rischio di perdita del lavoro sono 187.286. Anche i dati Istat sull’occupazione mostrano difficoltà profonda. Nel secondo trimestre 2013 abbiamo perso 585.000 posti rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, soprattutto nel Mezzogiorno". "La diminuzione - sottolinea - continua a riguardare soprattutto i giovani e la fascia 35-49 anni, mentre continuano a crescere gli occupati con almeno 50 anni, a causa della forzata permanenza al lavoro dovuta alle nuove regole pensionistiche". Da diversi mesi non è più solo il manifatturiero a perdere occupati. Un vero e proprio crollo di occupazione si osserva nell’edilizia, con un -12,7%, e l’occupazione ha iniziato a contrarsi anche nel terziario e nell’agricoltura, settori che avevano tenuto. Neppure il lavoro 'non standard' sembra rappresentare una alternativa: un calo significativo si registra, dalla fine del 2012, per i contratti a termine e le collaborazioni.

martedì 22 ottobre 2013

UN PAPA DIVENTATO SANTO

DAL WEB Avete presente quello che santificò Escrivá, fondatore dell'Opus Dei e sostenitore della dittatura franchista spagnola? Dai, il grande amico di Pinochet, che benedisse personalmente! Oh come si chiamava? Quello che coprì Degollado, il morfi...nomane pedofilo, ma anche Groër, altro pedofilo che spostò da Vienna a Dresda? Insomma avete capito di chi parlo o no? Del compagno d'avventure di Marcinkus che mise al riparo dalla galera trasferendolo in USA. Di quello che beatificò Stepinac, complice delle stragi compiute in Croazia da Pavelic. Sono sicura che lo conoscete, dai... parlo di quello che disse "La bomba atomica permette di andare verso la pace." Di quello che sostenne il genocidio dei Tutsi in Ruanda. Di quello che ottenne quella truffa istituzionale nota come 8x1000 grazie al suo amico Craxi. Non mi viene il nome. Insomma, dal 25 novembre al 1° dicembre la Basilica di san Vittore Martire (Varese) ospiterà una teca contenente il sangue di questo delinquente. Non so cosa abbiano intenzione di farci, speriamo non siano esperimenti di clonazione. Ah si ora ricordo CAROL WOITILA

LE FUGHE CLANDESTINE

Vergogna a chi? Maurizio Blondet – tratto da www.effedieffe.com Facile esclamare «vergogna!». Bisogna specificare un pochino, proviamoci. Vergogna alle sinistre, partiti, presidenti delle Camere compresi, il senatore Manconi con la sua compagnuzza Bianca Berlinguer e loro media, giornali e radio e tv di Stato, per aver cercato di dimostrare che le centinaia di affogati di Lampedusa sono affogati per colpa della Bossi-Fini. E più in generale, per colpa degli italiani razzisti, leghisti, omofobi ed anti-immigrati. È ingeneroso ricordarlo, ma le vittime hanno fatto tutto da sole. Sono state loro a venire in massa non chiamate, di notte, come clandestini, ad affidarsi per questo ad organizzazioni di criminali libici, la cui natura delinquenziale dovrebbe essere ben nota nel Corno d’Africa; loro a dare fuoco al naviglio e a farlo rovesciare mettendosi tutti ad una murata. Loro a farsi ammassare in un barcone senza un solo salvagente, e ovviamente senza saper nuotare perché, poveretti, vengono da Eritrea e Somalia. sono gente che non ha visto acqua dalla nascita, per non dire il mare. Certo, pietà e orrore; ma senza dimenticare che questi hanno pagato qualcosa come 1500- 2 mila euro a testa: in Africa, chi può disporre di una simile cifra non è povero, i poveri veri, in Africa, non li avete mai visti; per fuggire non hanno che le loro gambe scheletrite, per di più debilitate dalla denutrizione. Quelli che vengono qui sono, relativamente, benestanti. Giovani che abbiamo visto mettersi in contatto con le famiglie via Facebook e smanettare sui tablet per dare notizie a mamma, non sono africani medi. Vengono dalla Libia. Con la Libia, il nostro governo aveva accordi, quando c’era il colonnello Gheddafi, che bene o male avevano frenato il traffico di clandestini. Hollande, Cameron, Obama hanno voluto rovesciare Gheddafi per gli affari loro, e portare via i nostri agli italiani: hanno così consegnato la Libia a bande criminali spadroneggianti, incontrollate, armatissime perché si sono rifornite dai giganteschi arsenali di Gheddafi, che non solo continuano a devastare il loro stesso Paese, che torturano prigionieri delle loro bande, ma che come affaruccio collaterale hanno intensificato il commercio e taglieggio degli aspiranti africani alla venuta in Italia. Comincino a vergognarsi quelli di Parigi, Londra, Washington, che hanno voluto rovesciare Gheddafi. Ormai i delinquenti hanno ammassato 12 mila aspiranti clandestini nell’insignificante porticciolo di Zuwarah, a 100 chilometri da Tripoli, in attesa degli imbarchi. La ministra Kyenge ha definito «vergognoso» il centro d’accoglienza di Lampedusa? Beh, dovrebbe – se avesse il coraggio – farsi un giretto nei centri di ritenzione in cui i delinquenti ammassano le loro vittime in attesa che le famiglie, laggiù nell’Africa sahariana, raggranellino i quattrini aggiuntivi richiesti per il passaggio: Amnesty International ha mandato qualcuno a visitare sette di quei campi «di ritenzione», così li chiama, dove se i soldi delle famiglie non arrivano si può restare a «durata indefinita», in condizioni atroci, senza cibo né acqua né latrine, e dove i libici «picchiano brutalmente anche le donne con cavi elettrici o tubi di ferro». Anche lì, come a Lampedusa o nei centri nostri, i clandestini – quando sono tanti – si ribellano: la, però ricevono raffiche di kalashnikov, secondo Amnesty. Magari capirà perché tanti clandestini vogliono a tutti i costi venire nella «vergogna» italiana... dove li vestiamo, li curiamo e li alimentiamo di cibi halal. (La Libye accusée de mauvais traitements sur des milliers de migrants). I torturatori sono gli eroi che ieri hanno abbattuto Gheddafi con il sostegno della Nato e gli applausi della propaganda occidentale, in nome dei «diritti umani» che Gheddafi violava: si vergognino questi. Oggi sono un’industria dei diritti umani maciullati: che imbarcano i loro africani-ostaggi, e nei casi migliori forniscono di un telefono satellitare (un piccolo investimento, fa parte del business) in modo che, a 30 miglia dalla costa italiana, chiamino le nostre autorità italiane (hanno i numeri) per farsi salvare. Nei casi peggiori, li gettano in acqua ad annegare, perché tanto sono negri, mica della superiore razza libica. Gli affari sono ottimi, i profitti di questi mascalzoni si valutano in 4 miliardi di dollari l’anno, che è poco meno del 10% del Pil della Libia; specialmente ora che i profitti petroliferi sono ridotti a zero grazie alle bande armate e alla destabilizzazione, un reddito niente male. A noi contribuenti italiani, invece, solo le spese: salvataggi, ricoveri, mantenimento, vestiari. Dovremo fare concorrenza invece, ai profittatori libici: vendere nelle nostre ambasciate un visto turistico a ciascuno per 1000-2000 euro, e poi che vengano pure qui in aereo di linea, , magari potremmo munirli di un documento che gli consenta di muoversi nello spazio Schengen: è gente che vuole andare in Germania, ha già lì amici e parenti, sa che qui non c’è lavoro, è informatissima e intraprendente. Le ultime centinaia arrivate ed affogate vengono la Somalia ed Eritrea. Queste erano nostre colonie, e quando erano colonie italiane non avevano motivo di fuggire le miseria; l’Italia vi ha profuso energie e mezzi, con un programma civilizzatore a cui i nostri nonni avevano creduto. Naturalmente, è stato decretato tra Londra e Washington che le colonie erano una vergogna, e che bisognava lasciare i popoli all’auto-determinazione. La Somalia è presto diventata il disastro morale e materiale, che a malapena la nostra opinione pubblica conosce; il buco nero del mondo; gli interventi americani hanno devastato, distrutto e destabilizzato, per poi ritirarsi feriti dal mostro che hanno creato: uno Stato fallito, failed state, anzi lo Stato fallito per eccellenza. Che sparge il suo disordine, sangue e profughi e terroristi anche nel vicino Kenya. Io la vidi, Mogadiscio, quando già da anni era «libera» da anni: i vecchi edifici pubblici fascisti, fatti in economia (perché la Somalia come colonia rendeva nulla) erano già crivellati da mitragliate di fazioni incomprensibili e dementi; ma l’albergo Stella d’Italia ancora serviva agnello arrosto col rosmarino e lasagne, e qualche bananiero italiano resistevano ancora, ma poi dovettero andarsene. Da allora, per i somali, niente più banane da vendere, solo Shahab e pirateria, fame, tubercolosi e settarismo feroce (il vescovo, francescano italiano che conobbi, trovò il martirio). All’Italia, del resto, il WTO aveva vietato di comprare le banane somale; non erano competitive; ci dovemmo servire sul «mercato mondiale», guarda caso dominato dalla United Fruits. Si vergognino loro. Quanto all’Eritrea, è stato la colonia che abbiamo abitato più a lungo, che abbiamo amato e che forse poteva diventare territorio metropolitano: negli eritrei, la conquista del tradizionale nemico Etiopia al nostro fianco («gli Ascari fedeli») aveva saldato una vera comunità di destino. Ho avuto il raro privilegio di vedere Asmara qualche anno fa (ero al seguito di una visita diplomatica): dolcissima cittadina interamente in stile littorio e mediterraneo con audacie futuriste anni ’30, col cinema Impero, il distributore Fiat a forma di aeroplano e il Bar Crispi ancora in funzione; si stava riattando la ferrovia che da Massaua sul mare Rosso saliva ripidamente ai 2400 metri di Asmara, costruita dagli italiani nel 1889-1911 in condizioni climatiche ed ambientali proibitive, poiché s’era visto che le 30 gallerie, i 26 ponti e viadotti e mezzo migliaio di muraglie e terrapieni, dopo quasi un secolo d’abbandono, erano ancora come le avevamo fatte, strutturalmente integre e praticabili. L’ha voluta rimettere in funzione il dittatore Isaias Afewerki per ragioni di prestigio. Ma naturalmente la ferrovia italiana non serve più a niente, dato che era lo sbocco al mare per l’Etiopia-Eritrea unite, grande ma isolata e chiusa, e invece i due Paesi «liberati» dal gioco italico, sono in guerra perpetua: cominciata nel 1998, e di fatto mai finita. Quindi sbocco chiuso, peggioramento della miseria per entrambi; e non bisogna dimenticare che l’Etiopia era appena uscita dalla dittatura comunista di Menghistu, autore di migliaia di esecuzioni sommarie non solo contro avversari politici, prelati della chiesa etiopica e esponenti della vecchia nobiltà, ma intellettuali e studenti delle superiori (bastava avere gli occhiali, chi sapeva leggere era «borghese» dunque liquidabile); l’utopia marxista finì in una carestia – tipica carestia comunista – con 8 milioni di morti, un genocidio per cui Menghisto non ha pagato (per quanto se ne sa è ancora riparato in Zimbabwe, protetto da Mugabe). Mugabe fu il Pol Pot africano; Isaias Afewerki è il Kim Il Sung, ed ha fatto della sua Eritrea una Corea del Nord, lo stato più repressivo dell’Africa, che è tutto dire: militarizzazione totale e permanente con la scusa della guerra all’Etiopia, l’intera popolazione maschile sotto obbligo militare (sicché chi se la fila dal Paese è disertore, e se preso, passato per le armi senza processo), quasi nessuna notizia su come vi vadano le cose. Non si danno visti d’entrata a stranieri, proprio come in Nord Corea . A gennaio dei militari in rivolta si sono impadroniti brevemente della tv di Stato, poi non si è saputo più nulla o quasi. Si ritiene che Afewerki tenga in galera senza processo almeno 10 mila avversari politici o semplici dissidenti, che li faccia torturare, che ordini esecuzioni sommarie per un nonnulla. La guerra fra i due Stati che l’Italia aveva unito, è un effetto della de-colonizzazione; e ad eccitarla sono state le potenze de-colonizzatrici per eccellenza, Stati Uniti e Gran Bretagna con Israele sostengono l’Etiopia nello sforzo bellico e le forniscono gli armamenti, per i quali lo Stato etiopico spende il 20% del suo miserevole prodotto interno lordo; ma un po’ di armi, gli americani le vendono anche all’Eritrea – e la specialista in questo affare è l’ambasciatrice Susan Rice, la numero due del Dipartimento di Stato sotto Obama, consigliera della sicurezza nazionale per Obama ed Hillary Clinton, una delle forze motrici che hanno tentato di trascinare gli Usa ad aggredire la Siria, un altro stato da liberare... È il bello della decolonizzazione, che noi italiani abbiamo imparato male e poco. I decolonizzatori non si prendono responsabilità dello sviluppo, non costruiscono ferrovie a 2400 metri di dislivello, né si occupano di ponti, acquedotti ed agricoltura, non lottano contro la tbc, non hanno tutto questo impulso civilizzatore. Quello fu l’illusione e il compito di quando noi italiani eravamo colonizzatori, e ci rese migliori, mentre migliorava loro, rendendoci più responsabili; ma il nostro tempo è passato. Ma non ci si dica che bisogna vergognarsi. Altri si devono vergognare per come hanno ridotto l’Africa. La Kyenge dovrebbe saperne qualcosa, anzi è l’esempio: approva la poligamia del capotribù suo padre congolese, gli pare progressista come le nozze gay e chiamare papà e mamma «genitore 1 e genitore 2». È la felice immagine della sinistra che, a forza di progressismo, finisce nel fiume Congo. Una vera parabola dell’illuminismo oscurantista, del progressismo regressivo. Gli eritrei che fuggono dal loro dittatore possono scegliere tre strade. Alcuni pagano, e si mettono nelle mani di, mercanti di carne umana che li contrabbandino attraverso il Mar Rosso in Yemen, da cui provano a infiltrarsi in Arabia Saudita e ai ricchi emirati del Golfo, dove i lavoratori stranieri sono praticamente schiavi. Altri vanno ad ovest, passano il confine col Sudan e, pagando e pagando, si comprano un passaggio su camion attraverso il Sahara verso l’Egitto. Da qui, alcuni cercano di raggiungere Israele attraverso il Sinai; in mano a beduini che poi chiedono il riscatto alle famiglie, torturando i loro prigionieri. Quelli che arrivano in Israele sono trattati col pugno di ferro, da una Bossi-Fini ebraica, ossia efficiente e spietata: dall’estate scorsa sono cominciate le retate, i catturati a centinaia sono caricati su aerei e sbattuti indietro in Sud Sudan; Israele non accetta domande di asilo politico, né fornisce vestiario né rifocilla, né soccorre. Anzi, la popolazione israeliana ha inscenato manifestazioni contro gli africani, urlando che se ne devono andar fuori dai piedi, perché di razza impura mettono a pericolo «la natura ebraica dello Stato». In Israele non ci sono Boldrini, né ci sono Kyenge, non ci sono Caritas e protezioni civili pronte ad assistere e a far mangiare. Del resto Netanyahu ha risolto il problema per sempre: elevato un reticolato di 200 chilometri lungo il Sinai, ha stroncato il business dei banditi beduini. «Gli sconfinamenti illegali sono calati del 99,9%», esultava l’estate scorsa un comunicato del governo ebraico, «sono passati da 2 mila al mese a soli due». Naturalmente, bloccata questa via, il traffico su Lampedusa si è ingrossato. Vengono qui ad affogare sulle nostre coste, e ce ne sono altri 12 mila in Libia che attendono. Se vengono in Italia, è perché l’Italia accoglie, e lo sanno benissimo. «Vergogna»: facile a dirlo. Bisogna specificare. Vergogna a chi? fonte www.disinformazione.it

lunedì 21 ottobre 2013

Uscire dall’Euro si può, ecco come

da Giuseppe Briganti Serpeggia la percezione secondo cui uscire dall’euro darebbe il via a conseguenze catastrofiche. Uscire dall’euro, e ritornare alle valute nazionale, sarebbe come fare un salto nel buio. Sulla base di questa credenza i fautori di un abbandono della moneta unica vengono continuamente stigmatizzati come persone, almeno dal punto di vista politico, pericolosissime. In loro soccorso giunge però un famoso economista, Ross McLeod, che dalle pagine del Wall Street Journal suggerisce un metodo, non certo pratico ma abbastanza indolore, per tornare alla lira, al franco e alla dracma. In verità, l’esempio da lui utilizzato è quello greco, ma sostituendo la dracma alla lira viene fuori una sorta di vademecum per tornare alla lira. Prima di procedere con i passaggi è giusto chiarire perché mai l’Italia dovrebbe uscire dall’euro. Si può riassumere il tutto con due parole: sovranità monetaria. L’euro ha tolto all’Italia, come a tutti i paesi membri del resto, la possibilità di utilizzare a proprio piacimento gli strumenti di politica monetaria espansiva. Strumenti che, secondo i post-keynesiani, sono indispensabile per uscire dalla recessione. Ad ogni modo, tornare alla lira non dovrebbe essere traumatico ma “spalmato” lungo un certo periodo di transizione, che potrebbe durare anche anni. Ecco i passaggi da fare. 1. Bankitalia stabilisce il cambio euro-lira. Una cifra arbitraria, “giusto per cominciare”, che non influisce sulle future fluttuazioni. Un cambio adatto, giusto per restituire alla nuova-vecchia moneta una certa familiarità, potrebbe essere quello classico, ossia 1 euro = 1936,27 lire. 2. Bankitalia decide la quantità di lira da emettere. La quantità deve essere pari al numero di euro che, secondo stime, sono detenute dagli italiani. Se gli italiani detengono, ad esempio, 3.600 miliardi di euro euro, la nostra banca centrale deve emettere qualcosa come 7 milioni di miliardi di lire. 3. Bankitalia stabilisce il periodo di transizione, anch’esso arbitrario. McLeod suggerisce 36 mesi. 4. Sempre Bankitalia comincia a emettere la lira. Emetterà ogni mese un trentaseiesimo dell’emissione totale prevista. 5. Ancora Bankitalia inizia a comprare euro e a vendere lire ai principali attori economici che ne fanno richiesta. Sarà proprio la quantità delle transizione a determinare il tasso di cambio di volta in volta. In questo modo la lira potrà rivalutarsi o svalutarsi, ma a deciderlo sarà “il mercato”. Lo Stato ricopre dunque un ruolo marginale, in modo da non “mettere paura” agli investitori internazionale e fare apparire il ritorno alla valuta nazionale come la cosa più naturale di questo mondo. Ovviamente, almeno per i tre anni della transizione, l’Italia vivrà la coesistenza di lire ed euro, la quale terminerà solo quando tutto l’euro nelle tasche degli italiani verrà venduto in cambio di lira. Questa coesistenza non deve preoccupare, in quanto, come molti ricorderanno, ha caratterizzato l’Italia dall’ 1° gennaio al 31 luglio 2002. C’è un ma. Viene creata moneta dal nulla, moneta in lire che al termine della transizione sarà in euro. Euro che Bankitalia potrebbe utilizzare, in compenso, per acquistare asset nell’Unione Europea. fonte http://www.webeconomia.it/uscire-euro-si-puo/2257/

Una contraffazione gesuitica

di Walter Cavalieri Ovvero "Mentite, mentite, qualcosa resterà" (Voltaire) Se si chiedesse al famoso italiano-medio chi ha detto "Il fine giustifica i mezzi" e cosa ciò significhi, la stragrande maggioranza indicherebbe Niccolò Machiavelli e sosterrebbe che la frase che riassume grossolanamente il suo pensiero sta a significare che per raggiungere uno scopo tutti i mezzi sono consentiti. Ci piace qui chiarire in proposito che la suddetta citazione è a tutti gli effetti un falso storico, non essendo mai stata detta, né scritta, né pensata dal Segretario fiorentino. Come e perché è nato allora questo gravissimo fraintendimento, radicatosi poi così tenacemente nel senso comune? Va ricordato in premessa che il disegno politico di Machiavelli fu per tutta la vita quello di realizzare anche in Italia uno stato unitario in grado di competere con quelli che già si contendevano la supremazia in Europa. Testimone dell'invasione francese, il suo desiderio era di liberare l'Italia dal "barbaro dominio" superando divisioni e particolarismi che rendevano il nostro Paese incapace di difendersi. In ciò egli si pose tra i primissimi sostenitori di una Italia unita, dopo Dante, Petrarca e Boccaccio. Con grande realismo politico egli sapeva che i processi unitari nazionali non dipendono dalla volontà divina, ma avvengono sempre grazie all'iniziativa di un Signore audace e potente in grado di sottomettere tutti gli altri. Pertanto egli scommise su di un Principe italiano (quale esso fosse: Cosimo de' Medici o persino l'efferato Cesare Borgia) capace di realizzare questo disegno con intelligenza fredda ed implacabile non condizionata da scrupoli morali, anche a costo di crudeltà e di guerre, con la forza di un leone e l'astuzia di una volpe (quello che ancora oggi i politologi chiamano "hard and soft power"). Egli scrive: "Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati" ("Il Principe", cap. XVIII). Senonchè, qualunque disegno unitario avrebbe comportato in Italia la soppressione dello Stato della Chiesa che tagliava in due la penisola e che non a caso sarà fino al 1870 il maggiore impedimento dell'unificazione. Machiavelli scrive esplicitamente: "La Chiesa ha tenuto e tiene questa provincia divisa. E veramente, alcuna provincia non fu mai unita o felice, se la non viene tutta alla ubbidienza d'una republica o d'uno principe, come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagione che la Italia non sia in quel medesimo termine, né abbia anch'ella o una republica o uno principe che la governi, è solamente la Chiesa." ("Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio", libro 1, capitolo 12). Non sorprende dunque che la Chiesa, minacciata non tanto nella sua dottrina quanto nel suo potere temporale, abbia additato il pensiero di Machiavelli come eretico ed immorale, ponendolo all'Indice per oltre tre secoli. I termini "machiavellismo" e "machiavello" furono veicolati con successo come sinonimi di furfanteria, inganno ed intrigo. Considerato dai denigratori solo un cinico maestro di malvagità, il primo grande pensatore politico dell'età moderna fu bollato come il "Satana della politica" e per secoli col termine inglese "Machiavel" fu indicato il nome di un diavolo… In questo quadro furono i teorici della Controriforma (per la precisione nel 1650 il gesuita tedesco Hermann Busembaum) a voler inventare la frase "Il fine giustifica i mezzi", come se essa potesse riferirsi fuori contesto non al nobile obiettivo politico caro al Machiavelli ma a qualunque fine, il più onesto ma anche il più immondo. Si può essere più o meno d'accordo a subordinare la liceità dei mezzi alla ragion di Stato, ma chiamare in causa Machiavelli in questioni private di passioni amorose o sportive, di malaffare o di clientelismo, significa comunque ripetere ogni volta un'ingiustizia verso l'Autore e citare a sproposito per bassi fini autoassolutori un motto formalmente e sostanzialmente inesatto. Nell’ottica machiavelliana di natura esclusivamente politica non vi è infatti alcun riferimento al conseguimento di leciti o illeciti interessi personali. Tuttavia quella frase è entrata fra i luoghi comuni della mediocre strategia di sopravvivenza della vita quotidiana tipica dell'atavica furbizia italiana, nonostante la riabilitazione postuma compiuta da grandi pensatori successivi, da Hegel a Gramsci. E soprattutto da Francesco De Sanctis il quale esclamò compiaciuto "Sia gloria al Machiavelli!" quando a Firenze ascoltò lo scampanio festoso che annunziava l'avvenuta breccia di Porta Pia.

Crisi: 2 milioni di famiglie senza l’indispensabile, aumentano i furti di sopravvivenza

Scritto da: Renato Marino - venerdì 18 ottobre 2013 Sette italiani su dieci temono di perdere il lavoro a breve. I risultati della prima indagine su "La percezione della crisi e il Made in Italy" realizzata da Coldiretti-Ixe' a ottobre 2013. Dopo gli allarmanti dati sulla crescita della povertà in Italia diffusi nei giorni scorsi dall’Osservatorio Censis-Confcommercio e dalla Svimez, oggi è un report di Coldiretti-Ixe’ a ribadire che quasi la metà degli italiani (il 45%) riesce a pagare appena le spese essenziali mentre ben 2 milioni di famiglie (il 10%) non dispongono di un reddito sufficiente neanche per acquistare l’indispensabile per campare. I risultati della prima indagine su “La percezione della crisi e il Made in Italy” realizzata da Coldiretti-Ixe’ a ottobre 2013 sono impietosi. In questo quadro è sempre più la famiglia a fare da ammortizzatore sociale, da camera di compensazione delle difficoltà finanziarie dei componenti del nucleo, assumendo sempre più una funzione di welfare, al posto dello Stato. Senza il sostegno economico dei genitori il 37% degli italiani non riuscirebbe infatti ad arrivare a fine mese; il 14% dei connazionali è costretto a rivolgersi ai parenti per sbarcare il lunario, il 4% ai propri figli. Soltanto il 14% degli italiani si rivolge ormai a finanziarie e banche per cercare di ottenere un prestito, l’8% chiede i soldi agli amici. Lo studio di Coldiretti sottolinea come il modello di famiglia italiana, spesso oggetto di critiche, sia tutt’altro che superato rivelandosi fondamentale per non far sprofondare nell’indigenza molti italiani. Sempre secondo l’analisi di Coldiretti il 16% degli italiani conosce personalmente qualcuno che per povertà ha dovuto rubare nel corso di quest’anno, il 66% dei ladri per necessità ha rubato prodotti alimentari, il 22% oggetti per i propri figli. Il futuro? È cupo. Con l’arrivo dell’autunno e tanti contratti in scadenza sette italiani su dieci hanno paura di perdere il lavoro. fonte http://www.soldiblog.it/post/52695/crisi-2-milioni-di-famiglie-senza-lindispensabile-aumentano-i-furti-di-sopravvivenza

giovedì 17 ottobre 2013

Priebke, da Forza Nuova un esposto contro la comunità ebraica

Il segretario nazionale di Forza Nuova ha annunciato che presenterà un esposto-denuncia in merito a quanto avvenuto ieri ad Albano Laziale, dove erano previsti i funerali, poi annullati, dell’ex gerarca Erich Priebke. Per quanto accaduto ieri ad Albano Laziale, la città alle porte di Roma che ha accolto il feretro dell’ex ufficiale delle SS Erich Priebke per dei funerali che però non sono stati mai celebrati, Forza Nuova ha deciso di presentare un esposto contro la comunità ebraica. Ad annunciarlo è stato il segretario nazionale Roberto Fiore che in una nota ha spiegato il perché dell’esposto-denuncia: “Sacerdoti aggrediti, suore minacciate e oggetto di lancio di pietre. Queste le immagini che hanno colpito e spaventato milioni di italiani. L’obiettivo degli attivisti della Comunità Ebraica romana e alcuni estremisti di sinistra era quello di prendere la bara, oltraggiarla ed impedire un funerale; un chiaro atto incivile e di chiara matrice anticristiana mai avvenuto nemmeno nei periodi di guerra”, scrive così Forza nuova. Secondo il segretario Fiore “quella di Albano sarà ricordata come una eclisse di civiltà”. E per questi motivi la decisione di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Roma e al Tribunale di Albano “su ipotesi di reato che vanno dalla manifestazione non autorizzata alla violenza privata, alle percosse e ad eventuali reati collegati con la profanazione di cadavere nei confronti di quei signori il cui volto è visibile e che non appartengono alla cittadinanza di Albano, ma piuttosto alla Comunità ebraica romana”. Si tratta dello stesso gruppo di facinorosi – afferma Forza Nuova – che si rese responsabile mesi fa dell’aggressione filmata ma mai perseguita di alcuni giovani di sinistra, fra cui alcune ragazze, “e che non sembra voler osservare né leggi né principi morali”. La salma di Erich Priebke a Pratica di Mare - Intanto sono in corso accertamenti per verificare gli autori degli scontri avvenuti dinanzi alla chiesa di San Pio X ad Albano Laziale e dei momenti di tensione avvenuti nella notte dopo l’uscita della salma. Per quanto riguarda la sorte dell’ex ufficiale delle SS, dopo la decisione dell’avvocato di annullare i funerali e quella del prefetto di Roma di trasferire nella notte la salma all’aeroporto militare di Pratica di Mare, si è ora in attesa di nuovi provvedimenti e decisioni da parte della famiglia del boia della Fosse Ardeatine. Secondo quanto si è appreso, la salma di Erich Priebke potrebbe rimanere a Pratica di Mare anche per l’intera giornata. fonte//www.fanpage.it/priebke-esposto-forza-nuova/#ixzz2hzWowSNU

IL PARLAMENTO ITALIANO, SEMPRE PIÙ MARCIO, MASSONE E CLIENTERALE. UNA FAMIGLIA INTRICATA: BOCCIA- DI GIROLAMO

Una famiglia abbastanza ...intricata : Nunzia Di Girolamo (sposata con Francesco Boccia ..deputato del P.D ) figlia di un altro politico del p.d.l. che risponde al nome di Nicola Di Girolamo. e poi forse non parente ( ma sarei curiosa di conoscere veramente queste parentele...) Nicola Paolo Di Girolamo Ex senatore Pdl Di Girolamo patteggia 5 anni Dovrà restituire 4 milioni di euro Coinvolto nell'inchiesta Fastweb, è accusato di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa alle politiche del 2008 di Redazione Il Fatto Quotidiano | 15 luglio 2011 Più informazioni su: Evasione Fiscale, Fastweb, metodo mafioso, Nicola Paolo Di Girolamo,Patteggiamento, Riciclaggio, Voto di Scambio. + L’ex senatore Pdl Di Girolamo concorda pena di 5 anni: restituirà 5 milioni di e... + Nuovo processo per Di Girolamo L’ex senatore accusato di bancarotta + Soldi della ‘ndrangheta riciclati in Svizzera: chiesti 31 anni di carcere + Il gup di Roma Zaira Secchi non ha accolto la… - Il Fatto Quotidiano L’ex senatore del Pdl, Paolo Di Girolamo, 51 anni, è stato condannato, con patteggiamento, a cinque anni di reclusione e alla restituzione di oltre 4 milioni di euro, tra liquidi, beni immobili e quote di società e auto di lusso. Di Girolamo, coinvolto nell’inchiesta Fastweb, è accusato di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale e al riciclaggio transnazionale e di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso in relazione alla sua candidatura nella circoscrizione Europa alle politiche del 2008. La sentenza è stata emessa oggi dal gup Massimo Battistini. Di Girolamo si trova agli arresti domiciliari. Oltre a Di Girolamo il tribunale capitolino ha condannato, sempre con patteggiamento a cinque anni, anche l’imprenditore Fabio Arigoni, che dovrà restituire quasi cinque milioni di euro. Quest’ultimo, che si trova ai domiciliari, era stato per un periodo latitante a Panama ed era finito sotto inchiesta per aver trasferito o movimentato ingenti somme di denaro di provenienza delittuosa in virtù del suo ruolo di amministratore unico della Telefox srl e della Telefox International srl. Sia Di Girolamo che Arigoni sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni. Il gup, infine, ha comminato una condanna a 4 anni e 8 mesi a Franco Pugliese, ritenuto esponente della cosca calabrese degli Arena di Isola Capo Rizzuto. Il giudice lo ha scagionato dall’accusa di scambio elettorale aggravato dal metodo mafioso mentre lo ha ritenuto responsabile dei reati di intestazione fittizia di beni (nel caso specifico si trattava di uno yacht) e di quello di minaccia per impedire l’esercizio del diritto di voto, sempre con l’aggravante del metodo mafioso. Secondo il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Giovanni Bombardieri e Francesca Passaniti, titolari dell’inchiesta, Pugliese si sarebbe attivato affinchè venissero reperiti presso gli immigrati calabresi in Germania, e in particolare, nel distretto di Stoccarda e Francoforte, schede elettorali in bianco su cui veniva inserito il nominativo di Di Girolamo. ADESSO PENSATECI BENE A COME CI STANNO PRENDENDO PER CULO

ANCHE LE TROIE DATATE PIANGONO

Ripa di Meana: "12mila euro al mese? La crisi la sentiamo anche noi" Vergognoso? A dire poco. Stiamo parlando delle dichiarazioni rilasciate da Carlo e Marina Ripa di Meana a "Quinta Colonna". "Dodicimila euro al mese? Troppo pochi per mandare avanti una famiglia. Anche per noi la vita è cambiata con la crisi ma da buoni Italiani, abbiamo un notevole spirito di adattamento. Non ci spariamo in fronte, eh. Non siamo di quelli che piangono tutto il giorno e dicono: “Oddio, la crisi”. Però ci rendiamo conto che c’è. Non abbiamo più la Mercedes. In questa casa prima avevamo tre utenze telefoniche, ora ne abbiamo una. Avevamo due macchine, di cui una importante, una Mercedes. Ora abbiamo una piccola Panda e un motorino. I viaggi vengono molto contenuti, idem le vacanze". Ed ancora: "Per due legislature sono stato deputato europeo e percepisco una sola pensione da europarlamentare, 2.800 euro al mese. Per la seconda non versai i contributi. Ho anche un’altra pensione come commissario europeo di cui usufruisco, e che considero la fonte migliore del mio reddito di pensionato: circa 6mila euro al mese. La pensione europea, a differenza di quella di un parlamentare italiano, è esentasse".

mercoledì 16 ottobre 2013

La bufala dei soldi «regalati» agli immigrati

di Redazione di Giornalettismo - 15/10/2013 - La tragedia di Lampedusa sembra aver stimolato la produzione di falsi contro gli immigrati da parte dei razzisti. Per dire che nella Provincia di Trento alle famiglie degli “extracomunitari” vanno quasi 2.000 euro al mese, qualche astuto ha sommato tutto il welfare Trentino per i disoccupati e i casi sociali in un’unica soluzione. CHE FORTUNATI GLI EXTRACOMUNITARI - Il volantino fotocopiato e poi fotografato e messo su Facebook dice che «Un cittadino extracomunitario sposato con 4 figli, arriva a percepire dalla Provincia Autonoma di Trento» 1.918 euro al mese più 1.350 euro una tantum. Tipica la chiusura: «Tutto questo senza lavorare!» bufala immigrati trento UNA TIPICA BUFALA - Com’è già capitato in altri casi simili si tratta di una rozza bufala, il volantino mescola diversi contributi che non hanno come destinatari “gli extracomunitari”, ma qualsiasi famiglia che abbia i requisiti richiesti, che variano per ogni contributo, rendendo altamente improbabile che in capo a una sola famiglia possano andarsi a concentrarne tanti, che nel volantino sono calcolati sempre al valore massimo. NON È COSÌ – Per accedere al reddito di Reddito di garanzia ad esempio servono tre anni di residenza e il contributo dura solo 4 mesi, oltre ad essere condizionato alla perdita del lavoro per cause a lui non imputabili di un membro della famiglia. Il contributo all’affitto è proporzionale alla spesa che va ad abbattere e ovviamente è erogato solo a fronte di contratti regolari. Il rinnovo può avvenire max tre volte nei due anni decorrenti dalla prima concessione (= max 16 mesi su 24) ed è condizionato a un percorso di reinserimento e a verifiche periodiche. Queste le condizioni relative al nucleo. Se tutti i componenti in grado di assumere un ruolo lavorativo, risultano in una delle seguenti condizioni: • non hanno prodotto alcun reddito da lavoro negli ultimi 24 mesi • nello stesso periodo abbiano cessato l’occupazione per: • dimissioni non per giusta causa • licenziamento per giusta causa o giustificato motivo • sono in cerca di prima occupazione, ad eccezione del caso che essa sia iniziata da meno di 12 mesi per sostituire un reddito da lavoro prodotto da un componente fuoriuscito dal nucleo nei 3 mesi precedenti l’inizio della ricerca. TUTTO INSIEME - Il contributo regionale (1/2005) invece ha regole ancora più stringenti, richiedendo 5 anni di residenza. Tutti i contributi sono erogati solo a seguito di «preventiva verifica del servizio sociale territorialmente competente, che nel caso di bisogni sociali complessi predispone un progetto individualizzato al quale il nucleo richiedente deve aderire ovvero nel caso di mero bisogno economico indirizza il nucleo all’automatismo dotandolo di idonea certificazione.» Contributo peraltro che non si può sommare a quello relativo al “minimo vitale”, che è incompatibile con il reddito di garanzia o con redditi che non siano effettivamente da miseria. SOLDI PER I BISOGNOSI ITALIANI E NO - I contributi non fanno distinzione di nazionalità, sono rivolti ai nuclei poveri e sono stati concessi per il 48% ad italiani, per il 47% ad extracomunitari e il resto ai cittadini, nessuno dei quali probabilmente è riuscito a mettere insieme le cifre esposte nel volantino, che comunque per mantenere una famiglia di 6 persone in Trentino, affitto compreso, non sarebbero uno scandalo. Il volantino è chiaramente l’ennesimo tentativo di costruire e diffondere queste leggende metropolitane di stampo razzista, che subito si diffondono come virus tra i razzisti in rete, anche quest’orrore è stato condiviso da 2.600 persone solo su Facebook. fonte http://www.giornalettismo.com/archives/1165109/lultima-bufala-sui-soldi-regalati-agli-immigrati/

Dal bypass alla protesi d'anca. I tempi d'attesa del ricovero in Italia. Ecco i dati del ministero

Per un intervento di bypass in Piemonte si attendono 12 giorni, mentre in Veneto in media 60. Mentre per una emorroidectomia in Sicilia si attende in media 15,6 giorni, in Piemonte ne devono passare 90,6, a fronte di una media italiana di 47,1 giorni di attesa. Questi alcuni numeri sul monitoraggio dei tempi di attesa per il ricovero forniti dal Ministero della Salute. LE TAVOLE 16 OTT - Regione che vai tempi di attesa che trovi. Ma a dispetto di quello che si potrebbe pensare non sono sempre i territori settentrionali a far registrare le migliori performance. Anzi, dalle tavole fornite dal Ministero della Salute e aggiornate a 2010 sul monitoraggio dei tempi di attesa per il ricovero (sia in regime ordinario che in day hospital), emerge una realtà molto frastagliata in cui Regioni che su alcune attività hanno tempi di attesa molto bassi, per altre invece segnano il passo a prescindere dall’area geografica. Ma facciamo qualche esempio. Si è prenotato un intervento di bypass aortocoronarico? Bene, se la prenotazione è valida e ci si trova in Piemonte l’attesa è di 12 giorni, mentre in Veneto sono 60, a fronte di una media italiana di 23,2 giorni. Differenze anche per i tempi di intervento per protesi d’anca. In Sicilia i tempi medi sono di 42,6 giorni a fronte dei 111 che ci vogliono in Liguria o dei 106 in Emilia Romagna. Stesso discorso dicasi anche per l'attività per acuti in regime di day hospital. Per una chemioterapia con prenotazione valida (attesa media italiana 10,3 giorni) in Liguria si può attendere in media 4,7 giorni, mentre in Friuli e in Puglia 14,5 giorni. Mentre per una emorroidectomia in Sicilia si attende in media 15,6 giorni, in Piemonte ne devono passare 90,6, a fronte di una media italiana di 47,1 giorni di attesa. Da sottolineare infine che le Tavole numeriche proposte dal Ministero specificano come i tempi medi di attesa siano calcolati in base ai soli ricoveri non urgenti e con data di prenotazione valida. Insomma, i calcoli vengono fatti su tutta una tipologia di interventi programmata e validata e quindi scevra dai caratteri di urgenza e variabilità che in ogni caso rappresentano più della metà dell’attività per acuti. Un’analisi dunque che evidenzia come a parità di programmazione vi siano lo stesso esiti ben diversi. fonte http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=17537 L.F.

Sull’istruzione a Cuba.

Posted on ott 14, 2013 in Internazionale Mentre il capitalismo infuria con le sue terribili crisi, la perdita di diritti sociali e lavorativi, tagli alla sanità e istruzione solo per i ricchi, una piccola ma valente isola, che si trova a 90 miglia dall’impero, persiste nel socialismo e nel pieno sviluppo dell’essere umano come obiettivo primario dell’istruzione per i suoi cittadini. A Cuba, paese bloccato commercialmente ed economicamente dall’imperialismo statunitense da più di mezzo secolo, l’istruzione è universale, di qualità e gratuita per tutti, dalla scuola materna all’università. Ma non è sempre stato così. Prima dell’arrivo di Fidel Castro e dei suoi barbuti a L’Avana il 1 ° gennaio 1959, in particolare intorno al 1953, con una popolazione di 6,5 milioni, Cuba aveva più di 500.000 bambini senza scuole (il 55,6 % di scolarizzazione della popolazione tra i 6 e 14 anni), un milione di analfabeti, un istruzione primaria che raggiungeva solo la metà della popolazione scolastica, un istruzione media e superiore che arrivava solo alla popolazione urbana e 10.000 insegnanti senza lavoro e senza futuro. Nel 1959, l’analfabetismo nelle Grandi Antille era al di sopra del 30 %. “Ci troviamo nella tristissima situazione che abbiamo bisogno di aumentare significativamente il numero di aule, acquistare mobili, costruire scuole, ecc , e non c’è , né ci sarà per tempo, un soldo da investire in queste urgenze”, denunciava pochi anni prima l’eminente pedagogo cubano Enrique José Varona. Istruzione rivoluzionaria La sfida, quindi, era colossale, senza dubbio alla misura della volontà dei rivoluzionari cubani che, senza pensarci molto, si misero al lavoro dal trionfo della Rivoluzione. Così, entro la fine del 1959, si costruirono circa 10.000 nuove scuole e la scolarizzazione si elevò a quasi il 90 % per l’età 6-12 anni, convertendo anche più di 69 installazioni militari della dittatura di Batista recentemente rovesciata, in luoghi di ricovero per più di 40.000 studenti. Ma fu la Riforma Integrale dell’Insegnamento la punta di lancia che aprì il cammino verso una istruzione rivoluzionaria, determinando, una volta per tutte, che lo scopo primario dell’istruzione era “il pieno sviluppo dell’essere umano”. Per questo scopo era implicita la necessità della soppressione dell’origine di tutte le disuguaglianze per quanto riguarda l’istruzione, cioè la scomparsa dell’istruzione privata e dei loro vecchi metodi. Cosa che si è prodotta il 6 giugno1961 attraverso la Legge di Nazionalizzazione dell’Istruzione. Con questi strumenti, e con l’immenso ardore rivoluzionario che animava gli insegnanti, l’analfabetismo fu ridotto in quell’anno al 3,9 % della popolazione totale, che a quel tempo era di 6.933.253 abitanti. Così Cuba si classificò tra i paesi con il più basso analfabetismo nel mondo. Una percentuale che inoltre rappresentava anche alcuni individui le cui condizioni fisiche e mentali e le loro caratteristiche storiche erano stimate come non alfabetizzabili. Questa impresa fu raggiunta grazie alla volontà politica del governo rivoluzionario, così come lo sforzo di centinaia di migliaia di alfabetizzazione popolari, brigate e insegnanti. Da quel momento è stato lo Stato che ha assunto la responsabilità di orientare, formare e promuovere l’istruzione sull’Isola (primaria, secondaria, universitaria, artistica, per adulti, per stranieri e disabili), e questo si riflette nel Capitolo 1 delle sue Fondamenti Sociali ed Economiche, in cui, con chiarezza, si afferma che “lo Stato Socialista, come potere del popolo al servizio del popolo stesso, garantisce che non ci sarà nessun bambino senza scuola, cibo e vestiti; che non ci sarà giovane che non avrà l’opportunità di studiare; che non ci sarà persona che non avrà accesso all’istruzione, alla cultura e allo sport”. E dalle promesse si è passato ai fatti. Il Sistema Nazionale d’ Istruzione, attorno al quale si articola l’insegnamento a Cuba, ha ottenuto che l’istruzione primaria e secondaria fondamentale fosse obbligatoria, mentre l’insegnamento universitario sarà garantito a partire da un vasto e gratuito sistema di scuole, semi-collegi (ndt, centro di studi in cui gli studenti trascorrono il giorno svolgendo i loro compiti), collegi (ndt, centro di studi dove gli studenti rimangono anche a dormire) e borse di studio, e per la fornitura gratuita del materiale scolastico. Ciò rende possibile per ogni bambino e giovane, a prescindere dalla situazione economica della famiglia, la possibilità di studiare secondo le proprie capacità, le esigenze sociali e le necessità di sviluppo economico e sociale. E questo anche negli anni difficili come il cosiddetto “periodo speciale”, dopo il crollo del blocco socialista in Europa orientale. Il riconoscimento internazionale Attualmente studiare a Cuba è un compito facile, come dimostrato dal fatto che qualche di settimane fa, oltre due milioni di cubani sono entrati nelle aule per iniziare o continuare i loro studi. Non si pagano tasse scolastiche né universitarie e i libri di testo si acquisiscono gratuitamente con l’unico requisito di essere restituiti in buone condizioni alla fine dell’anno scolastico. Inoltre ci sono università in tutti i capoluoghi di provincia, e sono predisposte residenze gratuite per ospitare gli studenti che vivono nelle campagne o che hanno problemi di alloggio. L’interesse che il governo rivoluzionario presta all’istruzione è di tale importanza che oggi il più grande fatturato di Cuba (più che il turismo e le rimesse familiari insieme) proviene dalla vendita di servizi professionali, medici, insegnanti, ingegneri, tecnici, ecc. Una buona istruzione che, d’altra parte, è riconosciuta dalle istituzioni internazionali come recentemente ha fatto l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Istruzione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), che, oltre a riconoscere la qualità e la priorità data all’istruzione a Cuba, ha elogiato, in particolare, il programma di alfabetizzazione “Io, si posso”, che attualmente opera in 12 paesi in America Latina . Così come anche il “Laboratorio Latinoamericano per la Valutazione della Qualità dell’Istruzione”, che riconosce che tra i paesi della regione, Cuba ottiene i risultati migliori, con una iscrizione di quasi il 100 % degli studenti. Aspetto questo che, secondo l’UNESCO stessa, contribuisce a far si che la mortalità infantile a Cuba sia una delle più basse del mondo, con 5 per ogni mille bambini nati vivi. Argomenti sufficienti per gridare con Fidel quello che lui lanciava con frequenza dalla Piazza della Rivoluzione: Socialismo o barbarie! Di Joseph L. Quirante da http://unidadylucha.es/index.php/internacional/288-la-buena-educacion-cubanaa traduzione a cura di senzatregua

I politici finanziati dalle società di gioco d’azzardo: ecco i nomi

Ha destato scalpore la denuncia a Le Iene di un dipendente del Senato sull'azione di lobby in questo Parlamento. Non è difficile vedere il filo rosso che, in maniera legale, ma deleteria per il Paese, unisce politica e gioco d'azzardo. L'11 febbraio 2013, al Senato, Matteo Iori presidente del CONAGGA, che lotta contro questa patologia, ne denuciava gli intrecci. Lo stesso Iori il 7 maggio commentava in Rete: "Ben sette ministri, compreso il premier Enrico Letta fanno parte di una fondazione che si chiama VeDrò finanziata anche da due multinazionali, Lottomatica e Sisal, Letta ricevette 15 mila euro di contributo da Porsia, titolare della Hbg, una delle più grandi aziende del gioco d'azzardo. Il nuovo Ministro Bray è anche direttore della rivista Italianieuropei, già sostenuta da importanti contratti pubblicitari con le industrie del gioco d’azzardo. Nel nuovo governo a chi andrà la delega ai giochi d’azzardo? Sarà forse casualmente scelto il nuovo sottosegretario Alberto Giorgetti? Giorgetti non sarebbe nuovo alla delega ai giochi, la tenne per anni sotto il governo Berlusconi, con grande piacere dell’industria del gioco." conclude Iori. Dal dossier del Conagga e inchieste giornalistiche si apprende che Snai ha finanziato regolarmente: Gianni Alemanno, Margherita, UDC, DS, MPA e Gianni Cupèrlo Pd. Compaiono ex politici e loro parenti entrati nel business. Cito rapidamente: Augusto Fantozzi, presidente SISAL, Vincenzo Scotti, che lanciò "Formula Bingo" insieme a Luciano Consoli, uomo di fiducia di D’Alema. Francesco Tolotti – dell’Ulivo – che con Nannicini, Vannucci, Salerno e Gioacchino Alfano, nel 2007 riuscì a far modificare il Testo Unico che regola le slot machine. “Ricordiamo l'onorevole Laboccetta. E poi Massimo Ponzellini e Antonio Cannalire, proprietario della Jackpot Game che a Milano gestiva sale da gioco d’azzardo insieme alla Finanziaria Cinema, di proprietà di Marco Jacopo Dell’Utri, figlio di Marcello Dell’Utri. Si ricorda, il governo Berlusconi che liberalizzò i giochi d’azzardo on-line. Casualmente, ma solo casualmente, qualche giorno prima la Mondadori acquisì il controllo del 70% di Glaming, che opera nel gioco d’azzardo on-line. Non possiamo omettere Pellegrino Mastella, figlio di Clemente Mastella, che attraverso SGAI e Betting 2000 dei fratelli Renato e Massimo Grasso avviò altre aziende di gioco, fra queste King Slot e Wozzup, poi indagate per gravissimi reati. Distinti colleghi, sono certo che la stragrande maggioranza di voi non ha alcun legame di lobby e condivide l'urgenza di una stretta normativa contro slot machines e giochi online che lucrano su gravissimi danni per cittadini, famiglie, e per i loro figli. Il Movimento 5 Stelle attende dal Governo, nei fatti, la coerenza di cui oggi è politicamente legittimo dubitare". http://www.articolotre.com/2013/05/i-politici-finanziati-dalle-societa-di-gioco-dazzardo-ecco-i-nomi/172555?wpmp_switcher=mobile

domenica 13 ottobre 2013

SAPPIATE CHE SIETE SEDUTI SULLA TERZA GUERRA MONDIALE di DI MANUEL FREYTAS IAR Noticias

Le ragioni strategiche che trasformano il "triangolo del petrolio" - Eurasia-Caucaso-Medio Oriente – nella zona di teatro della terza guerra mondiale intercapitalista (alimentata possibilmente con armamento nucleare) per il controllo delle risorse strategiche che servono a garantire la futura sopravvivenza delle potenze capitaliste. Nella “Grande Scacchiera” per il controllo geopolitico militare, la possibilità di una prossima guerra intercapitalista (come mostrano i diversi teatri di conflitto armato esistenti) conta su tre elementi detonanti interattivi: A) L’esigenza degli Stati Uniti e delle potenze alleate (l’Asse Usa-UE) di generare per mezzo di un conflitto armato un nuovo modello di sviluppo produttivo (economia di guerra) con conseguente impiego di mano d’opera massiccia per poter superare la crisi finanziaria recessiva, che sta collassando le economie del sistema a scala mondiale. B) Assicurarsi il controllo militare sul petrolio e sullle risorse strategiche durature del pianeta, che garantiscano loro la sopravvivenza come potenza egemonica. C) Impedire che i nemici fondamentalisti d'Israele e del sionismo dispongano di un “grilletto” nucleare capace di lanciare un’Apocalisse sulle metropoli imperiali. Questi tre principi centrali guidano la strategia estera delle potenze sioniste dell'asse Usa-UE, che utilizzano tattiche diverse di "cammuffamento" per evitare il confronto armato nel gran gioco della diplomazia internazionale, con le quali dissimulano le guerre per aree di influenza. Questi tre principi (come detonatori) definiscono e cadenzano le linee guida dell'ordine capitalista internazionale in crisi, e hanno chiaramente tre attori principali: A) USA, Unione Europea e “l’asse occidentale". (Blocco dominante del capitalismo che estende i suoi tentacoli per impadronirsi delle risorse energetiche, rotte e mercati di Eurasia, Africa e Medio Oriente). B) Russia, Cina e “l’asse asiatico". (Blocco del capitalismo emergente (per ora) che disputa una guerra commerciale per aree di influenza con l'asse Usa-UE, che genera sfide e conflitti militari come quello della Gerogia e nel Caucaso). C) Iran e “l’asse islamico". (Blocco dei paesi accomodati sopra più dell'80% delle riserve mondiali di petrolio e delle risorse strategiche in disputa). Questi tre blocchi centrali definiscono (a modo di detonatori, e quando la crisi economica globale si retroalimenterà con la crisi energetica globale) uno scenario strategico da terza guerra mondiale intercapitalista, che avrà come causa scatenante i vari fronti di conflitto esitenti che si estendono oggi per Eurasia, Africa e Medio Oriente. L'elemento fondamentale che definisce e dà sostegno alla contraddizione fondamentale (che va ad accellerare la detonazione) è il petrolio insieme alle risorse strategiche, come è il caso dell'acqua e la biodiversità, risorse essenziali per il funzionamento globale del sistema capitalista, le cui riserve si esauriscono senza aver ancora trovato alternative per sostituirle. Tutti i conflitti che oggi si combattono nel pianeta (siano di ordine politico, militare o sociale) contribuiscono in modo sussidiario a quella guerra sotterranea intercapitalista per il controllo delle risorse strategiche essenziali per la futura sopravvivenza delle potenze capitaliste. In generale, tutto quello che USA e UE presentano come "guerra contro il terrorismo” negli scenari dell'Asia, Africa o Medio Oriente, sono conflitti fabbricati (dalla CIA e dai servizi segreti occidentali), strategie di posizionamento su determinate fonti di risorse o zone di controllo geopolitico militare. Per esempio, lo sterminio in massa di migliaia di civili in Sri Lanka, non è stato determinato da una guerra contro il "terrorismo tamil" come si è cercato di fare credere, bensì da interessi geoeconomici e geopolitici militari strategici, che hanno a che vedere con il controllo dell'Oceano Indiano e le rotte del petrolio. Non è stato neanche un genocidio per questioni di origine "razziale", bensì di un massacro sistematico che si inquadra nello scenario della cosiddetta "guerra energetica", che si sta disputando per la sopravvivenza futura tra l'asse sionista Usa-UE ed il blocco Russia-Cina-Iran. La stesso cosa che succede oggi in Sri Lanka (con diverse caratteristiche) sta succedendo in Somalia, in Tibet, Sudan, nel Caucaso, Chad, Etiopia, etc, dove le potenze armano e finanziano "guerre civili" o "guerre religiose" per giustificare interventi o invasioni militari. Nella realtà (disintegratasi l'Unione Sovietica ed i processi della rivoluzione armata) oggi il sistema capitalista già non ha nemici strategici che rimpiazzino il vuoto con un’altro sistema, e conseguentemente, tutti i conflitti esistenti nei cinque continenti sono detonatori esclusivi delle contraddizioni e delle rivalità intercapitaliste. Il sistema capitalista è rimasto solo, e la sua dinamica irreversibile di distruzione storica arriverà solamente dalle sue proprie contraddizioni (íntercapitaliste) dietro un modello di "autodistruzione" marcata dalla ricerca del reddito e dalla concentrazione del potere mondiale in poche mani. Insomma, tutti i conflitti esistenti sono la sommatoria della lotta delle potenze capitaliste che competono tra sé per impadronirsi dei mercati e delle risorse strategiche, che sia già per mezzo di conflitti militari o di conflitti sociali attivati con fini di controllo politico. Il petrolio e il gas (beni sempre più scarsi ed in esaurimento), il motore dei motori dell'economia mondiale, sono le risorse essenziali per la sopravvivenza delle potenze centrali e rappresentano l'asse esplosivo strategico dei conflitti militari in atto, che possono trasformare Wall Street ed i "mercati" in terra spianata ed in fiamme. Come prodotto dei conflitti intercapitalisti per il controllo del pianeta, nello scenario geopolitico militare mondiale ci sono quattro fronti esplosivi a breve termine: A) La risoluzione della crisi recessiva mondiale, B) L'attacco militare alle centrali iraniane, C) L'ampliazione del conflitto in Afghanistan, D) L'occupazione militare del Pakistan da parte degli USA, E) E un’altro conflitto armato nel Caucaso o in Eurasia (come parte del teatro della guerra fredda USA-Russia) e F) Un attacco "terroristico", o vari, simili all’11 Settembre, in Europa o USA (che servirà come argomento “giustificatorio” per le azioni militari degli USA e della NATO). Una nuova esplosione militare della guerra energetica, tanto nel Caucaso (con la Russia come protagonista) come in Medio Oriente (con l'Iran come protagonista) si integrano nel quadro della crisi economica strutturale del sistema capitalista, che si prospetta come una minaccia di crisi ed esplosioni sociali che mettono in pericolo la governabilità del sistema su scala mondiale. Attraverso i percorsi geopolitici di Afghanistan, Pakistan o Iran, si trasmettono e ritrasmettono i teatri di conflitto che attraversano i territori compresi tra Eurasia e Medio Oriente, il cui esito colpisce direttamente le frontiere energetiche ubicate tra il Mar Caspio ed il Golfo Persico, punti strategici del petrolio e dell'energia mondiale. Dopo la disintegrazione dell'URSS, USA e Unione Europea si gettarono sui mercati e le risorse energetiche delle ex Repubbliche Sovietiche nell’Europa dell’Est, dell'area caucasica e centroasiatica, tradizionalmente sfera di influenza russa, ampliando così la loro rete di basi militari in tutta la regione. L'importanza strategica dell'Iran, Afghanistan e Pakistan, nella scacchiera della guerra energetica, ha due ragioni principali: A) Tanto il Pakistan (un gigante islamico con potere nucleare) che l'Afghanistan (dominato da un conflitto armato contro i talebani) fanno parte del piano strategico per il dominio e controllo militare del "triangolo petroliefero" (Mar Nero - Mar Caspio - Golfo Persico) dove si concentra più del 70% della produzione industriale mondiale di petrolio e gas, elementi indispensabili per la futura sopravvivenza delle potenze capitaliste dell'asse Usa-UE. B) L'Iran, che controlla lo Stretto di Ormuz, da dove passa il 40% della produzione mondiale dell’industria petrolifera (con la possibilità, inoltre, d’avere la bomba nucleare) mette in pericolo la sopravvivenza dello Stato d'Israele e la supremazia del controllo economico, geopolitico e militare strategico del potere imperiale Usa-UE nella decisiva regione del Medio Oriente e del Golfo Persico. Così, come la Russia rappresenta per l'asse Usa-UE la "barriera" geopolitica e militare da vincere per la conquista dell’Eurasia e delle sue risorse energetiche (vitali per la futura sopravvivenza dell'asse Usa-UE), l'Iran è la pietra che bisogna rimuovere per completare il controllo sulle rotte e delle riserve energetiche del Medio Oriente. Queste sono le ragioni strategiche che trasformano il "triangolo del petrolio" (Eurasia – Caucaso - Medio Oriente) nel teatro obbligato della terza guerra mondiale intercapitalista (sviluppata possibilmente con armamento nucleare) per il controllo delle risorse strategiche del pianeta per la sopravvivenza futura. Ed alla fine (se ci sarà che qualcosa che rimarrà vivo ed in piedi) i vincitori si spartiranno il bottino ed un nuovo "ordine mondiale" come nel 1918 e nel 1945. Gli Stati Uniti possono solo soddisfare un 25% della propria necessità energetica (tenendo conto che le risorse si esauriscono), e l'Unione Europea è completamente dipendente per l’approviggionamento di gas e petrolio. Cina (come India, Giappone e le potenze Asiatiche) hanno bisogno di petrolio e di gas (vengono rifornite principalmente dai corridoi russi) per sopravvivere come superpotenze industriali. Di conseguenza, come già sottolineammo, la Russia è l'unica superpotenza nucleare autosufficiente di gas e di petrolio (oltre a controllare la maggior parte delle rotte euroasiatiche) e rappresenta per l'asse Usa-UE la "barriera" geopolitica e militare da vincere per la conquista dell’Eurasia e delle sue risorse energetiche. Ed il gigante petrolifero socio della Russia, l’Iran, è a sua volta la pietra che bisogna rimuovere per completare il controllo delle rotte e delle riserve energetiche del Golfo Pesco e del Medio Oriente. Si capisce perché bisogna distruggere il cardine "dell’asse" del male? Lo scoppio della terza guerra mondiale non è il prodotto delle visioni di profeti, bensì un susseguirsi storico (inevitabile) di calcoli matematici per la sopravvivenza capitalista. Che è la madre di tutte le guerre. fonte http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5973

L'Italia è il primo paese in Europa a vendere armi alla Siria di Davide Mancino

Dal 2001 il regime di Assad ha acquistato da noi quasi 17 milioni di euro di armamenti, tra cui i visori per i carri armati. L'inchiesta di Wired Italia. "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controverse internazionali." Facile a dirsi, lo prevede la Costituzione – articolo 11. Ma la realtà è molto diversa: basta guardare in Siria. Secondo i documenti ufficiali dell'Unione Europea e i dati resi disponibili dal Campaign Against Arms Trade (Caat), l' Italia è il primo partner europeo per le spese militari del regime di Assad. Dal 2001 la Siria ha acquistato in licenza armi nel vecchio continente per 27 milioni e 700mila euro. Di questi, quasi 17 arrivano dal nostro Paese. Il Regno Unito, al secondo posto, supera appena i due milioni e mezzo; segue l' Austria che ha fornito veicoli terrestri per altri due milioni, poi Francia e Germania, e infine Grecia e Repubblica Ceca, con poco più di un milione di euro. Dai dati ufficiali si scopre che Parigi e Atene hanno ceduto soprattutto aerei e droni, mentre mancano all'appello armi per altri cinque milioni di euro, non dichiarate. E l' Italia, invece, cosa ha venduto esattamente? Non sappiamo con precisione quali armi abbiamo esportato, ma qualche indizio ci viene dalla Rete, guardando uno dei tanti video in cui si vedono carri armati siriani fare fuoco – anche sui civili. In quei fotogrammi si distingue il sistema Turms: un visore termico e laser che consente ai carri di sparare con altissima precisione anche in movimento, commercializzato da Selex Es. Ovvero un'impresa del gruppo Finmeccanica – a partecipazione pubblica – firmataria nel 1998 di una mega-commessa da 229 milioni di dollari durante i governi Prodi-D'Alema. Equipaggiamenti che non sono stati certo fermi: nel 2003 – con Silvio Berlusconi in carica – le consegne raggiungono il loro picco, per poi proseguire fino al 2009. Nel mezzo, però, c'è l' invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti. Proprio nel 2003, dopo un'inchiesta del Los Angelese Times, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld accusava il regime di Assad di aver fornito armi a Saddam Hussein aggirando l'embargo militare imposto all'Iraq. Gli equipaggiamenti forniti da Damasco sarebbero visori per il puntamento notturno dei carri armati: proprio come quelli venduti dal nostro Paese. Il dubbio, che successive indagini non hanno mai confermato né smentito, è che a beneficiare dei sistemi prodotti da Selex sia stato proprio l' esercito iracheno. Non proprio un colpo di genio per la politica estera italiana, chiamata poco più avanti a partecipare alla stabilizzazione del Paese con un proprio contingente. La storia continua fino ai giorni nostri, quando la guerra civile sconvolge la Siria e spinge Assad a schierare il proprio esercito. I carri armati che sparano sui ribelli – ma anche su semplici civili – hanno la mira più accurata, una precisione garantita dalla migliore tecnologia italiana. Ma la Siria non è quasi più una nazione che possa definirsi tale: il livello del conflitto è tale che persino l'esercito non ha più il controllo delle proprie armi. Anche i ribelli sono entrati in possesso di carri armati catturati o consegnati da ufficiali disertori, in un crescendo che rende la possibilità (o la necessità) di un intervento militare straniero sempre più incerta e confusa.